Durante il periodo di pausa dalla scrittura del Signore degli Anelli – dal 1944 al 1946 – il Professore mise mano a una vecchia scommessa con l’amico C.S. Lewis che lo sfidava a scrivere una storia sui viaggi nel tempo. All’epoca Tolkien aveva cominciato e rapidamente abbandonato un romanzo, The Lost Road, ma nell’inverno ’45-’46 la vecchia sfida tornò a interessarlo e buttò giù “in una quindicina di giorni” (così dice in una lettera a Unwin, pur se Christopher Tolkien credeva che il padre avesse impiegato alcuni mesi) le circa centodieci pagine che compongono The Notion Club Papers, romanzo che però lasciò incompiuto per dedicarsi nuovamente al Signore degli Anelli. Il testo rimase inedito fino al 1992, quando fu pubblicato in Sauron Defeated, il nono volume della History of Middle-Earth. Si rivelò così al mondo un’opera strettamente connessa al legendarium.
Le carte del Notion Club
A prima vista, The Notion Club Papers non sembra essere collegato alla Terra di Mezzo: l’azione avviene nel Mondo Primario, il mondo reale. Il romanzo viene presentato come la raccolta di verbali dei vivaci incontri di un fittizio gruppo di discussione letteraria (il Notion Club del titolo) nella Oxford di fine anni ’80. Un gruppo eterogeneo composto da accademici di molteplici discipline e diversi atenei, che si riuniscono a intervalli regolari nei loro alloggi privati sparsi per la città. Oggetto degli incontri del club sono “conversazioni, dibattiti, e la discussione di ‘carte’, sia in poesia che in prosa, scritte e lette dai suoi membri”; la mente corre agli Inklings, richiamo accentuato da un sottotitolo che Tolkien valutò per l’opera, “frammento di un’apocrifa saga degli Inklings, redatto da un imitatore negli anni Ottanta”. Il lettore viene portato ad aspettarsi nulla di più che una carrellata di pur interessantissime disquisizioni letterarie, linguistiche, e filosofiche; ma la sorpresa è dietro l’angolo.
La prima metà della Parte Prima, “The Ramblings of Ramer”, è occupata da una lunga discussione sulla fantascienza; oggetto di discussione è la cornice narrativa, e vengono spese parole molto dure su quanto possa essere credibile utilizzare navi spaziali per trasportare i protagonisti di un romanzo su un altro pianeta; ma Tolkien è meno interessato a esporre le proprie convinzioni sui tòpoi del genere fantascientifico, quanto piuttosto a dare una cornice a questo romanzo. Quando l’azione di inventare una storia viene definita vedere, la discussione vira bruscamente, e viene rivelata la capacità del Professor Michael Ramer di “vedere” in sogno luoghi ed epoche sconosciuti. La seconda metà della Parte Prima è dedicata ai “Ramblings” di Ramer propriamente detti, ovvero alla sua descrizione di tale processo e di alcune visioni. Si tratta di esperienze extrasensoriali particolarmente vivide, tra cui spiccano una Grande Onda che ricopre ogni cosa (sogno ricorrente di Tolkien, e poi di Faramir) e parole che richiamano subito alla mente le lingue inventate da Tolkien.
Con la Parte Seconda, “The Strange Case of Arundel Loudham”, il romanzo si trasforma in una storia di re-incarnazioni e viaggi nel tempo – i due fenomeni sono strettamente legati – quando, oppresso dalle discussioni del circolo e dalle rivelazioni di Ramer, il filologo Arry Lowdham rivela la sua peculiare capacità di “udire” echi di linguaggi sia conosciuti ma assai antichi che sconosciuti; la storia trova infine il suo culmine quando una tempesta di portata quasi apocalittica si abbatte su Oxford e sull’intera Inghilterra; Passato e Presente si incontrano e i membri del circolo assistono attoniti a una regressione a un’incarnazione precedente di Lowdham e di un altro membro, l’amico Wilfrid Jeremy. Il passato che essi rivivono, tuttavia, non pare appartenere a questo mondo; va ben oltre la storia conosciuta, è il passato dai confini sfumati delle leggende, e l’episodio porta il lettore a porsi la stessa domanda che si pongono i protagonisti nel corso dei loro dibattiti: “Se tornassi indietro troveresti il mito che si dissolve nella storia o la storia che si dissolve nel mito?”
