«Bilbo, ragazzo mio, va’ a prendere la lampada e illuminiamo un po’ questa!». E alla luce di una grossa lampada dall’ombra rossa, spiegò sulla tavola un pezzo di pergamena che somigliava molto a una mappa. «Questa fu fatta da Thror, tuo nonno, Thorin», disse Gandalf: «È una pianta della Montagna» […] «Vedete quella runa sulla parte orientale e la mano che la indica dalle altre rune? Questo è il segno di un passaggio alle Sale Inferiori», disse lo stregone. Questo è uno dei passaggi chiave de Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien: lo stregone Gandalf mostra alla compagnia dei nani il modo in cui entrare nella tana del drago Smaug, segnalando la presenza delle rune. La mappa apparteneva a Thror, nonno di Thorin, per questo si spiegano le rune naniche. Leggendo il libro si capirà anche che ci sono due diversi tipi di rune sulla mappa, ma non vogliamo svelare nulla di più al lettore. Peccato che per il lettore italiano la questione sia molto più complicata!
Un’anomalia italiana
«Confrontando le rune della Mappa di Thror con la trascrizione in lettere moderne, se ne può scoprire l’alfabeto – si legge nella prefazione –, adattato alla lingua moderna, e si può anche leggere il titolo in runico all’inizio». Dovrebbe essere semplice, ma non è così! Il giovane lettore anglofono del primo romanzo di Tolkien si può divertire provando a decifrare le iscrizioni runiche, ma il lettore italiano non è altrettanto fortunato, poiché alcuni editori nostrani non hanno giudicato importante dedicare attenzione a questo aspetto. La mappa di Thror, inoltre, risulta abbastanza diversa a seconda di quale edizione italiana dello Hobbit si legga.
Nelle edizioni Adelphi dello Hobbit, ad esempio, le iscrizioni runiche presenti nel romanzo sono tradotte in italiano, tranne la runa che indica la porta segreta. Nel testo infatti viene detto che è contrassegnata con una P (“porta”), mentre nella mappa c’è la runa D (“door”, in inglese). A guardar meglio, in effetti, la runa che indica la porta è una P fatta male, ottenuta dalla D della mappa inglese togliendo l’asta di destra.
Nello Hobbit Annotato Rusconi (prima edizione) e in varie edizioni tascabili (Bompiani) e rilegate (Mondadori) degli anni ’80, la mappa è una copia dell’edizione Adelphi e nulla cambia.
Nello Hobbit Annotato Bompiani (revisione del 2004) l’unico cambiamento è che la runa che indica la porta è stata trasformata in una vera e propria P, con un netto miglioramento.
L’anno prima, nel 2003, sempre Bompiani aveva pubblicato un’edizione illustrata da Alan Lee, nella quale la mappa era stata trattata malissimo: quella pubblicata, infatti, è chiaramente una scansione in bassa risoluzione (si vedono i pixel), in cui la cornice inferiore è tagliata; le rune poi sono schizofreniche: quelle sotto la mano che indica la porta sono in italiano, quelle lunari invece sono in inglese. La runa che indica la porta è
sempre la P “fatta male”.
Nel 2012 Bompiani ha pubblicato con grande enfasi una nuova traduzione dello Hobbit. Peccato però che l’editor o il grafico che si sono occupati della pubblicazione abbiano fatto un lavoro quanto meno superficiale. La mappa è la stessa dell’edizione illustrata del 2003, in cui le rune sono alcune in italiano e altre in inglese; la porta è indicata dalla P fatta male; la scansione è sempre in bassa risoluzione; la cornice inferiore è sempre tagliata.
