Ma la debolezza degli Elfi in questi termini consiste naturalmente nel rimpiangere il passato, e nel non essere disposti ad affrontare il cambiamento: come se un uomo dovesse odiare che un lungo libro vada avanti, e desiderasse fermarsi al suo capitolo preferito.
(J.R.R. Tolkien, Lettera n. 181)
1. Je t’aime moi non plus
Com’era stato ampiamente predetto, la nuova traduzione de La Compagnia dell’Anello ha suscitato la reazione immediata di molti appassionati della Terra di Mezzo. Immediata in senso letterale, cioè senza nemmeno darsi il tempo di leggere il libro. Un certo numero di opinioni negative all’insegna della più assoluta soggettività è apparso nello spazio commenti di Amazon dopo appena ventiquattr’ore dall’uscita in libreria. Ecco quella che si dice “una reazione di pancia” (ma non bisogna essere così ingenui da non vederci anche l’impronta del pregiudizio e della premeditazione, soprattutto se si considera che la “guerra” a questa traduzione è stata dichiarata già da un anno). Le successive due settimane hanno visto una pioggia di reazioni che però raramente si è discostata dalla critica alla ritraduzione dei nomi di luoghi e personaggi del romanzo e soltanto adesso inizia a entrare nel merito della prosa. Di come il nuovo traduttore Ottavio Fatica ha reso lo stile di Tolkien si è detto ancora poco o nulla. Per questo bisognerà aspettare che il libro venga letto davvero, anziché setacciato alla ricerca della nuova nomenclatura.
Questo fenomeno – come si è detto, del tutto prevedibile e previsto – dimostra indiscutibilmente due cose.
La prima è l’immensa affezione che un pubblico variegato di lettori nutre per Il Signore degli Anelli ancora a mezzo secolo dalla sua pubblicazione in Italia. Proprio la reazione istintiva di molti fan è il sintomo di come questo romanzo faccia parte del bagaglio di ormai due-tre generazioni di lettori, i quali sentono il bisogno di “partecipare” attivamente alle sue vicende editoriali nel nostro paese. Bisogna avere la lucidità di valutare questo dato positivamente. Le proteste per la nuova traduzione dei nomi dei personaggi o della celebre poesia dell’Anello (altro oggetto del contendere che prescinde dalla lettura del libro, trovandosi in esergo e perfino sulla quarta di copertina della nuova edizione), valgono come una dichiarazione d’amore per il romanzo. Un amore geloso, in questo caso, ma comunque un fenomeno di cultura partecipativa che dimostra la vitalità della letteratura e che va “alla maggior gloria” di Tolkien, per così dire. Come andrà alla maggior gloria della nuova traduzione la caccia all’errore che si è scatenata sul web, uno sforzo collettivo che, scremato dalle segnalazioni pretestuose, produrrà verosimilmente una lista di correzioni e migliorie per la prima ristampa, come già fu per la traduzione precedente (vedi §2).
La seconda cosa che queste reazioni (alcune delle quali davvero creative, bisogna ammetterlo) dimostrano è che quando un amore sincero si perverte in gelosia, tende al parossismo. Una schiera di lettori cresciuta con certi nomi o certi versi poetici nelle orecchie non accetta di vederli cambiare, lo vive come un tradimento di Tolkien. Ma ogni traduzione è un tradimento, ci insegnavano a scuola; ogni traduttore riscrive la prosa che traduce, ci suggerisce la ragione. Dunque il tradimento che si è consumato, in realtà, è quello del particolare “Tolkien” che i lettori italiani hanno conosciuto nel mezzo secolo scorso. Ciò che è stato tradito non è The Lord of the Rings – un romanzo che pochissimi nel nostro paese hanno letto in lingua originale, data la mole immensa -, bensì la sua traduzione italiana consolidata.
2. Ipse dixit?
È arcinoto che la traduzione storica del Signore degli Anelli è frutto della stratificazione di almeno tre interventi.
