Arriva Halloween: ecco a voi i non-morti in Tolkien

di Barbara Sanguineti
UndeadSi avvicina la fine di ottobre. Il sole passa timido nel cielo, le sere si allungano, e,
come vuole la tradizione, a giorni si aprirà il varco tra il nostro mondo e quello degli
spiriti: per una notte le strade saranno scenario di sfrenate scorribande
soprannaturali. Tra gli esseri più inquietanti che busseranno alla nostra porta per
esigere il loro obolo di dolci o paura, ci sono spettri, vampiri, scheletri: in una parola, i
non morti.
Il non-morto è un individuo che, dopo la morte, ritorna o persiste nel nostro
mondo, spesso attraverso sortilegi o maledizioni
. In effetti, che cosa determina la
nascita di tali creature? Miti e leggende si sono sbizzarriti a indicare le cause di questa
sinistra forma di esistenza: nella maggior parte dei casi si tratta dell’estrema malvagità
del defunto, di un contagio o di un intervento magico esterno
(è il caso di vampiri e
zombie); oppure diventa non-morto chi ha subito una morte violenta, un torto che
richiede riparazione, o chi ha infranto una promessa solenne (come avviene per i
fantasmi).
Presenti ovunque nel folklore, i non-morti ci ammoniscono a non violare il
naturale ordine delle cose per un mal riposto desiderio di eternità. In origine esseri
umani proprio come noi, essi sono poi stati condannati a vagare nel nostro mondo
senza pace, sospesi in un’esistenza dove il carisma soprannaturale si paga con
moneta di sangue (vampiri), e l’eternità non è che un’eco ossessiva di torti subiti o
arrecati (fantasmi).
Le leggende su queste creature sono uno sguardo gettato dall’umanità oltre la
soglia che più ci spaventa, quella della morte. Come sempre avviene, la paura ha poi
trovato l’esorcismo più efficace nella risata: ridotte a fantocci grotteschi queste figure
hanno popolato i teatrini di marionette, il grand-guignol, i luna-park, i film di serie B.
Eppure la connessione con la morte e il dopo-vita rende i non-morti creature
estremamente ‘serie’, esseri metafisici che permettono di comprendere meglio il
rapporto con l’Aldilà tipico della cultura che li ha generati. Un esempio per tutti: a
partire dall’Ottocento la figura del vampiro, presente fin dall’antichità, assume i
caratteri di ‘titanismo’ propri di certe correnti romantiche, come se, nella sua scelta di
una vita eterna ma dannata, questa creatura potesse rappresentare la ribellione
dell’uomo verso le leggi di Dio.
L’espressione non-morto è un calco dall’inglese undead. Fu Bram Dracula di Bram StokerStoker a impiegare questo termine per designare il vampiro nel suo romanzo Dracula (1897)
e da allora in poi la parola è stata riferita generalmente a tutti gli esseri che mantengono apparenza di vita dopo la morte. Anche in Tolkien troviamo il termine undead, per esempio in bocca a Éowyn quando affronta il Re dei Nazgûl per difendere Theoden: “For living or dark undead, I will smite you, if you touch him”, “Perché, che tu sia creatura vivente o oscuro non-morto, ti distruggerò, se lo tocchi.” (The Lord of the Rings, The Return of the King, The Battle of the Pelennor Fields).

I non-morti in Tolkien

Come tutti i grandi autori, Tolkien sa alternare efficacemente nella narrazione un
vasto spettro (pun intended!) di emozioni. Quando si tratta di suscitare la paura è
naturale che ricorra anche a creature non-morte, come i Fantasmi dell’Anello o i Morti
di Dunharrow
.
E non vi è dubbio che i non-morti tolkieniani abbiano molte caratteristiche
tipiche della tradizione
:
– essi sono in grado di incutere il terrore in chiunque li veda. Questa è l’arma
principale dei Morti di Dunharrow, che volgono in fuga i Corsari di Umbar ispirando
loro un panico incontrollabile; ma anche i Nazgûl irradiano un’aura di terrore e il loro
grido, come quello degli spettri irlandesi banshee, lacera le orecchie e i cuori (e può
addirittura mandare in frantumi gli oggetti!).
– L’esistenza dei non-morti è talora legata alla morte violenta, come nel caso
degli Spiriti delle Paludi Morte, guerrieri caduti in antiche battaglie che appaiono a
Frodo e Sam sotto forma di immagini evanescenti, ipnotiche, simili a fuochi fatui
(sappiamo dalle Lettere che per questo episodio Tolkien trasse ispirazione dai
massacri della Somme).
Morti di DunharrowDobbiamo pensare che la prossimità con un luogo malefico, la Terra di Mordor,
agisca come catalizzatore per l’apparizione di queste vittime di morti cruente (un po’
come accade per i fantasmi dell’Overlook Hotel in The Shining di S. King).
– I Morti di Dunharrow, guerrieri codardi che in vita violarono il giuramento di
fedeltà al re Isildur, sono il classico caso di anime condannate alla non-morte per aver
infranto un voto. E soltanto l’erede di Isildur, Aragorn, li libererà dalla maledizione
dopo che questi l’avranno assistito in battaglia.
– Anche i non-morti tolkieniani sono incorporei, in parte o completamente, e
quindi non vulnerabili alle armi normali ma soltanto a quelle magiche o a modi
speciali di offesa: ecco dunque il Re Stregone di Angmar, immune ai colpi di schiere
di uomini ma destinato a perire per mano della guerriera Éowyn.
– La tipica avversione verso la luce del sole presente nel folklore ritorna anche
nelle pagine di Tolkien, così come la repulsione per l’acqua: ricordiamo i Nazgûl
travolti e dispersi dalla piena magica del fiume Bruinen.
– Come molte creature non-morte delle leggende, i Nazgûl hanno un respiro
velenoso, Il Soffio Nero (‘the Black Breath’), che induce malessere e perdita di
conoscenza. La ferita inferta a Frodo dal pugnale dei Nazgûl, inoltre, ha tutte le
peculiarità del morso di un vampiro, difficile da curare e debilitante per la vittima.
Nelle opere di Tolkien non troviamo veri e propri vampiri – quelli citati nel
Silmarillion sono in realtà enormi pipistrelli – ma, a ben pensarci, l’Unico Anello e i set
di Nove e Sette anelli dati ad Uomini e Nani possiedono molte caratteristiche tipiche
dei vampiri: seducono e soggiogano coloro che li maneggiano, ne sottraggono la
forza vitale e poco per volta li trasformano in creature notturne, veri e propri spettriLee - Dracula
(wraiths) sospesi tra il mondo reale e la dimensione di ombre della non-morte. C’è
stato chi ha voluto addirittura tracciare un paragone tra Sauron e Dracula,
sottolineando che lo sguardo di entrambi ha le stesse caratteristiche ipnotiche, capaci
di creare un esercito di schiavi da manovrare come burattini (Hood, Gwenyth. Sauron and Dracula. «Mythlore» 52 Winter (1987): 11-17, 56.).

