Come sempre per amore dei suoi lettori l’AIST coglie ogni occasione per incontrare i protagonisti delle opere derivate o legate a J.R.R. Tolkien, soprattutto quando si tratta degli attori delle due trilogie di Peter Jackson! Questa volta il 19 ottobre abbiamo seguito la bellissima Cate Blanchett alla Festa del Cinema di Roma 2018 e siamo riusciti lungo l’arco della giornata a strapparle alcune risposte dedicate alla sua esperienza con Tolkien e le riprese dei film. Nella seconda giornata della Festa del Cinema, l’attrice premio oscar si è resa protagonista di due incontri.
Il primo è stato la conferenza stampa del film Il mistero della casa del tempo, regia di Eli Roth, in cui è in coppia con l’attore Jack Black. E dopo il red carpet, la sua giornata si è conclusa con l’incontro con il pubblico. L’attrice due volte premio Oscar è stata salutata con particolare calore da un pubblico giovane e per lo più femminile. Sorridente e con un’ironia mai sopra le righe e sempre in equilibrio con la sua eleganza, ha parlato di cinque dei film da lei interpretati: Bandits (2001), Diario di uno scandalo (2006), Io non sono qui (2007), Il curioso caso di Benjamin Button (2008), Carol (2015).
Due passioni: la magia e gli horror
Il mistero della casa del tempo racconta l’avventura, magica e misteriosa, di Lewis, un ragazzino di 10 anni che si trasferisce a vivere nella casa dell’eccentrico zio Jonathan, una casa che nasconde un mondo segreto ricco di magie, streghe e misteri. Presto, Lewis scoprirà che lo zio e la sua migliore amica (Mrs Zimmerman interpretata da lei) sono due potenti maghi che lo coinvolgeranno in una missione segreta: scoprire l’origine del ticchettio di un orologio nascosto da qualche parte nei muri di casa. Il fantasy thriller per famiglie è tratto dal romanzo per ragazzi del 1973 La pendola magica (in italiano anche La pendola stregata) di John Bellairs e uscirà nelle sale italiane dal 31 ottobre.
«Mi è piaciuta molto la sceneggiatura – ha detto Blanchett – perché il messaggio per i ragazzi è molto positivo. Non vuole fare sermoni, ma trasmette il messaggio che non devi farti sopraffare dalle etichette che ti mettono addosso, puoi reagire». A questo punto l’attrice australiana ha rivelato una passione segreta: sin da quando era bambina ama la «magia». Con voce e costumi di Mrs Zimmerman, la strega buona ha ripetuto che «la magia è dentro di noi». Interrogata sulla sua idea a riguardo, è sembrata sincera nel crederci con tutte le sue forze, naturali e soprannaturali: «Da sempre, dall’epoca degli sciamani, la magia ha a che fare con la trasformazione. Vuol dire cambiare il piombo in oro, non restare al proprio posto, dove siamo, ma sentire che possiamo evolvere, reagire, non lasciarci identificare, etichettare. Un messaggio gentile e importante. Per i ragazzi, per noi tutti».
«Il mistero della casa del tempo nasce dal desiderio di tornare ai tempi d’oro della casa di produzione Amblin, che ha realizzato tanti film per bambini e ragazzi che trasmettevano un senso di reale pericolo, con vera suspense. Pensi a titoli ormai classici come Poltergeist, Gremlins e ovviamente E.T. In anni recenti, l’idea del film per bambini è stata spesso “igienizzata”, semplificata. Allora, hanno chiamato come regista Eli Roth, che è un maestro dell’horror. Eli è regista e attore, una persona molto brillante e creativa. È figlio di uno psicoanalista freudiano: non stupisce che si sia dato all’horror! Ci siamo divertiti parecchio». L’attrice passa poi a raccontare le scelte che l’hanno portata ad accettare il ruolo della coprotagonista del film: «Ero ossessionata dall’horror, e lo sono ancora. Avrei potuto guardare film horror ogni giorno. Per questo ero interessata all’idea di lavorare con Eli Roth, e il fatto che il film contenesse specialmente contenuti per ragazzi mi attraeva ancora di più. Attraverso i miei figli vivo le loro paure, e questo mi ha aiutato a sentirmi ancor più parte del progetto».
A chi le ha chiesto come si sia preparata per interpretare l’eccentrica maga e se abbia attinto alla sua esperienza di madre adottiva (nel film il piccolo protagonista viene adottato da lei e dallo zio), l’attrice ha sorpreso tutti rivelando: «Contrariamente a quanto si crede, come attrice non penso a me quando creo un personaggio. Io sono annoiata da me stessa, non voglio portare la mia esperienza sullo schermo. Voglio portare l’esperienza di altri». E sulla reazione agli insuccessi, l’attrice ha regalato una splendida lezione: «Quando arrivi alla mia età e sei così fortunato da avere dei premi, capisci che ciò che ti rende indomito sono i fallimenti, non i successi. Non impari dal successo, è il fallimento che ti indica i varchi, le strade nuove da seguire, perché la vera sfida è rafforzarti, imparare ad avere coraggio, ma non perdere il cuore».