Il primo fu la traduzione stessa per opera di Vittoria Alliata di Villafranca, una diciassettenne alla sua prima esperienza professionale di traduzione letteraria. Alliata cercò di applicare le indicazioni compilate da Tolkien stesso ad uso dei traduttori del romanzo, laddove ad esempio l’autore suggeriva di rendere nelle lingue locali i nomi degli Hobbit. Così in quel volume pionieristico comparivano Frodo Sacconi (Frodo Baggins), Samio Gamigi (Samwise Gamgee), Felice Brandibucco (Merry Brandibuck), la famiglia Borsi-Sacconi (Sackville-Baggins), ecc.
Nella traduzione della celebre poesia dell’Anello saltano agli occhi in particolare i “Re Gnomici” per “the Elven-Kings”:
Tre Anelli per i Re Gnomici
Che dominano nell’eternità,
Sette per i Principi dei Nani
Che nei manieri di pietra sono,
Nove per i Miseri Uomini
Destinati alla mortalità,
L’Unico per l’Oscuro Signore
Seduto sull’oscuro trono
Nella Terra di Mordor
Dove l’Ombra incombe.
L’Unico Anello per dominarli,
L’Unico Anello per afferrarli
E vincolarli nell’oscurità
Nella Terra di Mordor
Dove l’Ombra incombe.
Di quella traduzione nel 1967 venne pubblicato però soltanto il primo volume, La Compagnia dell’Anello, dall’editore Astrolabio, che successivamente, non riuscendo a proseguire l’operazione editoriale, cedette i diritti a Rusconi. La pubblicazione dunque poté riprendere nel 1970, ma soltanto dopo che la traduzione di Alliata era stata sottoposta all’editing di Quirino Principe. Principe, tra l’altro, re-inglesizzò alcuni nomi di personaggi e luoghi, rivide massicciamente le traduzioni dei versi poetici presenti nel romanzo (tra cui quelli dell’Anello), e ridisegnò la mappa della Terra di Mezzo realizzata originariamente da Christopher Tolkien, figlio dell’autore, creandone di fatto una versione italiana.
La traduzione Alliata-Principe è quella dunque che si è consolidata nell’immaginario nostrano e a cui tutti si sono affezionati. Ovviamente era ben lungi dall’essere perfetta, presentava errori e refusi di stampa, che sono rimasti in essere fino al nuovo millennio, quando, nel 2003, un gruppo di volontari che facevano riferimento alla Società Tolkieniana Italiana ne ha corretto una parte per conto del nuovo editore Bompiani. In seguito gli appassionati hanno composto ancora un elenco di ben 53 cartelle di potenziali errori, consultabile qui.
Ora, uno degli argomenti più irrazionali portati da chi oggi si sente tradito, è che la traduzione Alliata-Principe sia intoccabile in quanto approvata da Tolkien in persona.
Il semplice buon senso suggerisce che se si dovesse assumere questo argomento non si dovrebbe ritradurre alcun autore defunto, in quanto costui sarebbe impossibilitato ad approvare una nuova traduzione delle sue opere. È un’assurdità che non avrebbe nemmeno bisogno di essere commentata. Se c’è una cosa che caratterizza i classici della letteratura è proprio che periodicamente un nuovo traduttore si cimenta con essi.
