Il Tolkien Day 2017 si sta avvicinando in maniera inesorabile. Come ogni giorno continuiamo a proporvi dei contenuti esclusivi per accompagnarvi fino al giorno dell’evento, il 25 marzo, giorno in cui si terrà la manifestazione organizzata dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani in collaborazione con LudoManiacs. Il programma è stato oramai comunicato da qualche giorno e, in precedenza, vi abbiamo presentato alcuni degli ospiti e dei temi che occuperanno la giornata, tra cui la poesia, la musica, con special guest gli Holy Martyr. Oggi è la volta di Roberta Tosi, critica e curatrice d’arte oltre che presidente della Compagnia degli Argonath di Verona, che terrà una conferenza intitolata Esiste un’arte Elfica? Tolkien e la creazione letteraria nella Terra di Mezzo alle 16.15 presso il Macro Cafè. Nell’intervista che segue si parlerà di Elfi, di arte e del nuovo romanzo fantasy dell’autrice Nicolas Kee e il Viaggiatore del Domòn (Delmiglio editore).
L’intervista
Benvenuta Roberta nel sito dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Siamo felici di averti qui e grazie del tempo. Iniziamo questa discussione parlando ovviamente di come hai scoperto J.R.R. Tolkien.
Mi sento onorata di essere qui, grazie a voi. Venendo invece subito alla prima domanda, posso dire di aver scoperto Tolkien per caso. Quando frequentavo il liceo (ormai un bel po’ di tempo fa) nessuno dei miei amici sapeva chi fosse quest’autore, all’epoca non erano ancora usciti i film. Io sono sempre stata una grande lettrice, da ragazzina divoravo letteralmente i libri e più erano voluminosi, più ci andavo a nozze. Quando vidi per la prima volta sul bancone di una libreria di Verona, Il Signore degli anelli, fu amore a prima vista. Non avevo idea di cosa fosse, né di cosa parlasse ma quel libro stava chiamando me! Non potei comprarlo subito, perché per le mie finanze era un po’ costoso ma alla prima occasione me lo feci regalare.
Qual è stata la tua prima impressione quando hai finito il primo libro di Tolkien?
Credo di aver pianto alla fine, per il distacco, la separazione nella storia e perché io stessa ormai l’avevo finito. Tuttavia, avevo anche chiara la sensazione di aver letto qualcosa di grandioso, di epico, che facevo fatica a lasciare andare.
Assieme alla tua attività con la Compagnia degli Argonath hai sempre portato avanti la passione per l’arte, che poi è diventata il tuo lavoro. Come sappiamo J.R.R. Tolkien era anche un buon illustratore, tu in che modo lo definiresti?
Tolkien è sorprendente, anche in questo. La stessa accuratezza con la quale crea le sue storie potremmo dire che viene riportata anche nel disegno, nell’illustrazione, nell’acquerello, che era la tecnica da lui più utilizzata. Non lascia niente al caso, neppure qui. Non era un professionista ma per la cura che riservava alle sue illustrazioni, si comportava come tale.
Se dovessi avvicinare Tolkien a un grande della pittura, chi sceglieresti e perché?
Se ci riferiamo alla sua espressività narrativa, all’infinità di particolari e dettagli che arrichiscono l’affresco delle sue storie, lo avvicinerei a un artista fiammingo, di quelli vissuti tra 4-500. Un Jan Van Eyck per intendersi, oppure un Hans Memling, anche se quest’ultimo era di origine tedesca, dove non mancano gli elementi soprannaturali, in certi casi potremmo dire quasi fantastici, ma sono resi con una precisione molto realistica così come ogni singolo particolare, ogni stelo d’erba è rappresentato con una cura infinita.
Al Tolkien Day terrai una conferenza sugli Elfi e l’arte. È, secondo te, questa razza a rendere maggiormente l’armonia della pittura? Se sì, in che modo?
Io credo che più che l’armonia della pittura, gli elfi incarnino proprio una sensibilità particolare nei confronti della realtà, che è tipica degli artisti. Ci sono vari indizi in cui Tolkien ci mostra questa loro specificità. Nel SDA, per esempio, vi è quel dialogo molto bello tra il concreto Gimli e l’acuto Legolas riguardo alle azioni degli uomini in cui il primo ne vede solo l’aspetto fallimentare “ed essi non portano a compimento la loro promessa”. L’altro invece ha uno sguardo che va oltre, anche se non ha tutte le risposte:
“Eppure è raro che i loro semi non germoglino”. Questo è l’atteggiamento tipico dell’artista che dà vita alla propria opera perchè sente che quella è la strada da percorrere, che i frutti del suo lavoro sono sempre davanti a lui, non alle spalle.
Gli Elfi sono sicuramente la razza che più affascina gli amanti del fantasy, anche al di là del mondo tolkieniano. Qual è il motivo, secondo te?
