Qualche settimana fa, avevamo già annunciato della presenza a Milano dal 17 al 19 febbraio 2016, di John Howe. Uno dei più famosi e riconosciuti illustratori del mondo di J.R.R. Tolkien ha tenuto all’istituto Mimaster illustrazione un workshop dedicato alla progettazione e realizzazione di un personaggio fantastico, cui ha anche partecipato uno dei nostri artisti, Andrea Piparo (qui trovate il suo resoconto). E per l’occasione il 18 pomeriggio Howe ha voluto incontrare il pubblico nell’ambito della conferenza dai posti limitati tenutasi al Laboratorio Formentini per l’Editoria per raccontare il suo lavoro e rispondere alle numerose domande degli appassionati. L’Associazione Italiana Studi Tolkieniani era presente con un bel gruppo di soci giunti a Roma, Bologna e Verona, ma soprattutto con uno dei soci fondatori, lo scrittore Wu Ming 4, che era in cattedra a fianco dell’artista canadese ed è intervenuto per raccontare la realtà italiana di questi ultimi anni, descritta anche nel libro Difendere la Terra di Mezzo. L’incontro è stato l’occasione anche per il presidente Roberto Arduini, durante la cena serale, per farsi raccontare la sua storia, il suo rapporto con le opere di Tolkien e la sua passione per la Terra di Mezzo. Ecco un resoconto di questo intenso incontro.
Dal Canada alla Nuova Zelanda
Come John Howe è giunto nel campo dell’illustrazione fantastica non è una storia sorprendente. Durante la cena, l’artista inizia a raccontarsi: nato nel 1957 a Vancouver, è cresciuto nella Columbia Britannica, fin da giovane ha coltivato il suo talento artistico. Howe ricorda di essere «scoppiato in lacrime di frustrazione quando non riuscivo a disegnare una mucca nel modo che volevo». Poi, come molti adolescenti, verso la fine degli anni ’60 e primi anni ’70, ha scoperto Il Signore degli Anelli e cominciò a divorare romanzi fantasy in edizione economica, facendone collezione «per via delle copertine». Era attratto da artisti come Frank Frazetta (un «semidio»), Barry Smith (Conan) e Bernie Wrightson (Swamp Thing). La scoperta dei calendari su Tolkien realizzati dai fratelli Hildebrandt (1976-1978) gli ha fatto capire che la Terra di Mezzo «poteva essere illustrata». Così, Howe ha iniziato a disegnare le sue versioni delle stesse scene che gli Hildebrandt avevano fatto. Nel 1976, Howe si trasferisce in Francia per frequentare la scuola d’arte a Strasburgo. Si è poi trasferito in Svizzera, vicino a Neuchâtel, e da allora vive lì. Howe raggiunge la notorietà internazionale con le sue copertine dei dodici volumi della History of the Middle-earth Nel 1997 cominciò la sua fiorente collaborazione con Peter Jackson per la realizzazione della trilogia cinematografica sul Signore degli Anelli e poi sullo Hobbit, che lo ha impegnato per sei anni e mezzo in Nuova Zelanda (due anni di lavoro per Il Signore degli Anelli e quattro anni e mezzo per Lo Hobbit). Nel corso della sua carriera, la sua arte ha assunto molte forme: cartoni animati politici, illustrazioni di riviste, fumetti, pubblicità e film d’animazione. Ha esposto la sua arte in molte occasioni. In Italia è venuto in due occasioni: nel 2001 fu ospite d’onore a Lucca Comics & Games e successivamente, nel gennaio 2003, fu presente all’inaugurazione della mostra “Una lama nel buio -Viaggio nella Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien”, organizzata dalla Società Tolkieniana Italiana. Ha anche fatto il passaggio dalla grafite alla penna digitale.