L’intervista
Dopo 50 film e 20 opere teatrali, l’attrice australiana si sente ancora una persona fortunata. «Non avrei mai pensato di fare cinema, recitavo in teatro ed ero contenta recitando a Sydney nel Australian National Theatre, ma mi dicevano che dovevo sbrigarmi, a 25 anni, se volevo fare un film, perché ormai ero quasi vecchia». L’attrice ha raggiunto un buon successo di critica e pubblico nel 1998 con Elizabeth con cui ha ottenuto il Golden Globe come migliore attrice drammatica e una candidatura all’Oscar.
Come è riuscita a ottenere la parte nella trilogia del Signore degli Anelli?
«Tutto è iniziato un po’ per caso. La mia agenzia aveva fatto domanda per la parte di Galadriel e alla fine fui scelta come miglior candidata per quel ruolo. Però, Peter mi ha confessato che aveva in mente il mio nome come la più adatta per quella parte. Lui e Philippa Boynes avevano fatto una “lista dei desideri” per tutti protagonisti del film e per Galadriel avevano scritto il mio nome! In questo ha aiutato anche il fatto che voleva attori australiani e neozelandesi per molte delle parti, non solo i ruoli secondari ma anche alcuni dei principali».
È vero che lei era un’appassionata dell’opera prima ancora che partecipasse al casting?
«Devo confessare che non avevo letto il libro, ma conoscevo la storia. Soprattutto, io amavo le opere di Peter Jackson. I film che aveva realizzato erano tutta roba pazza di horror scioccante. Quando ho saputo che lui e la moglie Fran avevano aperto il casting mi sono buttata a capofitto in quell’opportunità. Perché Peter aveva qualcosa, come dire, un senso raffinato del brutto che era così appropriato per Tolkien, era così fatato e giovanile come regista che lo rendeva perfetto per quel grandioso progetto di realizzare tre film dai libri dello scrittore».
Quale sensazione ha avuto vestendo i panni di Galadriel?
«Quando ho terminato il prima sessione di riprese del Signore degli Anelli, ho pensato per la prima volta: “Wow, è incredibile, che esperienza stupenda!”. Sapevo ovviamente che le riprese del film sarebbero durate per altri 18 mesi e non avevo alcuna percezione di quel che sarebbe venuto dopo con l’uscita del film e il suo enorme successo, gli Oscar e la promozione in giro per il mondo. Prima del Signore degli Anelli non avevo mai fatto nulla con il blu screen, le protesi o cose simile. È stato come entrare in un videogioco per me. Era davvero un altro mondo. Ma, ad essere onesti, in fondo l’ho fatto soltanto per avere le orecchie a punta!».
Dica la verità, sta scherzando vero?
«Non scherzo! Una parte delle ragioni per cui ho interpretato il ruolo di Galadriel era proprio il fatto di poter indossare le orecchie a punta… ho sempre voluto avere le orecchie a punta. Pensavo che avrebbero funzionato davvero bene con la mia testa nuda! Ed è stato così, al punto che dopo Il Signore degli Anelli ho tenuto le mie orecchie da elfo e le ho fatte ricoprire di bronzo come un trofeo!».
È stato difficile immedesimarsi in un personaggio irreale come un elfo immortale?
«In un certo senso sì. Interpretare qualcuno di non umano è inizialmente sconcertante: non ci sono appigli per costruire il personaggio. Ma in sostanza i problemi tecnici che un attore deve affrontare nel ritrarre persone reali hanno qualcosa in comune con il ruolo di Galadriel: in fondo, si tratta di un personaggio con le sue paure e le sue debolezze. Dall’altra parte, le legioni degli appassionati del libro mi hanno aiutato, perché non solo sentono di sapere come Galadriel sia in quanto elfa, ma l’hanno fatta propria. Alla fine, è il modo naturale in cui lo fai in quel momento e penso che devi solo fare un respiro profondo e andare avanti. Per me è stato così!».
Ecco, il rapporto con i fan: interpretare Galadriel deve essere stato un’arma a doppio taglio. Alec Guinness odiava essere riconosciuto per strada dalla gente solo per l’attore che aveva interpretato Obi-Wan Kenobi…
«Sai, non ci ho mai pensato molto, soprattutto all’inizio. Volevo lavorare con Peter. Il ruolo era probabilmente secondario e le conseguenze dei film erano fuori dalla mia immaginazione. Riguardo ad Alec Guinness, ero una di quelle bambine per le quali Star Wars era la porta d’ingresso nel suo straordinario universo fatto di libri e film. In realtà, la mia notorietà oscilla molto. Dipende dal giorno. Posso incontrare una studentessa al supermercato che ha appena visto Il Signore degli Anelli e penso: “Wow, ho fatto parte di una favola epica che ha fatto conoscere a questa ragazza il romanzo di Tolkien!”. Quanto è importante? E quanto gratificante. D’altra parte, c’è l’intrusione dei media: a volte sei costretta a rispondere del fatto che per andare a una riunione hai preso un autobus! C’è stato un po’ di scalpore nei media su questo fatto – che ho preso un autobus! E penso: Dio quanto è stupido il mio lavoro».
