Avevamo segnalato la lectio magistralis su J.R.R. Tolkien di Antonio Faeti, decano degli studi della letteratura per ragazzi in Italia, avrebbe tenuto lunedì 18 febbraio 2013, nell’Aula Magna del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’università di Bologna. Lo studioso ha preso spunto dal prossimo anniversario della morte dello scrittore inglese, scomparso quarant’anni fa, per ragionare sull’eredità che ha lasciato con la pubblicazione dei primi libri di letteratura fantastica di successo planetario, libri a cui tanti autori si sono successivamente ispirati e che non smettono di dare vita a rivisitazioni di tutti i tipi. Abbiamo avuto la fortuna di poter assistere all’incontro intitolato Il lungo viaggio per Pianilungone. J.R.R. Tolkien quarant’anni dopo e ne riportiamo qui il nostro resoconto.
Un’eredità importante
«Le opere di J.R.R. Tolkien, a mio avviso, ha una sua importanza perdurante al di là dell’attuale fenomeno», racconta Faeti. «Grazie a un indiscutibile genio, Tolkien ha creato quelle cattredali dell’immaginario che ancora oggi contraddistinguono la sua produzione con un’assoluta originalità. Tuttavia, Tolkien deve essere a tutto diritto inserito in quella diffusissima corrente nostalgica che si prodiga nel recupero di un ipotetico Medioevo lontano; penso ai Nazareni in Germania o ai Preraffaelliti in Inghilterra. È in quest’ottica che a me preme appoggiare il caso Tolkien, e questo è il mio metodo di lavoro da cinquant’anni: non tendo a isolare i fenomeni, ma a congiungerli in un reticolo di emozioni, ricerca, eventi e aspettative, ed è questo reticolo che mi interessa decifrare e studiare». Lungo tutta la storia umana ci sono stati dei momenti, in genere di crisi culturale ed economica, in cui la nostalgia di un passato più o meno remoto si faceva pressante, ma Faeti mette in guardia dal rischio di semplificazione e idealizzazione in cui è facile ricadere. «Il problema nasce quando questo passato non viene elaborato storicamente e con critica filologica, ma è reso sogno e fantasia, un semplice mezzo per creare una sorta di patria onirica e ideale in cui rifugiarsi. Bisogna mostrare che i sogni sono belli, ma anche dimostrare come sono costruiti, che caratteristiche hanno e che non sono del tutto privi di derive pericolose; sto pensando a Hitler, ai suoi viaggi a Bayreuth per il suo grande amore per Wagner e Sigfrido». Non un razionale e negativo disincanto quindi, ma una pretesa di consapevolezza: «Lasciando questi sogni senza spiegazione corriamo il pericolo di un equivoco che non deve arrivare per forza ad Auschwitz o Treblinka per essere dannoso, potrebbe comunque portare a una mistificazione del presente».
Sono solo sogni?
La rappresentazione dei sogni collettivi e del folklore trova terra fertile sia nel genere fantasy, a cui la produzione di Tolkien viene ricondotta, sia nella letteratura per l’infanzia, due generi che sono accomunati anche dall’etichetta di
letteratura minore e d’evasione. Una componente da cui Faeti si discosta, mettendo anzi in risalto la componente storica della fiaba: «Il compito dei fratelli Grimm era cercare la legittimazione dell’unità germanica partendo dallo studio del diritto e dell’analisi della mentalità collettiva. Trovarono invece il fiabesco, che fino ad allora aveva funzionato, in modo sotterraneo, da elaborazione comunitaria e autonoma di tutti quei sogni collettivi che i Grimm stavano cercando: il folk, appunto». Questa scoperta non è tuttavia l’atto di nascita della letteratura per l’infanzia, che va fatta invece risalire a una quarantina di anni prima. Continua il professor Faeti: «Contro l’idea francese per cui si debba acculturare indifferentemente gli adulti come i bambini su filosofia, religione o diritto, a metà Settecento Madame Leprince de Beaumont volle invece specificare, nei “Magasins des enfants”, cosa tra tutti gli aspetti della cultura potesse davvero parlare ai bambini e come. Si fece così erede di Johan Amos Komensky, che nel suo “Orbis Pictus” aveva creato il primo sillabario illustrato per i bambini». Alla letteratura per l’infanzia come la intendiamo oggi si arriva quindi lentamente, per gradi: «Ciò viene talmente tanto prima dei Grimm che già loro sentono quella tradizione come distante: quando la letteratura per l’infanzia incontra il fiabesco è già molto robusta, tanto da poterlo modificare essa stessa», spiega Faeti. «Ma è solo con Collodi che si comincia a ridare ai bambini una specificità bambinesca: Pinocchio è un personaggio popolare, bizzarro, è una canaglia che Madame de Beaumont non si sarebbe mai sognata di rappresentare. Tuttavia, questo è un percorso molto complesso e richiede oggi giovani energie e nuove ricerche: c’è molto da scavare». «Le fiabe non sono mai state semplicemente una cosa da bambini», spiega Antonio Faeti, «fin da uno dei loro atti di nascita, la Legenda Aurea del beato Jacopo da Varagine, che raccoglie ad uso dei predicatori un repertorio di esempi, destinati all’intero popolo cristiano. Il pubblico bambino non è il primo referente neppure di autori come Andersen, Wilde e Yeats, che si sentivano soprattutto scrittori».