L’essenza degli undead tolkieniani

Volendo addentrarci più a fondo nell’essenza di queste creature, troviamo il
momento cruciale dell’esistenza degli undead tradizionali: il momento della
trasformazione, del passaggio dalla vita alla non-morte. In molti casi, come per i
vampiri e tutti quei non-morti che ritornano con il corpo, si tratta di un vero e proprio
decesso seguito da una ‘resurrezione’: infatti in molte regioni europee i non-morti
sono stati chiamati ‘revenant’, coloro che appunto fanno ritorno dagli oscuri territori
della morte.
A questo punto occorre fare un’osservazione, importante perché conferma
ancora una volta l’originalità e la coerenza di Tolkien: negli undead da lui descritti
manca completamente il momento di morte seguito da rinascita fisica. I non-morti di
AngmarTolkien sono semplici spiriti, come gli Spergiuri, oppure, se hanno corpo fisico come i
Nazgûl, giungono allo stato di non-morte per un processo di lenta consunzione e non
attraverso un decesso vero e proprio. E questo non è un dettaglio da poco, anzi esso
distingue gli undead tolkieniani da quelli tradizionali che ‘risorgono dalla tomba’.
Nell’universo tolkieniano, quando l’anima di un Uomo si divide dal corpo al
momento della morte, il corpo decade e l’anima sosta brevemente nelle aule di
Mandos per poi passare definitivamente altrove: un altrove che neppure i Valar
conoscono. Non c’è sortilegio o titanismo che tenga – una volta che l’anima e il corpo
di un Uomo si sono separati, essi non possono riunirsi nuovamente, salvo che Ilúvatar
lo voglia – e in tutto il legendarium vi è un solo caso in cui questo accade.
Prova a rinforzo di ciò sono gli Spettri dei Tumuli, creature che non ho nominato
finora proprio perché, malgrado le apparenze, non sono affatto non-morti: si tratta
infatti di spiriti maligni inviati dal re stregone di Angmar ad infestare le tombe e i resti
degli eroici condottieri Dúnedain, in spregio alla loro grandezza. Le ossa dei defunti
vengono animate sì, e con intento malevolo, ma Tolkien dice esplicitamente che a
possedere i resti umani sono spiriti estranei, non certo le anime che avevano abitato
quei corpi.
Anche qui nessuna ‘resurrezione’ dunque. Tolkien è categorico: le leggi che
presiedono al passaggio dalla vita alla morte e l’incarnazione dell’anima nel corpo
sono esclusivo appannaggio di Ilúvatar
, e il Male, o qualsiasi altra entità, non potrà
mai compiere resurrezioni più di quanto non possa creare dal nulla.
Ecco quindi che l’unica vera resurrezione nella storia di Arda avviene in
circostanze eccezionali, con il beneplacito di Ilúvatar: dopo la morte di Beren, lo
spirito di Lúthien si spinge fino a Valinor per reclamare indietro il suo amato, e,
proprio come Orfeo, intona un canto così struggente che lo stesso Mandos, Vala del
Fato, ne viene commosso; Manwë, interprete del volere di Iluvatar, concede ai due
amanti di tornare nella Terra di Mezzo e di terminare, con i loro corpi mortali, la loroHalloween
vita insieme.
Fatto singolare, e significativa conclusione di questa carrellata sui non-morti, è
che l’isola su cui i due amanti si stabiliscono venga poi chiamata dagli Eldar ‘Dor-Firni-
Guinar’ cioè ‘La Terra dei Morti Viventi’ (The Land of the Dead that live in inglese).
Questo nome può farci sorridere, riportandoci alla mente gli zombie-movies
degli anni ’70-’80; ma per Tolkien sanciva, anche nella toponomastica, l’eccezionalità
di un evento – il ritorno dalla morte – che nessuna magia o intento avrebbe mai potuto
realizzare, se non l’amore nella sua forma più estrema.

Happy Halloween

.



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  1. Pubblicato il numero 19 della rivista Endóre « Tutto sul mondo di J.R.R. Tolkien e dintorni – Tolkien Society of Italy

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