La nuova edizione illustrata da Alan Lee conserva la stessa mappa, mentre in quella Annotata la mappa pubblicata è completamente in inglese (sia le scritte in caratteri latini sia le rune), nonostante la didascalia della mappa dica che: «Nella trascrizione le rune della colonna di sinistra suonano così: LA PORTA E’ ALTA (…)»
L’introduzione
Stessa triste sorte della Mappa di Thror è capitata a quella sorta di introduzione che precede il racconto vero e proprio dello Hobbit, nella quale Tolkien parla proprio delle rune, spiegando (sommariamente) come leggerle, e riportando la trascrizione delle rune presenti sulla mappa di Thror. O almeno, questo accade nelle edizioni Adelphi, nelle edizioni Rusconi e nelle vecchie edizioni Bompiani. Come per la Mappa di Thror, tutto si complica a partire dall’edizione illustrata da Alan Lee pubblicata da Bompiani nel 2003: qui il testo dell’introduzione è uguale a quello dell’edizione Adelphi (e quindi fa riferimento a rune lunari che, come abbiamo visto sopra, non sono le stesse presenti sulla mappa pubblicata nello stesso libro). Tuttavia, per motivi un po’ misteriosi è rimasto in inglese il titolo: le rune scritte in alto, anziché «Lo Hobbit o la riconquista del tesoro» (come nell’edizione Adelphi) o «Lo Hobbit o andata e ritorno» (come nell’edizione Annotata del 2004) si leggono: «The Hobbit or there and back again». Nelle nuove edizioni Bompiani, potendo scegliere, hanno scelto male: il titolo resta in inglese, le rune nel testo sono in italiano e quindi non corrispondono a quelle lunari sulla mappa.
Le rune naniche
Il sistema di scrittura illustrato nella mappa di Thror non è un’invenzione di Tolkien. Quando scrisse Lo Hobbit, dovendo usare delle rune, gli venne spontaneo usare quelle di un vero alfabeto, quello usato per le iscrizioni in anglosassone (inglese antico). L’alfabeto runico, detto fuþark (il segno þ corrisponde al suono th dell’inglese think) dai primi 6 segni che lo compongono era usato dalle antiche popolazioni germaniche (come ad esempio Angli, Sassoni e Juti). Tolkien prese in prestito la versione anglosassone e tarda (principalmente usata tra il 700 ed il 1200 d.C.), come spiega in una lettera (n. 25): «Quelle usate da Thorin e compagni, per scopi speciali, erano comprese in un alfabeto di trentadue lettere (nella sua piena applicazione) simile, ma non identico, alle rune delle iscrizioni anglosassoni.
Esiste indubbiamente una connessione storica tra i due alfabeti». Tolkien, infatti, non sembrava essere soddisfatto di prendere così come era il sistema anglosassone e lo modificò secondo le proprie necessità: nella sua concezione, anche se il loro aspetto richiama quello delle vere rune nordiche, le rune naniche sono organizzate in maniera molto più rigorosa, seguendo le regole della linguistica.
Quando, però, ampliò il mondo dello Hobbit nel Signore degli Anelli, rendendolo un tutt’uno con il mondo delle leggende elfiche che aveva già inventato ma mai pubblicato, si pose il problema: è plausibile che i Nani in un passato mitico usino le rune anglosassoni che conosciamo?
Onestamente, si rispose di no, ma (come suo solito) escogitò un abile escamotage per spiegare l’apparente errore nello Hobbit. Ecco cosa scrisse nell’introduzione al volume: «Le rune erano lettere antiche, originariamente ottenute intagliando o graffiando legno, pietre o metalli, ed erano pertanto sottili e spigolose. Al tempo di questa storia solo i nani ne facevano uso regolare, specialmente per documenti privati o segreti. In questo libro le loro rune sono sostituite dalle nostre antiche rune, che ormai sono note solo a poche persone». Così i Nani effettivamente usavano rune per scrivere, come spiegato dettagliatamente anche nelle Appendici al Signore degli Anelli. Il nuovo sistema di scrittura, era adattato alle sue lingue elfiche, da cui i Nani avevano mutuato la propria lingua, il Khuzdul. Tolkien, però, in qualità di “curatore” dell’edizione inglese dello Hobbit (nella finzione, la traduzione in inglese di un antico testo, il Libro Rosso dei Confini Occidentali, scritto nel linguaggio comune della Terra di Mezzo, l’Ovestron), per rendere il tutto più intellegibile al lettore aveva sostituito l’inglese all’Ovestron, e le rune anglosassoni a quelle naniche. Queste ultime, così, risultano soltanto simili ma non uguali alle rune storiche usate dalle popolazioni germaniche.