Nè evasione, né diserzione
Tolkien, nel suo Saggio sulla fiaba, contesta la coincidenza tra fantasia e irrazionalità, la fantasia è una naturale attività umana che di per sé non distrugge e neppure reca offesa alla ragione, anzi dichiara che in un mondo in cui la ragione venisse meno non ci sarebbe più fantasia ma solo morbosa illusione. Oggi, forse, Tolkien sarebbe giudicato politically incorrect per questa appassionata difesa della Fantasia creativa, definita una «razionale attività umana» fondata sulla coscienza dei dati di fatto, ma anche sul rifiuto di «divenirne schiavi». Il Mondo Secondario, o Terra di Mezzo, creato da Tolkien non è frutto di «illusione morbosa»: si pone fuori dalla storia, vi si parlano lingue inesistenti ma, a differenza delle leggende arturiane (che Tolkien giudica incoerenti), le trame hanno cronologia, mappe, nomenclature precise come si conviene a un mondo virtuale che non è il nostro ma è regolato da leggi minuziose e coerenti. A chi lo accusa di Evasione, il professore replica che «l’Evasione del Prigioniero non va confusa con la Fuga del Disertore». Evasione da cosa? Faeti ricorda qui le parole di Tolkien: «Per quanto oggi le fiabe non siano affatto l’unico mezzo di Evasione, sono oggi una delle forme più ovvie, e (per alcuni) più oltraggiose, di letteratura di “evasione”…». Lo scrittore afferma che l’Evasione è una delle principali funzioni delle fiabe ed è in disaccordo col tono di disprezzo o di pietà con cui “Evasione” viene oggi così spesso utilizzato:
un tono per il quale gli usi della parola al di fuori della critica letteraria non forniscono giustificazione alcuna. Faeti continua a leggere Tolkien: «Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornare a casa? Oppure, se non lo può fare, se pensa e parla di argomenti diversi che non siano carcerieri e mura di prigione? Il mondo esterno non è diventato meno reale per il fatto che il prigioniero non lo può vedere. Usando Evasione in questo senso, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, ciò che più importa, confondono, non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore». Qui, però, Faeti spiega come lo scrittore inglese prenda le distanze da entrambe le posizioni, perché, dice Tolkien, «Un portavoce politico avrebbe potuto etichettare allo stesso modo la fuga dalle miserie del Reich del Führer o di qualsiasi altro regime, o anche solo la sua critica, come un tradimento». Tolkien, infatti, aveva orrore di Hitler, gli rimproverava anche questo, l’aver inquinato l’immagine dell’antica mitologia germanica piegandola alla sua perversa propaganda. Ma Tolkien si spinge ancora oltre: «Non solo [i critici] confondono la fuga del prigioniero con la fuga del disertore, ma sembrerebbe anzi che essi preferiscano l’acquiescenza del collaborazionista alla resistenza del patriota». Nonostante i suoi 74 anni Antonio Faeti si dimostra così un lucidissimo critico dell’autore del Signore degli Anelli. L’esperto ha concluso il suo intervento annunciando che le attuali energie del suo gruppo di allievi presto confluiranno nel nuovo Centro di Ricerca in Letteratura per l’infanzia, che a breve aprirà le porte presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Alma Mater. Sarà il primo centro in Italia a occuparsi specificatamente di questo genere letterario.
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– Vai alle lezioni di letteratura fantastica di Faeti dal 2007 al 2011
La Fondazione ha reso fruibili al pubblico le 100 lezioni in formato DVD tenute dal Prof. Antonio Faeti durante i quattro corsi promossi presso Casa Saraceni dall’ottobre 2007 al maggio 2011. Il trailer dei corsi di letteratura per l’infanzia è disponibile sul canale You Tube della Fondazione Carisbo: http://www.youtube.com/user/fondazionecarisbo. Si potrà fare domanda presso la Biblioteca di Arte e Storia San Giorgio in Poggiale, via Nazario Sauro 20/2 a Bologna, tel. 051-19936361, biblioteca@genusbononiae.it e ascoltare (o riascoltare) le sue lezioni, presso postazioni appositamente adibite all’interno della struttura. Orari al pubblico: lunedì – venerdì, dalle ore 9 alle 15; sabato dalle 9 alle 13.
I corsi disponibili sono i seguenti:
ITINERARI DEL FIABESCO
25 lezioni sul fantastico, sull’immaginario e sulle nostre specifiche
radici [2007-2008]
GLI ETERNI DEL SOGNO
25 lezioni sulle icone, i personaggi, i temi ricorrenti dell’immaginario collettivo [2008-2009]
LE DOPPIE NOTTI DEI TIGLI
25 lezioni per far leggere gli adolescenti (ma anche: i 25 libri che non possiamo non aver letto da ragazzi) [2009-2010]
IL PROFUMO DEL NAGATAMPO
25 lezioni su Emilio Salgari e il suo immaginario a 100 anni dalla morte [2010-2011]
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Usando Evasione in questo senso, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, ciò che più importa, confondono, non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore». Qui, però, Faeti spiega come lo scrittore inglese prenda le distanze da entrambe le posizioni, perché, dice Tolkien, «Allo stesso modo un portavoce politico non avrebbe potuto etichettare allo stesso modo la fuga dalle miserie del Reich del Führer o di qualsiasi altro regime, o anche solo la sua critica, come un tradimento».
Questa parte non è molto chiara… T. prende le distanze da entrambe le posizioni: quali? l’Evasione del Prigioniero e la Fuga del Disertore? Ma poi segue un periodo («Allo stesso modo un portavoce politico non avrebbe potuto etichettare allo stesso modo la fuga dalle miserie del Reich del Führer o di qualsiasi altro regime, o anche solo la sua critica, come un tradimento») che sembrerebbe sostenere il diritto del prigioniero alla fuga. Non mi è molto chiaro. Qualcuno, per favore, me lo spiega? è molto interessante.