Ci risiamo. Si avvicina un nuovo periodo di vacche grasse, con la prossima uscita dei due film di Peter Jackson su Lo Hobbit, e subito schizza alle stelle la bramosia per i milioni di euro che verranno sborsati dagli appassionati di J.R.R. Tolkien. La Tolkien Estate e la Middle-earth Enterprises sono già partite alla carica. La prima è la società che gestisce i diritti degli scritti di Tolkien per conto degli eredi dello scrittore inglese, sempre più impegnata in battaglie legali contro fan e autori, per lo più sconosciuti, che producono opere ispirate al “Legendarium” tolkieniano o che contemplano la presenza del professore stesso come protagonista. Il caso più eclatante riguarda la novella Mirkwood, scritta dall’americano Steve Hilliard, facendogli guadagnare però molta notorietà e moltissimi dollari. Nel 1968, Tolkien aveva venduto i diritti di commercializzazione de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli alla United Artists, che a sua volta li vendette a Saul Zaentz nel 1976. La Middle-earth Enterprises (che prima si chiamava Tolkien Enterprises) è, così, la divisione della Saul Zaentz Company, che detiene, in esclusiva mondiale, tutti i diritti dei titoli dei due capolavori di Tolkien, dei nomi dei personaggi e dei luoghi, degli oggetti e degli eventi narrati nei romanzi. Negli anni la compagnia ha ceduto a destra e manca le licenze di sfruttamento per la realizzazione di film, di videogiochi e di tutto il vasto indotto che si è creato dalla trilogia di Peter Jackson. Così, ecco che si moltiplicano le azioni legali contro chiunque nel mondo osi utilizzare il nome Tolkien a fini commerciali.
Diffidato Lo Hobbit affamato
L’ultima notizia giunge da Birmingham, dove una caffetteria con sede vicino ai luoghi in cui lo stesso Tolkien visse, ha ricevuto una lettera che minaccia azioni legali da parte di avvocati che lavorano per la Middle-earth Enterprises. The Hungry Hobbit a Moseley è stato, infatti, accusato di violazione del
copyright. La caffetteria ha cambiato nome sei anni fa. La sua attuale proprietaria, Wendy Busst, ha comprato l’attività da appena sei mesi e questa è la sua prima impresa commerciale. I suoi dipendenti l’hanno descritta sconvolta mentre leggeva la lettera. «Pensano che siamo un grande impero, ma siamo solo un caffè», ha detto Debbie Shuttleworth, che ha aggiunto che per una piccola attività come la loro sarebbe costoso dover cambiare insegna, menù, grembiuli e tutti gli altri oggetti con il logo del locale. «Vogliamo solo rendere omaggio al nostro patrimonio letterario e la zona in cui siamo. I nostri clienti pensano che questa vicenda sia veramente stupida», ha concluso. Tolkien crebbe nel vicino villaggio di Sarehole, che nella prima parte del XX secolo era ancora prevalentemente campagna, prima che tutto venisse inghiottito dalla periferia di Birmingham. Si pensa che Sarehole Mill e Moseley Bog (ne abbiamo parlato qui) abbiano fornito all’autore l’ispirazione per i luoghi rappresentati nelle sue opere. In una lettera, con il titolo «Uso non autorizzato di Hobbit», gli avvocati Usa hanno intimato al locale di “eliminare gradualmente” l’uso del nome dalle vetrine, dal menù e da “altri materiali” in cui è presente il termine “Hobbit”. Nella lettera è scritto che «solo coloro che hanno acquistato una licenza possono usare “Hobbit” e gli altri marchi registrati da SZC». La lettera continua dicendo che l’uso del termine “Hobbit” «può causare confusione, errore o inganno tra i potenziali acquirenti, che sono propensi a credere che la vostra attività è concessa su licenza, autorizzata, sponsorizzata o approvata dalla SZC». Si aggiunge che usando quel nome «si trae vantaggio in maniera indebita ed è dannoso per la reputazione del marchio “Hobbit” di proprietà della SZC». La proprietaria del locale ha detto di aver risposto alla lettera, cercando di chiarire alcuni dei punti sollevati. Tra le altre cose, ha evidenziato la rilevanza del nome per quella zona e il fatto che il locale è conosciuto e frequentato da sei anni come The Hungry Hobbit, tenuto in precedenza da due diversi proprietari. Gli interni del piccolo ristorante mostrano alcuni quadri tratte dal Signore degli Anelli, ma nessuno è in vendita. «Erano qui quando mi sono trasferita e tutto quel che ho fatto è stato semplicemente riorganizzare un po’ la cucina», ha aggiunto la signora Busst.
