1. Lo specchio del romanzo
Questo articolo è la prosecuzione naturale – o piuttosto l’appendice – di quello pubblicato il 5 settembre scorso, il cui tema era l’arcaismo secondo Tolkien e la sua applicazione nel Signore degli Anelli, che si concludeva così:
«[la ritraduzione del Signore degli Anelli] È stata l’occasione per scoprire aspetti che perfino i fan di più antica data ignoravano, nonché l’ennesima dimostrazione che la traduzione dà profondità all’opera letteraria, perché è l’ombra dell’opera proiettata su un altro contesto linguistico, e il raffronto tra la proiezione e la forma originale mette quest’ultima sotto una nuova luce. […] Il filtro di una nuova traduzione – che dopo mezzo secolo prova appunto a reinterpretare l’arcaismo stilistico del Signore degli Anelli – ci spinge a tornare all’originale con occhi diversi. C’è da auspicare che gli studiosi italiani non si lascino sfuggire questa opportunità»
In quest’ottica, dunque, è interessante usare la nuova traduzione come specchio del romanzo. Non tanto per esaltare il lavoro di Ottavio Fatica, in questo caso, quanto piuttosto per sfruttarlo al fine di indagare quello di Tolkien. L’ipotesi che qui si vuole verificare è che scoprire la ragione di certe scelte traduttive riveli qualcosa dello stile dell’opera originale. Qualcosa che nel nostro paese non era stato colto precedentemente e che nemmeno l’acceso dibattito dell’ultimo anno e mezzo ha messo a fuoco.
Su questo blog e altrove infatti si è discusso molto della nuova traduzione del Signore degli Anelli. Nel corso del confronto sono emersi alcuni elementi ed esempi che meritano di essere ripresi dai vari thread e collezionati con l’aggiunta di nuovi casi, per provare a capire cosa ci dicono del testo di partenza. Paradossalmente è quello che finora è più mancato.
Ecco allora che si può iniziare ad abbozzare una mappa stilistica del Signore degli Anelli a partire dalle apparenti incongruenze traduttive rimarcate, che in realtà rivelano proprio le caratteristiche stilistiche dell’opera, rendendole in uno dei tanti modi possibili in italiano.
Per quanto pertiene l’arcaismo nello specifico, diversi lettori critici hanno segnalato che nella nuova traduzione non è raro imbattersi in rese di parole inglesi con termini italiani di registro più alto, che a qualcuno sono parsi arcaismi forzati. Partendo proprio da questa constatazione, è possibile individuare a grandi linee due modalità messe in pratica da Tolkien nel romanzo: un arcaismo che sfrutta stilemi dell’antica poesia anglosassone (allitterazione, assonanza, prolessi, metrica), spesso insieme a immagini figurate e/o tono elevato, che per comodità potremmo definire “poetico”; e un arcaismo che riutilizza direttamente parole obsolete o antiche, che potremmo definire “lessicale”. Infine c’è la questione onomastica, che ha già portato via tantissimo tempo nei mesi scorsi, e che quindi è il caso di toccare soltanto alla fine.
2. Arcaismo poetico
2.1 Poesie
Quando l’innalzamento del registro nella nuova traduzione si riscontra in corrispondenza di poesie presenti nel romanzo, è ovviamente motivato dalla necessità di rendere l’effetto dei versi poetici, che in inglese è ottenuto tramite metrica, allitterazioni e assonanze.
Un esempio semplice, tra i tanti possibili, può essere tratto dalla canzone di Gimli nel capitolo Un viaggio nelle tenebre (CA, II. IV), dove Fatica traduce liberamente il verso originale
No stain yet on the Moon was seen
con
La Luna era da macchie monda
Nonostante il significato letterale sia molto semplice, cioè «Nessuna macchia ancora sulla Luna si vedeva», e il registro sia medio, nell’inglese saltano agli occhi due allitterazioni inverse una dentro l’altra [No (tai/yet) on], che rendono la prima metà del verso quasi una frase palindroma, e due parole di quattro lettere omologhe, consonante-vocalelunga-consonante (Moon/seen), nella seconda metà del verso.