L’incontro con John Howe
«Ho scoperto le opere di Tolkien nel 1969, quando avevo 12 anni», ha esordito John Howe all’incontro. «A quei tempi non potevo permettermi di comprare un libro, quindi andai in biblioteca. Ero molto incuriosito dal Signore degli Anelli, ma non riuscendo a trovare il primo volume, iniziai a leggerlo direttamente dal secondo volume, poi lessi il terzo. Non lo trovai così interessante e non capivo perché piacesse così tanto. Soltanto più tardi lo lessi nell’ordine giusto e capii che non era così male!». Howe racconta che fino ai calendari degli Hildebrandt (fine anni ’70) non esistevano in pratica illustrazioni della Terra di Mezzo. «Grazie a quei calendari, mi resi conto che quell’universo immaginario poteva essere illustrato, che aveva potenzialità immense, così iniziai a lavorarci», spiega l’artista. E il lungometraggio animato di Ralph Bakshi del 1978? «Sì, anche quello mi ha influenzato, ma in negativo. Perché dopo averlo visto ho capito che quello non sarebbe stato il mio stile!», rivela ridendo. «C’è però un collegamento tra il lavoro di Bakshi e la trilogia di Peter Jackson», dice. «È la scena degli hobbit nascosti sotto una radice per sfuggire al Cavaliere Nero. Quella scena di Bakshi mi colpì al punto che nel ’91 ne illustrai una mia versione, che fu poi la base per lo sviluppo della scena corrispondente nel film».
Wu Ming 4 gli chiede: Come superare questa saturazione dell’immaginario della Terra di Mezzo causata dai film di Peter Jackson? «Succede a tutte le opere che hanno avuto un forte impatto sul pubblico. È successo ad esempio con Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui ci sono state 45 edizioni del libro illustrate sempre dallo stesso artista. Una cosa simile è capitata al Mago di Oz. Un’interpretazione visiva di un’opera dipende da quanto noi osservatori siamo dipendenti dai riferimenti visivi del nostro contesto socio-culturale. A contribuire al successo della versione targata Peter Jackson del Il Signore degli Anelli è stato un medium potente e di massa come il cinema», è la considerazione dell’artista. Secondo Howe è sempre bello quando un medium prende in prestito una storia da un altro medium. Un brutto film non può far danno al libro da cui è tratto: se non è piaciuto il film non per questo si smetterà di amare il libro. Se invece il film è bello avrà un effetto positivo anche sul libro, aumentando notevolmente il numero dei nuovi lettori. «Probabilmente il motivo della popolarità di cui godono ancora oggi le opere di Tolkien», aggiunge l’artista, «è che non scrisse i suoi libri come commento sociale al suo periodo storico, nonostante si trattasse di un momento drammatico. Se un’opera non è strettamente legata al periodo in cui è stata scritta, continuerà a sopravvivere e avere diverse interpretazioni nel corso delle epoche, anche se non si può prevedere quali saranno gli illustratori a rimanere impressi a lungo nella mente dei lettori». Secondo Howe, Tolkien si presta bene alla trasposizione visiva proprio perché è un autore che non descrive molto i personaggi. Nei suoi libri, lo scrittore più che sull’aspetto fisico degli eroi, si concentra sulle loro sensazioni e sentimenti. «Una della domande che più dividono i lettori è se il Balrog abbia le ali o meno!», spiega. «Nel libro la descrizione è scarna, ma invece sono ben note le emozioni che i membri della Compagnia provano nel vedere la creatura».
L’ultima domanda riguarda il metodo di lavoro suo e di Alan Lee nei film di Peter Jackson: «Il concept-artist deve aiutare il regista a rappresentare l’universo in cui il film è ambientato. Bisogna costruire un ambiente che sia coerente e adatto ai personaggi», spiega Howe. «Per ogni location facevamo un briefing con Alan e Peter, poi andavamo sul luogo insieme. Alan ed io facevamo moltissimi schizzi, anche con diverse tecniche e punti di vista. Peter sceglieva le idee che gli piacevano di più, poi noi le sviluppavamo nei dettagli in modo che potessero fare da ispirazione per gli artisti che dovevano creare i modelli in 3D e per gli scenografi che dovevano realizzare i diversi set. In seguito, noi intervenivamo di nuovo solo in post-produzione realizzando i concept che servivano per realizzare gli effetti e le immagini digitali da sovrapporre al green screen». Howe però ci tiene ha puntualizzare una cosa importante, nessuno può attribuirsi la paternità di un personaggio: «Gollum ne è un esempio. Il personaggio non deve la sua caratterizzazione solo ai disegni, ma molto del suo impatto visivo sullo spettatore è dovuto all’attore. Andy Serkis è responsabile al 90% di quello che è stato il personaggio. Il concept artist deve rendere verosimile l’ambiente, ma quando entra in scena l’attore, il resto passa in secondo piano».