Il campo estivo non può avere elfi e hobbit
Dall’altra parte dell’Atlantico, la musica era stata praticamente la stessa quando, una bella mattina di aprile, Peggy Rupert, nuova direttrice dell’associazione no-profit che gestisce il Bragg Creek, un parco naturale vicino Calgary, in Canada, in cui l’estate si organizzano campi estivi per i bambini, ha aperto una lettera proveniente dalla Gran Bretagna. «Questa faccenda è ridicola, ma ottiene l’attenzione di moltissime persone. Da mesi il telefono non smette di squillare», ha detto Rupert. La sua costernazione è legata all’attenzione della Tolkien Estate, che appunto nella lettera non si era detta divertita dal nome del
campo estivo dell’associazione, Rivendell, né i nomi scelti per i gruppi divisi in base all’età: hobbit, nani ed elfi. Rupert, madre di tre figli, era nel suo nuovo lavoro solo da pochi giorni quando ha aperto la lettera da Steven Maier da Oxford, dello studio legale Manches LLP. Maier, che agisce per conto del Tolkien Estate, ha scritto un lettera dai toni gentili, ma fermi, in cui chiedeva all’associazione di eliminare qualsiasi riferimento a Tolkien. La faccenda ha interessato molti quotidiani canadesi e britannici. Lo Herald Tuesday di Calgary ha contattato Maier, chiedendogli tra l’altro un parere sullo spropositato aumento dei siti internet che accusano la Tolkien Estate di essere un po’ troppo litigiosa. «Non è corretto dire che la Tolkien Estate sia litigiosa, in quanto molto raramente è stata coinvolta in procedimenti giudiziari», ha risposto Maier in una e-mail. «La Tolkien Estate persegue solo azioni legali in casi molto rari di soggetti che, per qualsiasi motivo, sono decisi a negare il diritto della Estate di proteggere i suoi copyright». Rupert nota, però, che da qui a inviare una lettera di “cease-and-desist” (una diffida legale usata nel campo giuridico Usa) a un associazione no-profit per un campo estivo è «un po ‘strano’» e anche abbastanza ridicola: «Non ho nemmeno visto i film del Signore degli Anelli». In ogni, caso, «al posto di hobbit, nani ed elfi ora abbiamo scoiattoli, linci e orsi grigi», conclude.
Il diritto su un nome?
I quotidiani canadesi hanno anche intervistato Robert Thompson, esperto di cultura pop e docente alla Syracuse University dello Stato di New York: «Molti pensano che il sistema del copyright sui nomi sia arcaico e sbagliato: è uno dei grandi temi aperti di questo secolo». Il professore cita l’esempio famoso di Pamela Anderson e della sua lotta per farsi riconoscere il diritto alla proprietà di www.pamanderson.com. «Il suo non è un nome raro: su Facebook ci sono altre 40mila Pam Anderson. Perché solo l’attrice avrebbe il diritto esclusivo su un dominio il cui nome è condiviso da migliaia di altre donne?». Thompson ritiene, inoltre, che diritto d’autore sui nomi comuni si stia spingendo troppo oltre: «Donald Trump ha cercato di ottenere il copyright di “you’re fired” (“sei licenziato”). È una cosa semplicemente ridicola». Ricordiamo che la Tolkien Estate possiede i diritti d’autore su nomi come “The Shire” (la Contea), oltre che Tolkien e hobbit…
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Beh! Non ci si crede! Scusate ma i nomi “nani” e “elfi” non è di esclusivo dominio della Tolkien Estate, sono nomi che hanno una loro storia già molto prima che Tolkien inventasse il suo mondo meraviglioso.
Non possono vantare diritti su queste parole, ma penso nemmeno su “troll” o “orco, orchi” o altri nomi di miti e leggende antiche.
Mah!