Fatica quindi cambia il soggetto della frase, compone un verso la cui metrica evoca quella originale, che contiene due assonanze basate sul ripetersi dei suoni l/a e m/a, e opta per il verbo aulico “mondare”. Questa licenza cerca appunto di rendere in italiano un effetto poetico il più possibile equivalente all’originale.
2.2 Prosa
Tuttavia i casi più vistosi ed eterogenei sono quelli in cui questo innalzamento arbitrario del registro si verifica nella prosa. Ad esempio nel capitolo Il Consiglio di Elrond (CA, II. II) compare:
statuirono ad Arnor il Regno del Nord
che traduce l’originale
the North-realm they made in Arnor
Perché tradurre «they made» con «statuirono» e non renderlo invece con un più comune “fondarono” o “crearono”? Evidentemente per mantenere il tono del passo originale, che in inglese è determinato da altri elementi:
«Of Númenor he spoke, its glory and its fall, and the return of the Kings of Men to Middle-Earth out of the deeps of the Sea, borne upon the wings of storm. Then Elendil the Tall and his mighty sons, Isildur and Anarion, became great lords; and the North-realm they made in Arnor, and the South-realm in Gondor above the mouth of Anduin».
Per rendere l’idea che Elrond il Mezzelfo parla con un registro alto, il narratore che riporta il suo discorso ricorre a diversi espedienti: immagini figurate – «out of the deeps of the Sea», «borne upon the wings of storm» -; aggettivazione enfatica – «mighty sons», «great lords» -; e uno stilema dell’Old English, cioè la prolessi dell’oggetto – «Of Númenor he spoke», «the North-realm they made…», che nell’inglese moderno, una lingua sintatticamente più rigida dell’italiano, è molto appariscente. Non a caso era una delle imputazioni di Hugh Brogan a Tolkien, come riportato nella lettera n. 171, commentata nell’articolo precedente. Alla luce di uno sguardo d’insieme quindi, un verbo di registro alto come “statuirono” è del tutto coerente con l’effetto che ha in inglese la parlata “elrondiana”.
2.3 Prosa poetica
In altri casi invece il traduttore sceglie termini arcaici quando Tolkien ricorre alla prosa poetica, forse lo stilema tolkieniano più interessante, ovvero una delle caratteristiche peculiari dello stile del Lord of the Rings, utilizzata soprattutto nelle descrizioni di paesaggi e battaglie. La poesia di riferimento per Tolkien è ovviamente quella anglosassone, basata sulle allitterazioni, molto difficile da trasporre in italiano. Ne consegue che Fatica, per rendere la prosa poetica tolkieniana, ricorre ad altre modalità: in particolare l’assonanza e un lessico poetico, ma anche la metrica, quando lo stesso Tolkien la usa.
2.3.1. Un esempio eclatante si trova nella descrizione di un lampo che balugina di notte sul Fosso di Helm, illuminando lo scenario dell’imminente battaglia (DT, III. VII).
Per tradurre una frase inglese di registro medio, cioè:
lit with white light
che letteralmente sarebbe «illuminato di luce bianca», Fatica usa un registro alto:
candito dalla luce
Utilizza cioè il verbo candire, nel significato originario di “rendere candido, imbiancare”. Lo fa per dare conto della prosa poetica di Tolkien, appunto, il quale mette in fila quattro parole concatenate in un gioco di assonanze, a formare un verso, all’interno di un passo che presenta a sua volta una serie di assonanze evidenti e un ritmo e una struttura basati su coppie di parole in sequenza:
For a staring moment the watchers on the walls saw all the space between them and the Dike lit with white light: it was boiling and crawling with black shapes, some squat and broad, some tall and grim, with high helms and sable shields. Hundreds and hundreds more were pouring over the Dike and through the breach. The dark tide flowed up to the walls from cliff to cliff. Thunder rolled in the valley. Rain came lashing down.
