Tolkien è un classico della letteratura del Novecento e la nuova traduzione lo dimostra. Il lavoro di Ottavio Fatica, che ha ritradotto Il Signore degli Anelli per Bompiani, di cui è appena uscito il primo volume, mette in evidenza tutta la forza della narrazione dello scrittore inglese. È il traduttore stesso a rivelarlo in un’intervista su Il Venerdì di Repubblica.
L’intervista su Il Venerdì
In due pagine nella sezione speciale dedicata ai libri, a recensioni e interviste, si svolgono una decina di domande al traduttore di autori del livello di Rudyard Kipling, Herman Melville, Jack London, Robert Louis Stevenson e Joseph Conrad, ai quali, dato il contesto, è il caso di aggiungere Wystan Hugh Auden, che conosceva personalmente Tolkien per cui nutriva grande ammirazione al punto di farsene entusiasta sponsor nei confronti di lettori ed editori statunitensi. Nell’intervista si scopre che anche per un traduttore doc come Fatica tradurre Tolkien è stato difficile: «È un lavoro per masochisti». «Tolkien è un ottimo scrittore anglofono del Novecento – rivela il traduttore – un conto è amarlo, un altro leggerlo correttamente. Sul piano linguistico lo si conosce ancora troppo poco. Tolkien è capace di antichizzare la lingua in modi medioevali o anche antecedenti». Qui Fatica cita proprio l’italiano del Duecento e i poemi cavallereschi di Ariosto e Tasso: «c’è qualcosa di infantile e di violento che è proprio di quel filone, anche se in lui la resa è più nordica», dice riferendosi alle epiche germaniche ancora più antiche. Continuando la lettura si scopre come l’autore del Signore degli Anelli quando si esalta ricorda maestri come Kipling, Melville e Shakespeare. «Quando si esalta, Tolkien somiglia a Kipling – dice ancora Fatica – All’improvviso si mette a scrivere in versi. Ho anche pensato che Il ritorno di Puck di Kipling possa averlo influenzato direttamente. Si infiamma e scarica versi, per altro in perfetti endecasillabi. E poi in lui ho ritrovato anche Melville». Il traduttore spiega come l’inizio di Moby Dick sia nei toni molto simile a quello de Il Signore degli Anelli, con situazioni molto comiche. «Poi l’avventura decolla e… in certi momenti diventa shakespeariano». L’intervista continua affrontando il tema dei registri linguistici. E qui, come da noi più volte evidenziato, il traduttore spiega come Tolkien sia sempre attento a usare espressioni coerenti al rango di chi parla: «È un problema nel problema, spesso antichizza parole e toni». Giunto a questo punto Fatica si lascia andare sul suo lavoro di traduzione rivelando appunto la vera e propria lotta avuta con il testo per renderlo al meglio. Ma così emerge un’altra delle qualità nascoste dello scrittore inglese: «Tolkien non esce mai dalle rotaie, è solidissimo. Ogni capitolo è compiuto, non deraglia mai. Credo che questa sia la sua vera forza. Non è per niente sgangherato, come lo è stato tanta letteratura fantasy. Tolkien è davvero un’altra cosa».
Le polemiche
Alla fine dell’intervista è inevitabile un accenno alle polemiche scatenate intorno alla sua traduzione. Polemiche che sono esplose addirittura un anno prima della pubblicazione del volume, con accuse preventive, due convegni di cui uno in Senato a Roma, interventi sui quotidiani da parte della casa editrice e anche delle querele lanciate dalla traduttrice della precedente versione, Vittoria Alliata di Villafranca. Il tutto prima ancora di aver potuto leggere una sola riga della nuova traduzione. Con l’uscita poi de La Compagnia dell’Anello, si sono aggiunte anche le lamentele di moltissimi lettori e appassionati di Tolkien, affezionati soprattutto alla vecchia nomenclatura. In alcuni casi a ragione, le critiche si sono concentrate su quei nomi cui i lettori erano abituati da 50 anni e che trovano la comprensione dello stesso traduttore. Vorrei che anche il fan più tradizionalista possa dire: «si capisce, è ben tradotta, il libro scorre. Anche se conserva e ama la sua vecchia versione, perché questa qui dovrebbe continuare a dispiacergli?».
Redazione
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LINK ESTERNI:
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