Mentre l’ultimo capitolo dell’epica di Peter Jackson tratta dallo Hobbit è uscito nelle sale, ecco una rassegna dei molti progetti di film tratti dalle opere di J.R.R. Tolkien, alcuni dei quali non sono mai stati girati. Infatti, solo con il regista neozelandese si è avuto un progetto saldo, con finanziamenti e tecnologia adeguati, e una passione tale da avere successo mondiale nelle sale cinematografiche. Ma prima delle due saghe di Jackson dedicate al Signore degli Anelli e allo Hobbit, sono stati molti gli adattamenti dei due maggiori romanzi di Tolkien. Prima di iniziare l’excursus, cerchiamo di capire cosa ne pensava l’autore stesso. Per Tolkien le parole erano l’habitat naturale della fantasia. Egli era un amante del linguaggio e un filologo di professione, uno che conosceva molte lingue e ne aveva inventate ancora di più.
Per Tolkien ogni parola conteneva in sé la storia del suo stesso significato, quindi ha senso che le parole, scritte o pronunciate, detenessero per lui un potere che le immagini non potrebbero mai avere. Tolkien nutriva sempre sani sospetti sui tentativi di riduzione cinematografica dello Hobbit e Il Signore degli Anelli, anche se questo non vuol dire che fosse contrario. Semplicemente, non credeva che il cinema e la fantasia fossero compagni naturali, opinione naturalmente del tutto incomprensibile per la Warner Bros, i cui sei film tratti da opere di Tolkien hanno ad oggi incassato più di oltre 38 miliardi di euro in tutto il mondo (cui si aggiungono quelli dell’ultimo capitolo, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate, che fino al 5 gennaio si è portato a casa 622 milioni di euro, di cui oltre 12 in Italia).
O l’arte o tanti soldi
Tolkien, tuttavia, aveva ben ponderato la sua posizione. La sua preoccupazione principale non era che raffigurare creature o mondi fantastici su schermo (o su tela) fosse troppo difficile, semmai piuttosto che non lo fosse abbastanza. «La rappresentazione visibile dell’immagine fantastica è tecnicamente troppo facile», aveva scritto nel saggio Sulle Fiabe del 1947. «Le mani tendono a correre più veloce della mente, e anche a sconfiggerla. Stupidità o morbosità sono risultati frequenti». Egli credeva anche che il fatto stesso che film e opere teatrali fossero recitati, piuttosto che semplicemente narrati, fosse un punto critico. Se stai già guardando un attore che finge di essere una persona completamente diversa, non ne consegue forse che sarà molto più difficile accettarne contemporaneamente un altro nella parte di un orco? «La drammatizzazione ha, per sua stessa natura, già tentato di creare una sorta di magia falsa, o dovrei dire almeno sostitutiva», egli proseguiva, e «Questo è già in sé un tentativo di contraffare la bacchetta del mago».
C’è una prescienza inquietante nello scontento borbottare di Tolkien. Sebbene egli scrivesse ben prima dell’avvento degli effetti digitali, i suoi timori per «stupidità o morbosità» sono gli stessi regolarmente condivisi dagli spettatori quando si parla di personaggi generati al computer, come il Jar Jar Binks dei prequel di Star Wars o i passeggeri di Polar Express. Una delle critiche più diffuse ai nuovi film sullo Hobbit, di passaggio, è che la loro nitidezza visiva, soprattutto se proiettati a 48 frame al secondo, renda l’artificio troppo evidente soffocando così in culla la fantasia. Elfi e nani sembrano attori travestiti, ossia esattamente quel che sono.
Nonostante la sua diffidenza, tuttavia, Tolkien non era del tutto contrario ai tentativi di adattare il suo lavoro allo schermo. Nel 1955 e 1956 aveva egli stesso fornito alla BBC una consulenza per una drammatizzazione radiofonica in 12 puntate del Signore degli Anelli, e aveva scritto al produttore Terence Tiller una serie di lettere sempre più ansiose, piene di descrizioni minuziose di come i personaggi avrebbero dovuto parlare e dei rischi legati ai tagli della trama (un suo tipico feedback su una sceneggiatura fu: «Per quanto mi riguarda, non credo che molti, o forse nessuno, degli ascoltatori che non conoscono il libro sapranno seguire la trama o comprendere del tutto quel che sta accadendo»).