2.3.2. Un esempio analogo si trova nel capitolo Minas Tirith (RR, V, I), dove in una descrizione dell’alba scorta da Pippin compare l’espressione:
un pallido alluciolio d’oro
per rendere
a pale gleam of gold
Anche qui Fatica adotta un termine raro, che al tempo stesso garantisce l’allitterazione e dà conto della prosa poetica.
2.3.3. Ancora un altro esempio, preso da Sméagol domato (DT, IV, I):
…reso scabro dalla pietra franta, dirupava precipite.
è la traduzione di
…was rough with broken stone and slanted steeply down.
Fatica ricorre all’assonanza tra r-p-t e a un registro poetico arcaico per rendere la poesia nascosta nella prosa di Tolkien, cioè due frasi in metrica (6+6), in cui spicca l’allitterazione dei suoni w-r-o/s-l-t, che una traduzione letterale non potrebbe mai trasmettere.
Tuttavia, si diceva, è nelle scene di battaglia che la prosa poetica di Tolkien è particolarmente accentuata, e Fatica lo segue in questo.
2.3.4. Si prenda ad esempio la carica di re Théoden alla battaglia dei Campi del Pelennor (RR, V. VI), che vale la pena osservare prima in originale:
Then Théoden was aware of him and would not wait for his onset, but crying to Snowmane he charged headlong to greet him. Great was the clash of their meeting. But the white fury of the Northmen burned the hotter, and more skilled was their knighthood with long spears and bitter. Fewer were they but they clove through the Southrons like a fire-bolt in a forest. Right through the press drove Théoden Thengel’s son, and his spear was shivered as he threw down their chieftain. Out swept his sword, and he spurred to the standard, hewed staff and bearer; and the black serpent foundered. Then all that was left unslain of their cavalry turned and fled far away.
Per rendere questo stile ritmato, pieno di assonanze, allitterazioni e prolessi, Fatica traduce la parte iniziale del passo in endecasillabi, ricorre a diverse allitterazioni, e in particolare riprende da Tolkien la reiterazione dei fonemi “s” e “f” nella seconda metà del passo:
Al che di lui s’avvide Théoden e, deciso a non attendere l’assalto, con un grido a Crindineve corse a dargli il benvenuto a testa bassa. Immane al dar di cozzo fu lo scontro. Ma la bianca furia degli Uomini del Nord vampava con più ardore, e più valenti i loro cavalieri dalle lunghe lance e immiti. Pur meno numerosi essi fendettero il folto dei Sudron siccome folgore nella foresta. Piombò frammezzo l’orda Théoden figlio di Thengel, e la sua lancia andò in frantumi nell’abbattere il loro capitano. Snudata poi la spada, diè di sprone incontro allo stendardo, falciò asta e portatore; e il serpente nero rovinò. Al che tutti i rimasti illesi della loro cavalleria fecero dietro front e presero la fuga.
Altre volte le scelte di Fatica segnalano quando Tolkien ricorre alla prosa poetica per creare un contrasto tra registro alto e registro basso. Lo fa spesso quando ci sono di mezzo gli hobbit, ovviamente.
2.3.5. Un caso del genere può essere osservato nel capitolo The Black Gate Opens (RK, V, X), quando Pippin si prepara alla battaglia:
He drew his sword and looked at it, and the intertwining shapes of red and gold; and the flowing characters of Numenor glinted like fire upon the blade. ‘This was made for just such an hour’, he thought. ‘If only I could smite that foul Messenger with it, then almost I should draw level with old Merry. Well, I’ll smite some of this beastly brood before the end. I wish I could see cool sunlight and green grass again!’