Secondo me, nell’immaginario collettivo, gli elfi rappresentano il meglio di un’umanità redenta: l’uomo come avrebbe potuto essere. Sono tutti belli, saggi, vivono in armonia con la natura e mantengono un giusto equilibrio con la realtà circostante. Si occupano di poesie e canti, di arte in generale. In più sono i custodi della bellezza sulla terra (almeno sulla Terra di Mezzo). Non ultimo, sono immortali, sempre che non vengano uccisi.
In realtà Tolkien ci dice anche che “non tutto quel ch’è oro brilla”. Gli elfi non sono solo così, intoccabili e splendenti. Anche loro si lasciano sedurre e ingannare. Melkor, ne Il Silmarillon, riuscirà a rubare infatti le preziose pietre, i Silmaril, causando proprio l’esodo degli elfi e le lunghe lotte che ne seguirono. Ne Lo Hobbit gli Elfi Silvani non si presentano proprio così ospitali come la loro razza vorrebbe. E perfino nel SDA sono molto cauti nel dare il loro aiuto nel momento del bisogno.
Insomma una bella razza sì, ma meglio andarci piano con l’entusiasmo.
Sono stati pubblicati diversi libri sull’arte di Tolkien, da “L’arte de Lo Hobbit” a quella de “Il Signore degli Anelli”. Come giudichi queste opere?
Sono pubblicazioni molto interessanti che raccontano l’evoluzione del pensiero di Tolkien anche nella sua rappresentazione figurativa. Sono un tassello ulteriore nella conoscenza dell’opera del Professore che ci rivelano quanto fosse preciso, come dicevo prima, nella narrazione, di quanto avesse pensato, immaginato ma anche raffigurato le parti salienti della sua opera. Si può apprezzare, passo dopo passo, lo studio stesso di particolari come la caverna di Bilbo, o la montagna di Smaug, o l’elaborazione della mappa della Terra di Mezzo e così via… Diciamo che parlano molto della sua arte in riferimento però alle opere letterarie, non tanto come fine a se stessa
C’è qualche autore fantasy contemporaneo che ritieni in grado di eguagliare o di avvicinarsi al modo di dipingere (per iscritto) i luoghi e i personaggi di Tolkien?
Di eguagliare sinceramente no. Almeno a me non viene in mente nessuno. L’unico che forse un po’ si è avvicinato è Michael Ende, con la Storia Infinita. Non a caso Ende era figlio del pittore surrealista Edgar… Un altro artista appunto.
Per quanto riguarda te, invece, hai qualche altro scrittore fantasy di riferimento oltre a Tolkien?
La risposta sembra quasi banale ma chi, in questi ultimi anni mi ha davvero entusiasmato è stata J.K. Rowling con, ovviamente, la saga di Harry Potter.
Dopo diversi saggi scritti e mostre curate hai deciso di buttarti nel mondo della narrativa fantasy. Puoi raccontarci com’è accaduto?
Devo dire che, in questo caso, vi ha contribuito molto la mia frequentazione degli artisti. Quando parlo con loro, in libertà e mi faccio raccontare la nascita della loro opera spesso ricorre questa frase “Quando creo, mi isolo nel mio mondo”.
Quale mondo? Mi è venuto spontaneo chiedermi. In che mondo vanno gli artisti quando creano? I pittori, gli scultori, ma anche i musicisti, gli scrittori?
Questo è stato lo spunto per iniziare il mio racconto.
Il tuo primo romanzo Nicolas Kee e il Viaggiatore del Domòn sarà pubblicato a breve. Da dove viene l’idea di base?
L’idea nasce proprio da quanto detto prima e dal fatto che in molte delle vite documentate degli artisti del passato sembra sempre che ci sia un vuoto temporale in cui questi “spariscono” dalle cronache del loro tempo per ricomparire soltanto con la loro prima opera accertata. Un vuoto che mi ha consentito di rendere più concreta la mia idea di partenza.
Cos’è il Domòn e cosa ti ha ispirato nella scelta?
Il Domòn è proprio questo mondo delle idee e dell’arte, della creatività e della visione. In fondo è una sorta di mondo, come il nostro, in cui vi è qualcosa in più o qualcosa di meno a seconda del punto di vista. Mi ha ispirato la vita di un artista, in particolare, che faceva proprio al caso mio.
Molti romanzi fantasy hanno alla base qualche tratto autobiografico. Il tuo ne ha qualcuno?