Prima di concludere, si può notare come nella Compagnia dell’Anello, primo capitolo della trilogia che il regista neozelandese Peter Jackson ha dedicato al Signore degli Anelli di Tolkien, quando Gandalf entra nella casa di Bilbo e curiosa tra le mappe in soggiorno, ne prende una incorniciata: è proprio la Mappa di Thror, riconoscibile dal Drago Rosso, dalla Montagna Solitaria e dalla mano sulla sinistra che indica le rune naniche. Vista l’attenzione e la cura dedicata ai libri di Tolkien persino dal cinema, è un vero peccato che lo stesso impegno non ce l’abbiano gli editori italiani, Bompiani per prima…
Sviluppo del 6 febbraio 2013
Nelle librerie, da qualche giorno, si trovano la quinta edizione (ovvero ristampa) dello Hobbit con le illustrazioni di Alan Lee e la terza edizione (ovvero ristampa) dello Hobbit Annotato.
A prima vista, questo ci dice solamente che Lo Hobbit sta vendendo molto bene, dato che le prime edizioni
dei due volumi sono rispettivamente di luglio e di novembre. Se controlliamo bene i libri, però, ci accorgiamo che c’è qualcosa di molto interessante: rispetto alle prime edizioni, nell’introduzione (immagine a destra) è cambiato il titolo scritto in rune!
Come ho spiegato sopra, nelle prime edizioni quel titolo era inopinatamente rimasto in inglese, forse perché il curatore l’aveva scambiato per una decorazione. Ora però, nelle edizioni più recenti, il titolo è cambiato, e si legge: “Lo Hobbit o andata e ritorno”. Il sottotitolo non corrisponde a quello usato (Un viaggio inaspettato), ma almeno è la corretta traduzione di quello inglese; c’è solo da chiedersi come potranno fare i lettori ignari a leggerlo. Anche nelle Mappe c’è stato qualche piccolo cambiamento. In quella di Thror, le rune lunari sono rimaste ancora in inglese, ma almeno “Bosco Atro” è stato cambiato in “Boscotetro”: come traduzione può non piacere e a me non piace, ma se non altro così la mappa è coerente con il testo; ora manca ancora da correggere Smog in Smaug, e magari riscansionare la mappa in alta risoluzione. Nella Mappa delle Terre Selvagge (che per pietà non avevo in precedenza commentato) sono stati corretti “Bosco Atro” in “Boscotetro”, “Forraspaccata” in “Gran Burrone” e “Hobbitopoli” in “Hobbiton”; mancano solo Carroccia (nella nuova traduzione è “Carrock”), e ancora una volta Smog al posto di Smaug: anche qui, le nuove traduzioni possono non piacere, ma la mappa deve essere coerente con il testo, altrimenti non serve a nulla.
Insomma, pare proprio che la Bompiani, quando vuole, sia in grado di apportare correzioni ai libri che pubblica. Viene allora da farsi due domande:
1) Perché queste correzioni non sono state pubblicizzate in alcun modo? Forse per non dover sostituire a chi le ha comprate le copie errate dei libri?
2) Perché mai, dopo dieci anni, ancora non siano state reinserite le famose venti righe mancanti del Signore degli Anelli?
(Un ringraziamento ai frequentatori della pagina Facebook “Roba da Tolkieniani”, per il prezioso aiuto).
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Peccato davvero… che tristezza.