Salta agli occhi il verbo inusuale intertwine (“attorcere”, “intrecciare”), ma anche la rima tra le due frasi consecutive di undici sillabe, racchiuse dentro due frasi di otto sillabe: He drew his sword and looked at it / and the intertwining shapes of red and gold / and the flowing characters of Númenor / glinted like fire upon the blade.
Ecco perché Fatica traduce così:
Sguainò la spada e ne rimirò i rabeschi rossi e oro, e i caratteri fluenti di Númenor corruschi come fuoco sulla lama. “È stata fatta apposta per una simil ora”, pensò. “Se soltanto riuscissi a beccare quell’infame Messaggero, uguaglierei quasi il vecchio Merry. Be’, prima della fine qualcuno ne avrò beccato di questa abominevole genìa. Quanto vorrei riveder la tenue luce del sole e l’erba verde!”
Per rendere la prosa poetica di Tolkien, Fatica opta per l’allitterazione e – nella prima parte del passo – per un registro alto e la rima «rabeschi»/«corruschi». In questo modo accentua il contrasto originale tra la descrizione della spada che ispira il primo commento dello hobbit, dal tono epico, e invece la seconda battuta, prosaica, con quel verbo «smite» e il termine «brood» ad abbassare il registro. Questo esalta l’effetto che Tolkien sta ricercando in queste righe: il contrasto tra l’ispirazione che Pippin trae dalla bellezza e dalla nobiltà della lama elfica, da un lato, e i suoi pensieri intimamente semplici e diretti dall’altro: riuscire a colpire la Bocca di Sauron come Merry ha colpito il capo dei Nazgûl; fare secchi un po’ di nemici, ma soprattutto rivedere il sole e l’erba, cioè portare a casa la pelle. È un passo che, giocando sul contrasto dei toni, sulla metrica, e sul registro lessicale, mostra l’essenza e le contraddizioni degli hobbit proprio attraverso le scelte stilistiche.
2.4 Citazioni poetiche
Capita anche che il registro alto della traduzione corrisponda a riferimenti poetici criptici o a chiave presenti nel testo, come nel capitolo I cavalieri di Rohan (DT, III. II), quando si parla della reggia di re Théoden:
Medulsed, il gran palagio ove adesso risiede Théoden a Edoras.
traduzione di
Meduseld, the high house in Edoras where Théoden now sits.
Perché rendere quella che all’apparenza sembra una comunissima definizione inglese come high house con l’arcaico «gran palagio»? Perché qui Tolkien stesso sta facendo una citazione poetica arcaica, rintracciabile niente meno che nel Beowulf, e la traduzione di Fatica rende esplicito l’arcaismo in italiano. Meduseld è la great hall di re Théoden, cioè la grande sala dei ricevimenti e dei banchetti. È quanto di più simile a un palazzo reale ci sia nella società germanica altomedievale a cui i Rohirrim sono ispirati. La locuzione high house – letteralmente “alta casa” – definisce precisamente questo particolare tipo di edificio, sopraelevato rispetto al centro abitato. Infatti Meduseld svetta su Edoras. Com’è noto, Meduseld è anche una citazione poetico-letteraria, perché Tolkien la descrive come molto simile a Heorot, la sala/reggia del re dei Danesi nel Beowulf (e tutto l’episodio dell’arrivo dei compagni alla reggia sarà una citazione dal poema). Non stupisce quindi che nella descrizione dell’originale poetico a cui Meduseld si ispira, al verso 116 del Beowulf, si trovi l’espressione «hean huses», cioè appunto high house, per definire Heorot. Per altro, anche nell’inglese moderno resta traccia di questo modo di nominare un palazzo: si pensi alla celeberrima House of Parliament. Dunque la high house è intesa come un “palazzo”, ma la traduzione di Fatica «palagio» rende conto del fatto che siamo in presenza di un arcaismo poetico.