Ma ora che la polvere si è calmata, come pensa che la trilogia di Jackson si trovi nella storia del cinema?
«La polvere si deposita mai in questo mezzo? O, più precisamente, dovrebbe mai depositarsi? Non ho fretta perché si depositi su o attorno a me… Ma la trilogia è, anche dopo alcuni anni, un risultato notevolmente singolare. Il Signore degli Anelli era basato su un classico della letteratura, aveva un cast straordinario con persone come Ian McKellen e Christopher Lee e ha vinto 17 Oscar. È più difficile da respingere. In ogni caso, io non sono una di quelle persone che pensa che ogni suo lavoro rimodellerà l’universo. Faccio solo quello che mi piace fare. E finora sono stata fortunata».
Le riprese del Signore degli Anelli sono state notoriamente piene di episodi divertenti, con tutto il tempo passato in Nuova Zelanda…
«Le riprese del Signore degli Anelli di Peter Jackson in Nuova Zelanda sono state per molte persone un’esperienza totalizzante. Per me è stato molto elettrizzante lavorare, come ho detto, con Peter. Le riprese sono durate quasi un anno e mezzo [dall’11 ottobre 1999 al 22 dicembre 2000, ndr] e solo a giugno hanno iniziato a girare scene per il set di Lothlórien, in studio e per le esterne per la sequenza di addio della Compagnia. Io ho quindi girato tutto questo in tre settimane, circa mille anni fa… Beh, gli elfi vivono per molte migliaia di anni quindi probabilmente non è così lontano dalla verità! Ma è stata un’esperienza surreale per me perché giravano da così tanto tempo e avevano ancora molto lavoro da fare, mentre io sono entrata e uscita dal film molto velocemente».
Da quel giugno del 2000 è poi tornata a interpretare Galadriel 12 anni dopo, quando Jackson ha realizzato la trilogia de Lo Hobbit. Come si è sentita nel tornare a quel personaggio e quell’universo?
«Ero molto giovane quando ho interpretato Galadriel. Nel 2012 ero più matura come attrice; questo è il motivo che mi ha fatto venir voglia di interpretarla di nuovo. Peter mi ha chiamato e pensava che avrei potuto non accettare il ruolo. Gli ho detto: “Mi stai prendendo in giro? Certo che lo farò!” In realtà, ne Lo Hobbit penso che sia solo presente in un nota alla fine del libro, quindi il fatto che il regista abbia scritto alcune scene mi ha davvero entusiasmato. I miei figli già si lamentavano perché ero apparsa nella prima trilogia solo per 30 secondi! Comunque, spero di essermi evoluta, di essere un’attrice, una persona e una madre migliori. Professionalmente penso di essere molto più flessibile ora e più facile lavorare. So che Peter la pensava così!».
Cosa le ha dato il personaggio di Galadriel?
«Galadriel è un personaggio speciale per me, mitico e affascinante. È stato divertente interpretarlo nel Signore degli Anelli. Quando poi ho indossato di nuovo le orecchie da elfo, ho avuto questa meravigliosa sensazione di dejà vù. Non potevo smettere di ridere. Galadriel però è un personaggio molto importante: ha una su di sé un pericolo supplementare perché è già una portatrice di un anello e suppongo che se avesse preso l’Unico Anello avrebbe avuto il potenziale di trasformarsi anche lei nella forza malvagia di cui è fatto Sauron. Superata la prova, la regina degli Elfi sta passando il testimone agli Uomini. Gli Elfi se ne andranno e inizierà l’Era degli Uomini nella Terra di Mezzo. Tocca a loro adesso proteggere la Natura e i suoi valori. Penso che, in un certo modo, Tolkien stia sfidando anche i lettori e gli spettatori a rispondere alla domanda: “Tu cosa faresti con la Terra di Mezzo?”».
Si può concludere quindi che il libro sia un capolavoro?
«Certo, penso che sia particolare in questa periodo in cui tutti sono ossessionati dagli eroi, ma penso che quel che rende dei capolavori senza tempo Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit sia che tutti i protagonisti sono messi alla prova, tutti hanno un’evoluzione, tutti hanno una debolezza nascosta, anche i personaggi più nobili e buoni, anche la stessa regina degli Elfi. Hanno tutti la potenzialità di volgersi verso il Male e penso che sia sempre il rovescio della medaglia che rende qualcuno un eroe forte».
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