L’intervento di Wu Ming 4
Lo scrittore bolognese ha dato molti spunti alle riflessioni di John Howe. Qui riportiamo il suo intervento pubblicato oggi sul quotidiano La Repubblica, in una doppia pagina dedicata a John Howe.
«Perché, a oltre sessant’anni dalla pubblicazione, Il Signore degli Anelli è uno dei romanzi più letti e più amati della letteratura contemporanea? La risposta che certa critica paludata ha continuato a darsi per tutto questo tempo è che si tratta di un’avvincente favolona, solo più lunga delle altre, capace di soddisfare le fantasticherie tardoadolescenziali dei lettori. Questo è il massimo che si è voluto concedere a un caso letterario più unico che raro per persistenza e penetrazione nell’immaginario collettivo, che ha dato origine a un vero e proprio fenomeno culturale. Parliamo di un romanzo di mille pagine, pieno di personaggi e sottotrame, di nomi, frasi e versi poetici in lingue inventate, con lunghe appendici che forniscono nozioni storiche, etnografiche, lessicali. Mille pagine che a loro volta rimandano ad altre migliaia, solo in parte pubblicate e per lo più postume, e che raccontano un intero mondo fantastico, dalla creazione fino alle soglie della Quarta Era. In poche parole: un’architettura narrativa tra le più coerenti e complesse che siano mai state progettate da un singolo autore.
Allora è questo “effetto di profondità” la chiave del successo e della tenuta del Signore degli Anelli? In parte. Il gioco della scoperta di un mondo è senz’altro affascinante e coinvolgente, ma perché il gioco diventi serio bisogna che in quello scenario si incontrino personaggi e temi in grado di parlare alle nostre vite. La grande letteratura, o semplicemente quella buona, fa i conti con gli universali. Nel più celebre romanzo di Tolkien, attraverso gli occhi degli Hobbit, che sono quelli di noi uomini moderni, si affrontano questioni come la necessità di scegliere, il rapporto tra mezzi e fini, o quello tra umanità e natura, il desiderio di sfuggire alla morte.Proprio il tema della morte, scriveva Tolkien in una lettera dei tardi anni Cinquanta, è la chiave di volta del Signore degli Anelli. Vale a dire l’umana contraddizione tra “la libertà dal tempo e l’aggrapparsi al tempo”. C’è forse qualcosa di più universale e insieme attuale, nell’epoca in cui la morte è diventata un tabù? Ecco dunque il segreto della longevità del romanzo di Tolkien. Un grande scenario, ampio e complesso quanto un mondo in crisi; una storia epica ed avvincente; personaggi alle prese con i dilemmi morali e i conflitti psicologici della nostra esistenza. Gli ingredienti per un grande classico della letteratura sono tutti lì. Basta volersene accorgere».
(Le fotografie sono su cortese concessione del “Mimaster illustrazione” e realizzate da Irene Fanizza)
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Il 18 febbraio John Howe a Milano
LINK ESTERNI
– Vai al sito di Mimaster illustrazione
– Vai al sito di John Howe
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Grazie, grazie, grazie!Splendido articolo che conferma ancora una volta, anche se non ce n’è bisogno, la vostra sensibilità e l’amore per l’Opera del Professore che vi “illumina” rendendovi straordinari divulgatori.
Grazie di cuore!