3. Arcaismo lessicale
Ci sono poi i casi, nella nuova traduzione, che ricalcano direttamente gli arcaismi usati da Tolkien, perché questi ultimi hanno un corrispettivo immediato in italiano. Spesso si tratta di parole di origine germanica presenti in entrambe le lingue, ma non solo. Anche in questo caso, ecco alcuni esempi.
- Il toponimo Gore, nominato nel capitolo Lothlòrien (FR, II. VI), è tradotto letteralmente da Fatica con «Gherone». Sia in inglese sia in italiano la parola significa “lembo di stoffa triangolare”, ma nel testo viene detto che il luogo in questione è così chiamato perché ha la forma di una punta di lancia. E in effetti gore e gherone hanno la stessa radice germanica, che in origine indica la punta del giavellotto.
- Anche la forma arcaica coomb usata più volte da Tolkien al posto della forma più moderna combe, viene resa da Fatica con il letterale «comba», una parola di origine celtica, passata nell’Old English, e che è arrivata anche nell’italiano con il significato di “valle allungata e stretta”.
- Lo stesso accade con i termini inglesi poco comuni dale e vale, che nei toponimi Fatica sceglie di tradurre con l’arcaico “Vallea”, anziché con un comune “Valle” o “Vallata”, per trasmettere l’effetto arcaico dell’originale.
- Per la stessa ragione, quando deve rendere il plurale arcaico turves, Fatica ricorre a «cotica», con riferimento al secondo significato del termine italiano, piuttosto obsoleto, cioè “zolla di terriccio ed erba”.
- Il titolo di origine anglosassone steward, in uso sia a Rohan sia a Gondor, viene tradotto con la parola di origine germanico-longobarda «castaldo», che ha il medesimo significato, cioè “amministratore dei beni regi” e anche “facente veci del re”. Qui Fatica segue Tolkien, che attinge direttamente alla storia medievale.
- La stessa cosa Tolkien fa utilizzando la voce del diritto penale antico-germanico weregild, che compare in FR, II. II, resa letteralmente da Fatica con «guidrigildo».
- Quando Tolkien utilizza il termine d’origine germanica heathen (RK, V.IV e V.VII) riferito agli antichi re pre-numenoreani, Fatica lo segue traducendo letteralmente «pagani».
- Il soprannome di Hamfast Gamgee, «Gaffer», è un termine del tardo XVI secolo che sta per “uomo anziano”, probabilmente una contrazione di godfather. Trattandosi di un termine arcaico, al tempo stesso reverenziale e famigliare, Fatica l’ha reso con una versione arcaica di “vecchio”, cioè «Veglio».
- Uno dei casi più interessanti per quanto riguarda lo stile di Tolkien è quello dell’aggettivo fell, cioè “crudele, feroce, spietato”, che ritroviamo spesso nel testo – anche in nomi come «Fell Winter of 1311» o «Fell Riders» (riferito ai Nazgûl) -, e che nei tre volumi singoli Fatica aveva tradotto con il latino fero/a, nel senso di “feroce”. Nel volume unico di prossima uscita ha rettificato la resa dell’Old English, preferendo un più letterale fello/a, parola italiana che ha la stessa etimologia dell’originale inglese (< felon < fel) e la stessa arcaicità. Nell’inglese moderno infatti l’aggettivo fell è considerato di uso poetico, ma Tolkien se ne infischia e lo usa nella sua prosa letteraria in almeno venti occorrenze. Fatica replica la sua scelta per dare alla prosa italiana lo stesso effetto arcaico che ha nell’inglese.
- Un caso curioso e senz’altro vistoso, se non altro perché si trova nella seconda riga del primo capitolo del romanzo, è anche quello di eleventy-first, un arcaismo reso noto nel XX secolo proprio dal successo del Signore degli Anelli. Letteralmente sarebbe “undici-decine-e-unesimo”. Per trasmettere l’effetto anomalo di questa parola al lettore italiano, Fatica la rende con il neologismo «undicentesimo», che inverte l’ordine dei numerali e suona vagamente antico.