En passant, sarà forse il caso di ricordare che la prova dell’approvazione da parte di Tolkien del lavoro di Alliata-Principe finora è la parola dei traduttori stessi, dato che la corrispondenza intercorsa tra loro e Tolkien non è stata conservata o non è stata ancora resa pubblica, e dunque non è dato conoscerne i dettagli. Ad ogni modo è assai improbabile che tale approvazione nascesse da una valutazione diretta di Tolkien, il quale quando poteva diceva la sua (lo fece ad esempio con i traduttori in lingue germaniche: tedesco, olandese e svedese), ma per la traduzione italiana si affidò a un conoscente italofono. Wayne Hammond e Christina Scull, i massimi studiosi della vita di Tolkien, riportano che il 19 febbraio 1968, Tolkien scrisse alla responsabile dei diritti esteri del suo editore dicendo di essere confortato da una lettera ricevuta da un conoscente, di cui stimava l’opinione, il quale lodava la traduzione italiana (Tolkien Companion & Guide, Vol. 1: Chronology, p. 718). Secondo la ricostruzione è assai probabile che la persona in questione fosse un collega di Tolkien a Oxford, il professore italiano Camillo Talbot D’Alessandro, al quale in seguito Tolkien regalò una copia autografa dell’edizione italiana. Del resto, è lo stesso Tolkien, in una lettera in cui ricorda la frequentazione della Dante Society di Oxford, ad ammettere che la sua conoscenza dell’italiano era ampiamente sopravvalutata dall’amico e collega C.S. Lewis (Lettere, n. 294).
È facile ipotizzare che un filologo che conosceva il latino, apprezzava l’italiano (ma gli preferiva lo spagnolo) e lo parlava anche un po’, potesse valutare la traduzione delle singole parole e dei nomi, ma da lì a stimare la resa del proprio stile letterario in italiano moderno ce ne passa, e questo lo spinse a delegare il parere a una persona di fiducia.
In definitiva, con buona pace degli amanti traditi, l’argomento del principio d’autorità non sta in piedi né dal punto di vista logico né da quello storico. È a tutti gli effetti un non argomento.
3. Cantami, o Diva
Molte proteste sono scoppiate per la ritraduzione della celebre poesia dell’Anello che apre il romanzo. Anche in questo caso è comprensibilissimo l’istintivo rigetto di una nuova versione, che però non risulta tanto più libera dell’elegante versione storica, nella quale le licenze poetiche dei traduttori erano finalizzate a salvaguardare le rime, laddove invece la versione di Fatica tende a salvaguardare il ritmo cadenzato dell’originale. È chiaro che i versi così emblematici reinterpretati da Ottavio Fatica hanno shockato non pochi lettori, almeno quanto è chiaro che ogni traduttore poetico fa precisamente questo: interpreta. Così era stato per Alliata e per Principe, è così per Fatica.
Tuttavia le poesie, canzoni e filastrocche nel romanzo sono numerose e bisognerebbe darsi il tempo di andarle a cercare all’interno della storia. Così facendo ci si potrebbe anche imbattere nella resa della seconda poesia più famosa del romanzo, quella che Bilbo compone per Aragorn. E allora si scoprirebbe che metrica, rima e forza espressiva, nella versione di Fatica non temono alcun confronto:
Non tutto quel che è oro poi risplende,
Non si smarriscono tutti gli errabondi,
Il vecchio che ha la forza non s’arrende,
Non gelan le radici più profonde.
Rinascerà un fuoco dalle ceneri,
Una favilla dall’ombre sprigiona;
La lama infranta nuova vita ottiene,
Tornerà re chi è senza corona.
Questo vale anche per tutte le altre parti in versi presenti nella Compagnia dell’Anello. Che si scelga la poesia di Beren e Lúthien recitata da Aragorn agli Hobbit e che suona come un canto omerico (p. 335); o la poesia comica sul Troll recitata da Sam, con il suo ritmo sincopato, allitterazioni e rime a cascata, da sembrare uno scioglilingua (p. 359); o ancora la salmodia di Bilbo sul marinaio Eärendil, così “montiana”, e nella quale sembra ancora di sentire cantare un aedo o uno scaldo, con quei versi brevi, per ciascuno un’immagine netta, in una sequenza strepitosa (p. 401)… il risultato della traduzione poetica ottenuto da Fatica è qualcosa di davvero inedito. Il suggerimento è di provare a leggerle a voce quelle poesie e canzoni, come se si dovesse recitarle. Apparirà forte e chiaro cosa significa far tradurre poesia a un traduttore-poeta e le polemiche sulla giusta accezione del singolo verbo “to lie” verranno subito ridimensionate.