Nel giugno del 1957 Tolkien era ancora dolorante per l’esperienza, ma quando Forrest J. Ackerman, Morton Grady Zimmerman e Al Brodax, un trio di aspiranti produttori (il primo sarà un famoso appassionato, collezionista e promotore di fantascienza, editore di diverse riviste, vincitore di un premio Hugo e attore come cameo in oltre 210 film, tra cui Vampirella e uno splatter di Peter Jackson; il terzo farà fortuna con i cartoni animati di Braccio di Ferro, Casper il fantasmino e soprattutto Yellow Submarine, il lungometraggio animato dei Beatles di cui fu anche co-sceneggiatore), contattarono i suoi editori, Allen & Unwin, circa la possibilità di trarre un film dal Signore degli Anelli, era anche pronto a rischiare la «volgarizzazione» del suo lavoro purché le relative royalties ne valessero la pena. «Sull’orlo della pensione, non si tratta di una possibilità sgradevole», scrisse a Stanley Unwin; «penso che dovrei trovare la volgarizzazione meno dolorosa rispetto alla banalizzazione compiuta dalla BBC». Tre mesi dopo, i produttori inviavano a Tolkien un mucchio di note di produzione che delineavano la loro visione. Una miscela di tre ore di attori veri e animazione, con due intervalli, girata in parte fra montagne e deserti degli Stati Uniti. Tolkien fu colpito dai disegni inviatigli «[Arthur] Rackham piuttosto che [Walt] Disney», osservò con approvazione, ma fu molto meno d’accordo con le pesanti modifiche alla trama. «Stanley e io abbiamo concordato la nostra politica», scrisse al figlio Christopher, «arte o contanti. Condizioni davvero molto redditizie, o veto assoluto dell’Autore su ogni caratteristica o alterazione sgradevole». Lo script, quando finalmente arrivò, costrinse Tolkien a ricorrere al veto, e stando al suo elenco di correzioni e critiche doveva essere veramente orrendo. Gandalf era un vecchio parruccone sputacchiante, gli elfi erano minuscoli, spiritelli scintillanti abitanti un “castello fatato”, e il temibile Balrog prendeva in giro Gandalf prima di tirarlo giù dal ponte. Peggio ancora, il finale era stato completamente riscritto, e ora Sam Gamgee, il servo leale di Frodo, abbandonava l’amico durante l’attacco del ragno gigante Shelob e si incammina da solo verso il Monte Fato con l’Unico Anello. «È stato, e non è una parola troppo forte, semplicemente assassinato» (Lettere, n. 210), scriveva Tolkien riguardo al finale, ma avrebbe potuto dire lo stesso dell’intero mal concepito lavoro.
Un Hobbit mai distribuito
Nel 1966 l’animatore Gene Deitch, inventore di Tom e Jerry, collaborò con l’illustratore ceco Adolf Born alla creazione del primo vero adattamento cinematografico dello Hobbit. Nel 1964, prima che chiunque salvo alcuni oscuri ragazzini britannici ne avesse mai sentito parlare, il produttore William Snyder aveva comprato i diritti per Lo Hobbit. Il progetto languì per due anni finché Deitch non ricevette da Snyder una richiesta impossibile: spedire a New York un adattamento a cartoni animati dello Hobbit entro 30 giorni. Nel contratto si affermava infatti che per mantenere l’opzione sul Signore degli Anelli Snyder doveva meramente «produrre una versione cinematografica a colori» dello Hobbit entro il 30 Giugno 1966: e così accadde. In poco meno di un mese Deitch riuscì a tirar fuori alla bell’e meglio uno scenario supercondensato, ma sempre raccontando gli elementi fondamentali della storia per una durata di 12 minuti: la trama naturalmente era del tutto stravolta. Dopo aver proiettato il film a New York («a ognuno che fosse disposto a offrirsi come cliente diedi dieci cent, che mi restituirono», racconta Deitch) e aver ottenuto la firma dei presenti («ai pochi perplessi spettatori fu chiesto di firmare una carta dove attestavano che il giorno 30 Giugno 1966 avevano pagato il biglietto per assistere al film d’animazione a colori Lo Hobbit!»), i diritti di Snyder sull’opera di Tolkien poterono essere estesi. Il produttore li vendette immediatamente e ci fece 100mila dollari. Deitch fece due soldi. Tutta la storia e il video possono essere letti qui.