- Per quanto riguarda l’originale inglese è interessante anche la locuzione spear-truncheons, che compare in una singola occorrenza, nel capitolo The Battle of Pelennor Fields, e che Fatica traduce correttamente con «tronconi di lancia» (nella precedente traduzione era reso con «tronconi di spade», sic!). Nella tradizione letteraria inglese prevale la locuzione truncheon of spear(s) – che i lettori critici hanno segnalato in opere di diversi autori ben noti a Tolkien, da Thomas Malory a Walter Scott, mentre Fatica ha scovato uno spear’s truncheon nella traduzione inglese dell’Orlando Furioso di W.S. Rose del 1823-31 (XXX, 39). Tolkien quindi ribalta la locuzione più nota e unisce le due parole con il trattino. Vale a dire che mentre recupera dalla tradizione poetica un termine nella sua accezione desueta (truncheon), al tempo stesso produce un neoarcaismo unendolo a un’altra parola: spear-truncheon.
4. Omen nomen
Un discorso a parte meritano i nomi e i toponimi, sulla resa dei quali si sono accese le discussioni e le polemiche più lunghe. Quello che qui ci interessa è ancora capire se la ratio applicata da Fatica ci dice qualcosa sulle scelte onomastiche di Tolkien oppure no, dato che senz’altro queste giocano una parte importante nel rendere l’arcaismo dello stile del romanzo.
Tolkien sceglie nomi e toponimi molto concreti, cioè portatori di significati specifici, che riguardano le caratteristiche, la funzione o la storia dei personaggi e dei luoghi. Tradurli per rendere questi riferimenti riconoscibili in italiano, inevitabilmente va a discapito della loro “inglesità”. In altre parole, se la coperta è corta e tocca scegliere tra sonorità e significato, Fatica opta per il significato. Certamente l’italianizzazione di toponimi come Harrowdale, Dunharrow, Rivendell, Dunland, solo per citarne alcuni, può suonare straniante, ma svela il loro significato, appunto, e se i nomi contengono storie, questo aspetto non è secondario.
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- Rivendell, così eufonico in inglese, ha un significato del tutto paesaggistico, per così dire, corrispondente all’italiano “Vallespaccata”, o “Valforra”, o “Forravalle”, ecc. Nella sua Guide to the Names of The Lord of the Rings, infatti Tolkien lo definisce «cloven dell», ricordando che anche il nome elfico del luogo, Imladris, significa «deep dale of the cleft»; dopodiché suggerisce di tradurre a senso o lasciarlo nella forma originale, a seconda di come si ritenga meglio.
- «Fanclivo» non suona sassone quanto Dunharrow, ovviamente, ma il significato del nome è precisamente quello, ed è Tolkien stesso a fornirlo nella guida già menzionata: «the heathen fane on the hillside».
- Si può dire lo stesso per Harrowdale, che significa “valle del tempio” e che Fatica rende con «Valfano».
Traducendo in una lingua germanica sarebbe stato probabilmente più facile adeguarsi alle preferenze che Tolkien esprime nella Guida, dove scrive che «In the language of translation it is best represented by an approximation to the Rohan form». Ma è chiaro che in una lingua neolatina è più difficile trovare una soluzione del genere, se si vuole mantenere comprensibile il significato del nome. Questi nomi infatti non sono indifferenti – e conseguentemente non lo è la loro resa in altra lingua -, perché sono tra i pochissimi riferimenti diretti, nel romanzo, a passati culti religiosi nella Terra di Mezzo. I toponimi sono storie, si diceva.