Sicuramente sparsi qua e là ci sono degli elementi che si ricollegano al mio vissuto. Il protagonista, per esempio, è un ragazzo che legge molto, come ho sempre fatto io anche alla sua età e, allo stesso tempo, disegna e riempie album e quaderni di schizzi e disegni. Io, fino alle medie, facevo esattamente così. Ho ancora i miei quaderni pieni delle storie che inventavo, disegnando a fumetti…
Nel tuo libro occupa un posto importante la figura di Tintoretto. Come prima cosa ti direi se vedi qualcosa in comune tra Tintoretto e Tolkien…
Non vedo molte affinità tra i due perché se il primo era molto frenetico in tutto ciò che faceva, l’altro era invece molto più metodico anche se un po’ disorganizzato. Però una cosa li accomuna senz’altro: entrambi sono stati dei “visionari”, per il tempo in cui vivevano, anche se in modi totalmente diversi.
Perché proprio Tintoretto?
Non ricordo molto della storia dell’arte studiata alle superiori, per non dire quasi niente. Solo un’opera mi rimase impressa nella mente, in quel periodo, un’opera proprio di Tintoretto. Si trattava del “Ritrovamento del corpo di San Marco”. Quell’opera, non so perché, mi colpì e mi accompagnò per molto tempo fino a quando non iniziai a studiare sul serio. Tintoretto poi l’ho trovato perfetto per il mio racconto per via della sua arte, così anticonformistica nel XVI secolo, ma non tanto per i soggetti rappresentati ma per la frenesia della sua creatività, per l’impulsività della sua pennellata e il desiderio di esserci, sempre, seppur tra luci e ombre. E poi sicuramente anche per le sue vicende personali, la sua vita ma non voglio rivelare troppo…
Il Domòn è descritto proprio come fosse il paesaggio di un quadro. Avevi qualche particolare opera in mente quando lo mettevi su carta?
Beh, questo è un bellissimo complimento e me lo tengo stretto, grazie. In realtà no, non avevo un riferimento in particolare ma vivendo in mezzo alle opere d’arte, ai dipinti, credo che questi, nel procedere con la descrizione dei luoghi, mi venissero in soccorso per poterli descrivere e raccontare meglio.
Quanto hai lavorato sull’idea e sulla stesura prima di arrivare a una forma definitiva?
L’idea, una volta focalizzato il punto di partenza, in realtà è venuta da sé. Avevo chiaro l’impianto narrativo ma non sapevo ancora che forma avrebbe preso. Credo di aver lavorato quasi un anno al racconto. Poi, la stesura definitiva, ha visto mie continue riprese, correzioni, cambiamenti, accorciamenti. Un po’ come la famosa tela di Penelope… mi sembrava non potesse essere mai finito e questo si è protratto per molto, molto tempo.
Da critica d’arte ti sei affidata a un noto artista per la realizzazione della copertina. Com’è nata la tua collaborazione con Friba?
Friba è un artista straordinario, umanamente e professionalmente. Mi contattò lui stesso quasi due anni fa. Friba è originario di Rimini e aveva saputo che avevo portato al Meeting di Rimini la mostra che avevo curato dal titolo “In te c’è più di quanto tu creda”, dedicata a Lo Hobbit. Lui non aveva fatto in tempo a vederla ma mi comunicò subito la sua grande passione per Tolkien. Iniziammo così a confrontarci su tanti aspetti sia letterari che artistici, trovando molti punti in comune. In entrambi vi era il desiderio di poter realizzare qualcosa di bello insieme, che avesse a che fare col fantasy. Lo scorso anno gli parlai allora di questo mio romanzo… Io speravo davvero che l’idea gli piacesse perchè, secondo me, sarebbe stato in grado di realizzare una copertina e delle immagini favolose con un soggetto così. Volle leggere il libro, anche se non definitivamente corretto, e, devo dire, si entusiasmò. Mentre lo leggeva infatti iniziava già a realizzare dei bozzetti per delle future illustrazioni. Da lì poi il passo fu breve e oggi il frutto di questa collaborazione e della sua maestria si può apprezzare vedendo la copertina del mio libro, con l’augurio che questo sia solo il primo…
Hai già in mente se e come continuare la storia di Nicolas?
Non posso anticipare troppo ma penso proprio che Nicolas non abbia concluso del tutto la sua storia e quindi sì… andrò sicuramente avanti. Se ne vedranno delle belle…
Se dovessi convincere una persona a leggere il tuo libro, su cosa punteresti per differenziarti dai molti fantasy in commercio?
Che bella domanda! Forse bisognerebbe farla ai futuri lettori però io potrei dire questo: Se ti piace leggere il fantasy ma sei stufo di elfi e draghi, se ami l’avventura e l’arte, se credi che questo mondo abbia ancora bisogno di eroi, anche se i più impensati, e, nonostante ti dicano il contrario, pensi che che la letteratura fantastica sia un modo meraviglioso per guardare alla realtà da un’altra angolatura, beh… allora sei sul libro giusto.
Questo è Nicolas Kee e il Viaggiatore del Domòn.
ARTICOLI PRECEDENTI:
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