I Beatles e Kubrick
I Beatles erano dei lettori appassionati di Tolkien e avrebbero voluto fare il loro adattamento del Signore degli Anelli. Tutto accadde tra il 1967 e il 1968, quando la band era all’ apice del successo. John Lennon iniziò a scrivere una bozza per quello che sperava sarebbe stato il quinto film dei Beatles dopo A Hard Day’s Night, Help!, Magical Mystery Tour e Yellow Submarine. Il piano di Lennon era piazzare ogni membro della band nell’esatto ruolo in cui chiunque lo avrebbe piazzato: Paul McCartney sarebbe stato Frodo, George Harrison Gandalf, Ringo Starr Sam e John Lennon a imperversare nella parte di Gollum anche se, secondo il libro Fab: An Intimate Life of Paul McCartney di Howard Sounes, John voleva tenere per sé la parte di Gandalf. Sembra anche che la nota modella Twiggy avrebbe impersonato Galadriel. Come tutti i migliori progetti dalla natura vana sarebbe poi stato una cosa in grande: dapprima i produttori contattarono David Lean, il quale però era troppo indaffarato con altre pellicole, poi Stanley Kubrick. Il regista disse con sincerità che non aveva letto il libro, per cui Dennis O’ Dell, numero uno di Apple la casa discografica della band, gliene spedì diverse copie. Alla fine, però, Kubrick rifiutò l’offerta perché il romanzo era troppo «vasto» per essere adattato in un film: «Chiedete piuttosto ad Michelangelo Antonioni». Apple Film , intanto, nel 1969 aveva effettuato passi presso Tolkien per comprare i diritti sulla trama. La sua risposta non è attestata, ma sembra che lo scrittore fosse contrario e non se ne fece più nulla. Intervistato sull’argomento, McCartney ritiene che il fallimento del progetto fu probabilmente una buona cosa, perché avrebbe fatto mettere tutti i riflettori su Lennon, che voleva il ruolo più appariscente, e questo potenzialmente avrebbe irritato gli altri Beatles: «La forza degli altri film che abbiamo fatto è proprio che in essi siamo tutti uguali». Anche se sembra un po’ azzardato, non è detto che quello dei Beatles sarebbe necessariamente stato un cattivo progetto. George Harrison era in realtà un produttore cinematografico abbastanza decente: la sua casa cinematografica HandMade Films ha prodotto Brian di Nazareth dei Monty Python, I banditi del tempo, Shakespeare a colazione e Mona Lisa con Bob Hoskins e Michael Caine. Sta di fatto che in quello stesso anno Tolkien vendette i diritti alla United Artists per 104.000 sterline. L’autore morì nel 1973, dopo aver usato il denaro per istituire un fondo fiduciario per i nipoti e senza mai aver visto un singolo fotogramma di un film basato sul suo lavoro.