4. Here comes the sun
Quando il dramma della gelosia avrà finito di consumarsi e si riusciranno a osservare le cose con più serenità, queste appariranno in una diversa prospettiva. Già adesso, in mezzo allo strazio dei cuori infranti serpeggiano pareri più motivati e apprezzamenti sinceri, non soltanto da parte degli appassionati di traduzione (ché quelli un po’ erano scontati). Ma bisogna anche dire che le uscite attese sono ancora due, il secondo e terzo volume del romanzo (in quest’ultimo si spera che l’editore vorrà inserire le mappe, dato che per quel momento la traduzione della toponomastica sarà ultimata), ai quali seguirà il volume unico. Quindi stiamo parlando di un’uscita editoriale spalmata su un arco di tre anni.
Il consiglio per tutti, dunque, è di mettersi comodi. E anche di riflettere su un dato: i lettori di Tolkien sono molti di più di quanti riusciamo a immaginare e di quanti si facciano sentire sui social media, ma diventano ancora più numerosi se ci proiettiamo in avanti, come fa un’operazione editoriale di ampio respiro. Chi leggerà il Signore degli Anelli per la prima volta, quindi con uno sguardo “vergine”, più limpido e più libero, potrà fare le sue valutazioni, probabilmente diverse da quelle che oggi vengono messe in piazza dai veterani. Sono i nuovi lettori di Tolkien che decideranno se premiare oppure no questa nuova traduzione. Ebbene, è facile immaginare che a costoro non importerà così tanto del cambiamento di un nome, e che apprezzeranno invece la prosa ariosa e la scorrevolezza che adesso Tolkien ha anche in italiano. Certo, è pure vero che qua e là questa fluidità della lingua è impreziosita da termini antiquati. Ma questo è ancora il tentativo di rendere lo stile di Tolkien, che ricorreva spesso alla quinta o sesta accezione dell’Oxford English Dictionary, quando non inseriva nel suo inglese medio dei veri e propri arcaismi e versi ben mimetizzati di prosa poetica. Dunque Fatica ha scelto di provare a restituircelo così in italiano. Come ci ha restituito la diversità dei registri linguistici presenti nel romanzo, che in italiano non avevamo ancora conosciuto. È precisamente questo il senso di ogni nuova traduzione: provare a rendere aspetti della lingua letteraria di un autore che le traduzioni precedenti non avevano colto.
Soprattutto, però, chi si accinge per la prima volta a leggere l’opus magnum tolkieniano avrà il vantaggio di poterlo leggere in due traduzioni diverse…non fosse altro che per farsi venire la voglia di leggerlo in lingua originale.
Per tutto il resto, c’è da aspettare che passi la buriana. Il tempo è il miglior alleato.
Auta i lómë, Aurë entuluva!
Redazione
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Esce oggi la nuova traduzione della Compagnia dell’Anello
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– Leggi l’articolo La traduzione della Compagnia a ottobre
– Leggi l’articolo Ritradurre Il Signore degli Anelli: l’intervista
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Aggiungo al punto 2 che se la lettera in cui Tolkien in cui dice di fidarsi del suo conoscente italiano riguardo alla qualità della traduzione è del 1968, vuol dire che è riferita alla traduzione Astrolabio, quella che Principe modificò radicalmente. Quindi, secondo la pseudo-logica che qui sopra, giustamente, l’AIST smonta, già Principe cambiò una traduzione “autorizzata” (per modo di dire) da Tolkien. Quella che adesso viene difesa a spada tratta in nome del presunto volere di Tolkien, è già una traduzione che andava contro quel volere. Quindi, perché Principe sì e Fatica no?