Negli Stati Uniti, George R.R. Martin non è il più conosciuto e amato tra gli scrittori fantasy. Negli ultimi tempi, diversi siti (tra i molti possiamo citare questo o questo) hanno compilato liste in cui Martin deve cedere il posto ad autori bestseller come Christopher Paolini della saga di Eragon, o Robert Jordan del ciclo infinito della Ruota del Tempo, o meglio ancora alla decana del genere, Ursula K. LeGuin con il suo mondo di Earthsea, scrittrice anche di fantascienza e romanzi mainstream. Ma per gli appassionati della epic fantasy, Martin è di gran lunga il migliore, tanto che annunciando l’uscita del nuovo capitolo della serie Cronache del ghiaccio e del fuoco (A Dance with Dragons, previsto per il 12 luglio 2011), un articolo apparso sul Time lo ha definito l’American Tolkien.
Ma ora, alla bellezza di 63 anni, è sul punto di monopolizzare tutti i riflettori del mondo del fantasy e, forse, anche all’apice della sua carriera letteraria. Sebbene Martin sia ben presente sulla scena del genere fantasy e della fantascienza dagli anni ’70 e abbia guadagnato un gran seguito di lettori dall’inizio degli anni ’90 con la pubblicazione della serie Le Cronache del ghiaccio e del fuoco, solo ora si appresta a divenire noto anche al lattaio dell’Ohio (la versione Usa della nostra casalinga di Voghera). Il 17 aprile l’emittente televisiva HBO trasmetterà la prima puntata di Game of Thrones, una serie di 10 episodi basata sui primi due libri della saga di Martin. Tra i moltissimi attori, vi partecipa Sean Bean, il Boromir del Signore degli Anelli, che appare anche suoi poster (si potrebbe parlare proprio di una sua rivincita su Aragorn!). Da domenica scorsa, la rete sta già trasmettendo un’anteprima di 15 minuti per i fan irriducibili e neofiti curiosi.
Come quello di J.R.R. Tolkien, il mondo di Martin somiglia alla vecchia Inghilterra, ma non alla cosiddetta Merrie Old Englande. Piuttosto, ricorda quella della Guerra delle Due Rose. Il continente di Westeros e le Città Libere è descritta come un’Europa medievale nel quale, però, le stagioni possono durare anche per un decennio. Sembra più una Quarta Era della Terra-di-Mezzo: non ci sono Nani, Goblin ed Elfi e la scena è dominata dagli Uomini, ambigui e spietati a volte. Tutta la storia ha un’atmosfera malinconica, con scene di guerra e di sesso molto crude, capace di rendere l’idea di un mondo reale. Come accade anche nelle opere di Tolkien, la magia viene utilizzata soltanto in rari casi, perché oscura e difficilmente controllabile (è un po’ la saga sul ritorno della magia nel mondo).
Ci interessa George R.R. Martin perché è stato intervistato da diverse testate giornalistiche proprio sull’influenza che J.R.R. Tolkien ha avuto su di lui. Il New York Times ha chiesto esplicitamente se avesse concepito Game of Thrones in reazione al Signore degli Anelli di Tolkien? «Ho sempre voluto scrivere qualcosa di epic fantasy», risponde Martin. «Ma non solo come una rielaborazione dell’opera di Tolkien. Volevo fare qualcosa di mio. In una certa misura, il progetto è stato anche una reazione alla mia carriera a Hollywood. Sono stato produttore-scrittore per 10 anni, all’incirca dal 1985 al 1995. Ho fatto parte dello staff come quello di Ai confini della Realtà e la Bella e la Bestia. Ovunque, ho proposto il copione delle Cronache e tutti i produttori mi hanno risposto: “George, questo copione è grandioso. È una lettura fantastico, è meraviglioso, grazie. Ma è tre volte il nostro budget. Non possiamo farcela. È troppo grande e troppo costoso”». Hai venduto le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco come una serie di sette romanzi? «Quando ha venduto i diritti nel 1994, il mio agente parlava di una trilogia», ha risposto Martin. «Ma, come detto su Tolkien per Il Signore degli Anelli, il romanzo è cresciuto raccontandolo. Così sono tornato a scriverlo, e come lui lo sto scrivendo e riscrivendo».
In un’altra intervista, alla Detroit Free Press, la domanda è stata Perché hai scritto una saga così lunga? «Diamo la colpa a J.R.R. Tolkien, almeno in parte!», ha risposto lo scrittore americano. «Ho letto Il Signore degli Anelli da bambino, ovviamente, ma sono stato colpito fin da subito da una cosa di cui non si accorgono tutti i lettori: Tolkien inizia la sua storia nella Contea, con un gruppo di abitanti, gli Hobbit, ma alla fine il racconto si espande sempre più sia nello spazio che nel tempo fino a comprendere molte razze e vaste distese di terra». «Questo è quello che volevo fare anch’io», ha continuato Martin: «Ho iniziato con una prospettiva stretta su pochi personaggi e un luogo del mondo, e narrando la storia, ha allargato l’obiettivo sempre più; alla fine, il racconto comprenderà
una vasta parte di mondo e nel conflitto saranno coinvolte intere popolazioni». Del resto, Martin non aveva mai fatto mistero del suo debito verso Tolkien, tanto che in Meditations on Middle-earth, una raccolta di riflessioni sullo scrittore inglese a cura di Karen Haber e scritta da molti dei più importanti scrittori contemporanei di fantasy e fantascienza, Martin aveva scritto: «La letteratura fantastica esisteva molto prima di lui, ma J.R.R. Tolkien l’ha presa e l’ha fatta sua in un modo in cui nessuno scrittore prima di lui aveva mai fatto, un modo in cui nessuno scrittore riuscirà mai più a fare…».
Beh la magia è presente da subito – dal prologo del primo libro. Wrights (stessa parola usata da Tolkien per le creature dei tumuli) gelati e (apparentemnte) invulnerabili alle armi di metallo.
E poi ‘è il clima “particolare” con estati (o inverni) che durano anni di seguito.
“Winter is coming” ammonisce il motti do casa Stark
E, sempre nel primo libro, ci sono descrizioni volutamente vaghe di quella che noi chiamermmo “magia nera”. Non sarò più specifico per evitare spoiler
Per cui non parlerei proprio di “ritorno della magia”. La magia sembra non essere mai completamente scomparsa. Solo che era remota, acnhe spazialmente.
Ora sta diventando più … “prossima”