Sesso, sesso, sesso
Già nel 1969 la United Artists non aveva però perso tempo. Quasi non avevano ancora avuto i diritti che già avevano contattato John Boorman, che stava progettando un film fantasy ispirato dalla leggenda di Artù, chiedendogli di presentare una proposta per un film tratto dal Signore degli Anelli. Ciò con cui Boorman si presentò, tuttavia, sembrava più un intervento di chirurgia ricostruttiva. Il film proposto da Boorman suona incredibile e non ha assolutamente nulla a che fare con Il Signore degli Anelli. Per dirne una, non appena Frodo giunge nel regno boscoso di Lothlórien viene sedotto da Galadriel che se lo porta a letto, mentre in un’altra scena Aragorn e Boromir si baciano vogliosamente sulle labbra. C’è anche una scena in cui Aragorn salva la vita di Éowyn facendole provare un orgasmo magico. Lo script trasudava di sesso, l’unica cosa che mai, mai si trova in Tolkien. Inoltre, il co-sceneggiatore di Boorman, Rospo Pallenberg, non vedeva l’ora di riportare nuovamente a bordo i Beatles, anche se nei ruoli dei quattro Hobbit principali: Frodo, Sam, Merry e Pipino. Ci vollero sei mesi a Boorman e Pallenberg per scrivere il copione, cosa che fecero rinchiusi in isolamento nella fatiscente canonica di Boorman nella contea di Wicklow. Per quando il lavoro fu completato, tuttavia, il dirigente che aveva scelto Boorman per l’incarico aveva lasciato lo studio, e i suoi ex colleghi si ritrovarono molto perplessi di fronte a quest’epica libidinosa di 700 pagine per un solo film atterrata una bella mattina sulle loro scrivanie (non che sapessero abbastanza del lavoro originale di Tolkien da riconoscere la stranezza del taglio datogli da Boorman: «Nessun altro aveva letto il libro», si lamentarono in seguito). Nel 1976 la United Artists staccò la spina, una decisione che fu davvero meglio per tutti. Boorman fu in grado di riciclare la maggior parte del lavoro di preparazione nel suo nuovo progetto su Re Artù, che divenne poi Excalibur, un film con più che sufficiente fantasy sessuale da inondare tutto il mondo fino all’arrivo di Game of Thrones.
Bakshi approda al cinema
Fu così che la United Artists vendette i diritti sul Signore degli Anelli per una somma di 3 milioni di dollari alla Saul Zaentz Company, che aveva già un proprio regista visionario in fila per rilevare il lavoro. Fin dal 1950 l’animatore Ralph Bakshi aveva sognato di adattare Il Signore degli Anelli, ed era ormai abbastanza famigerato e di successo per metterci davvero le mani. Bakshi poteva aver trovato la fama con cartoni animati a luci rosse come Fritz il Gatto e Coonskin, ma, a differenza di Boorman, voleva che il suo Signore degli Anelli fosse casto come l’opera originale di Tolkien. Il suo film però non avrebbe dovuto assomigliare a nessun altro film d’animazione precedente. Bakshi era andato sperimentando con il rotoscoping, una tecnica di animazione in cui gli artisti disegnano i loro personaggi a partire da scene con attori veri piuttosto che disegnarli a mano libera, convinto che quella tecnica avrebbe dato al film l’aspetto di un’illustrazione piuttosto che di un cartone animato. I risultati non raggiunsero del tutto gli obiettivi sperati, ma si rivelarono spesso molto inquietanti, in particolare per quanto riguarda gli Spettri dell’Anello, nei loro fluenti mantelli neri, e gli orchi, grottesche e indistinte masse di denti, corna e pellicce. Il film taglia troppi angoli, con nomi mal pronunciati e buchi di sceneggiatura, ma la sua oscurità e stranezza ti rimangono attaccate. Si conclude con la battaglia del Fosso di Helm, al culmine de Le Due Torri, ma sebbene avesse incassato 30 milioni di dollari il sequel previsto, che avrebbe completato la storia, venne annullato. «Io gridavo, ma era come gridare al vento», disse Bakshi all’AV Club nel dicembre del 2000, un anno prima del primo film di Peter Jackson. «Tutto perché nessuno ha mai capito il materiale. È stata una cosa molto triste per me».