La risposta è intrigante: “Una volta qualcuno, non ricordo chi, ha detto che la distinzione tra storia e mito potrebbe non avere significato fuori dalla Terra. […] Forse la catastrofe di Atlantide fu la linea di demarcazione?”
Atalante, Colei che è Caduta
È proprio la catastrofe di Atlantide che ri-vivono i protagonisti, pur se il nome che “risveglia” i loro ricordi in un crescendo stimolato da tante altre “parole-fantasma” è simile tanto quanto è dissimile: Atalante, che significa “Colei che è caduta” in una delle lingue che Arry Lowdham “ode”. L’appellativo si riferisce però soltanto all’isola dopo il disastro; sia Arry Lowdham che Michael Ramer hanno un altro nome per essa, un nome che Ramer ha “visto” e Lowdham “udito”: Nūmenōr.
Così The Notion Club Papers trova infine la sua direzione e si configura come trait d’union tra il Mondo Secondario di Tolkien e il nostro: Numenor è Atlantide, e Arda altro non è che la Terra. Le “parole-fantasma” che Lowdham sente echeggiare nella mente non sono solo frammenti delle lingue inventate da Tolkien – specificamente Quenya e Númenóreano, riconoscibili grazie ai lunghi esempi illustrati da Lowdham nonostante egli le chiami “Avalloniano” e “Adunaico” – ma anche di Antico Inglese, lingua che Tolkien insegnò a Oxford. Lo stesso Lowdham rivela che il suo nome completo è Alwin Arundel, bastardizzazione di Ælfwine Éarendel. Éarendel è non solo il tolkieniano Ëarendil, oltre che il termine Antico Inglese che fu la scintilla per la creazione del legendarium, ma è anche il nome della nave a bordo della quale il padre di Lowdham scompare quand’egli è un bambino; Ælfwine, Amico degli Elfi, è l’Eriol dei Lost Tales, cui viene narrata la storia del mondo e che poi la narrerà a sua volta, ma è anche l’Elendil di Númenór, a un tempo antenato e precedente incarnazione di Lowdham, il cui padre Amandil sparì alla ricerca di Valinor. La coppia padre-figlio si ripete nel romanzo, con riferimenti a personaggi storici o quasi, figure dai contorni sfumati presenti nelle cronache medievali.
L’intreccio tra Mondo Primario e Secondario, già sottolineato nel climax del romanzo con la regressione di Lowdham e Jeremy a identità Númenóreane, viene infine confermato nelle ultime pagine, quando essi narrano agli altri membri del Notion Club di un’altra regressione, questa volta a un periodo storico documentato: i due si sono infatti ritrovati nel X secolo, alla corte del leggendario Re Sceafa. È qui che Tolkien interruppe The Notion Club Papers, con un intrigante accenno a molte altre storie a venire.
Gli appunti di Tolkien mostrano che intendeva sviluppare ulteriormente il romanzo e legarlo in modo ancora più inequivocabile al suo legendarium: i personaggi anglosassoni, Ælfwine e Tréowine (ovvero le incarnazioni precedenti di Lowdham e Jeremy), sarebbero salpati per l’Ovest e avrebbero trovato e preso la Via Diritta; la narrazione sarebbe stata frammentata da visioni di incarnazioni probabilmente precedenti alla caduta di Numenor, data la menzione di un “racconto del Beleriand”. Infine, la catastrofe sarebbe stata ri-vissuta nuovamente. È poi di particolare interesse un breve appunto, che lascia perplesso persino Christopher Tolkien: “Fai la storia di Atlantide e abbandona la saga di Eriol, usando Loudham [sic], Jeremy, Guildford e Ramer.” Forse anche gli ultimi due personaggi avrebbero mostrato un’affinità per questa particolare forma di viaggio nel tempo tramite memoria; Ramer, ovviamente, aveva già descritto esperienze simili, mentre Guildford non spicca in modo accentuato nel romanzo, se non fosse che è proprio lui a indicare nell’incarnazione il modo migliore per giungere su un mondo. Forse i quattro avrebbero viaggiato insieme, le loro menti unite, così come viene accennato durante una delle discussioni del Club: «Immagino che sarebbe il tipo di cosa che viene fatta meglio da una o due persone che agiscono di concerto». Forse avrebbero poi narrato le loro vicissitudini al resto del Club. Ma Tolkien non terminò mai il romanzo; il mistero delle carte del Notion Club rimase insoluto, a causa dell’impossibilità di gestire adeguatamente i molteplici piani temporali e della stessa complessità della matassa che Tolkien stava cercando di dipanare.
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