Altri adattamenti
Sullo sfondo, altri adattamenti quasi legittimi dell’opera di Tolkien iniziarono a emergere. Lo studio di animazione giapponese Topcraft produsse una versione animata dello Hobbit per la televisione Usa nel 1977, e un sequel non ufficiale del film di Bakshi nel 1980, pochi anni prima che l’azienda fosse acquistata da un tale Hayao Miyazaki e trasformata nello Studio Ghibli. Nel 1985 la televisione sovietica trasmise un film di un’ora e 11 minuti intitolato
Il Favoloso Viaggio del signor Bilbo Baggins lo Hobbit, con uno Smaug grande burattino, un Gollum vestito di lycra e Gandalf che sembrava il quarto dei Bee Gees. Il tutto era presentato da un attore con bastone e bombetta circondato dalla tipica nebbia londinese. In realtà, il film era stato girato nel 1984 come un programma per bambini inizialmente di 72 minuti e prodotto nell’ambito della serie televisiva Tale after Tale e presentava attori russi famosi come Zinovy Gerdt (Tolkien il Narratore), Mikhail Danilov (Bilbo), Anatoly Ravikovich (Thorin) e Igor Dmitriev (Gollum) e il corpo di ballo dell’Accademia di Stato di Leningrado. In una serie TV finlandese chiamata Gli Hobbit (Hobitit), in onda nel 1993, un avvizzito narratore legge brani dell’opera di Tolkien adattati per un pubblico di bambini, con scene occasionali recitate in soggettiva e in modo relativamente convincente (Kari Väänänen, una presenza regolare nei film di Aki Kaurismäki, interpreta un Gollum formidabile, rendendolo meno mostro e più reietto e buffone). Prodotta dall’emittente finlandese Yle, la miniserie di nove episodi è andata in onda sul canale Yle TV1. Scritta e diretta da Timo Torikka, includeva anche attori come Matti Pellonpää, Martti Suosalo, Vesa Vierikko, Ville Virtanen, e Leif Wager.
Le due trilogie di Jackson
Naturalmente tali sforzi furono ben presto eclissati dal Signore degli Anelli di Peter Jackson e dai prequel basati sullo Hobbit che seguirono. Nonostante il successo della serie, tuttavia, i rapporti tra il produttori dei film e la Tolkien Estate difficilmente potrebbero essere peggiori. Una lunga disputa legale sui profitti rivenienti dal Signore degli Anelli di Jackson venne a galla nel febbraio 2008, quando gli amministratori della Tolkien Estate citarono in giudizio la New Line Cinema per una cifra, si dice, di 170 milioni di euro. La causa fu risolta dal tribunale nel 2009 per una somma non resa pubblica, e tuttavia ciò non fu sufficiente per rendere Christopher Tolkien più incline a un atteggiamento benevolo verso il lavoro di Jackson. «Hanno squartato il libro rendendolo un film d’azione per giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni», Christopher ha dichiarato al francese Le Monde nel 2012. «L’abisso tra la bellezza e la serietà dell’opera e quel che è diventata mi ha sconvolto». «La commercializzazione ha del tutto azzerato l’impatto estetico e filosofico dell’opera. C’è solo una soluzione per me: voltare la testa dall’altra parte». E come suo padre avrebbe senza dubbio consigliato, volgerla verso le parole.
che ringraziamo per la collaborazione)
ARTICOLI PRECEDENTI
– Vai all’articolo Il primo vero film dello Hobbit (che non fu mai distribuito)
– Vai all’articolo Primo round a Warner sulla Tolkien Estate
– Vai all’articolo Christopher Tolkien su Le Monde: «Un circo Barnum su mio padre»
LINK ESTERNI
– Vai al sito della Tolkien Estate
– Vai al sito della Middle-earth Enterprises, divisione della Saul Zaentz Company
– L’articolo di Le Monde: Tolkien e l’anello della discordia (di Raphaëlle Rérolle)
.
Non sapevo assolutamente nulla dello scempio al quale stavamo per assistere con Boorman… In effetti anche per me il fantasy è qualcosa di Puro, “al di sopra del Bene e del Male”. Bellissimo ed interessantissimo articolo. Grazie