- Dunland per esempio ha un’etimologia diversa da Dunharrow. Significa infatti “terra scura”. Lo stesso Tolkien nella Guida avverte che in questo caso la radice del composto è dun(n). Si tratta di una parola di origine celtica passata nell’Old English, che significa “scuro, fosco”. Il nome è probabilmente dovuto alle caratteristiche fisiche degli abitanti della regione. Anche in questo caso Fatica traduce latinizzandolo in «Landumbria» (lett. “terra d’ombra”). “Terrabruna” o “Landascura” forse sarebbero state rese più filologiche, ma certo il suono della traduzione scelta da Fatica non fa venire in mente l’Umbria più di quanto non faccia venire in mente l’inglesissima Northumbria, che fu uno dei più celebri regni anglosassoni.
Se i toponimi per Tolkien sono storie, lo stesso vale per i nomi propri.
Tom Shippey una volta ha raccontato un aneddoto significativo. Durante una cena accademica, Tolkien, oramai anziano, venne accompagnato nella sala dove erano i tavoli per gli invitati e sui quali erano state collocate delle targhette segnaposto con i cognomi di ciascuno. Il suo accompagnatore si accorse che il vecchio professore stava borbottando tra sé, tese l’orecchio e realizzò che Tolkien stava ricostruendo le etimologie di tutti quei cognomi.
Non è un caso se Frodo porta il nome del leggendario re danese precursore dell’evangelizzazione. Non è un caso se Samwise ha un nome che significa letteralmente “mezzo saggio”. E non è un caso se il vecchio padre di Sam, campanilista, diffidente e tutt’altro che giramondo, si chiama Hamfast, cioè letteralmente “stai-a-casa”.
Anche quando le etimologie dei nomi non sono derivate dalle lingue storiche ma da quelle elfiche di sua invenzione, Tolkien non rinuncia ad associarle ai personaggi che ha coniato: Elrond (Volta stellata), Glorfindel (Capelli d’oro), Galadriel (Ghirlanda scintillante / Fanciulla incoronata di capelli scintillanti), eccetera. Benché l’indicazione data da Tolkien sia stata quella di non tradurre i nomi elfici, perché è giusto affidarsi all’eufonia del Sindarin, per la ragione uguale e contraria l’autore consigliava invece di tradurne molti altri presenti nel romanzo.
Ciò che preme sottolineare per la definizione del suo stile letterario, è che la scelta dei nomi non è mai casuale, tanto che spesso i personaggi ne hanno più di uno, corrispondenti a varie fasi della loro storia complessa. Si può quindi parlare di una vera e propria poetica onomastica.
5. Prime conclusioni
Il Signore degli Anelli è un romanzo scritto in uno stile strano, perfino spiazzante. Una lingua mediamente moderna e piana, a tratti viene disseminata di allitterazioni e frasi in metrica, che rimandano alla poesia anglosassone, fino a picchi di prosa poetica, nonché di termini più o meno arcaici e obsoleti che creano una precisa atmosfera. È un effetto questo che abbiamo visto Fatica rende con un innalzamento del registro lessicale in certi punti della prosa o con la ricerca di possibili corrispettivi poetici in italiano. Il risultato risponde al preciso intento di interpretare lo stile particolare del romanzo nella nostra lingua.
Acclarato questo, l’impressione che si trae non solo dal dibattito italiano sulla nuova traduzione, ma anche da una rapida occhiata alla produzione in inglese, è che siano troppo pochi gli studi monografici sullo stile di Tolkien. Questo è tanto più paradossale quanto più il successo duraturo di un’opera narrativa come The Lord of the Rings non può non dipendere anche dallo stile con cui è scritta.
Da questo punto di vista, allora, sarebbe utile mettere a confronto le considerazioni sulla traduzione italiana con le traduzioni in altre lingue della medesima opera. Anche in altri paesi infatti il romanzo ha avuto vicissitudini traduttive interessanti e movimentate. L’Italia non è stata poi così originale, solo ritardataria, visto che si è atteso mezzo secolo prima di vedere affidato uno dei più noti romanzi del secondo Novecento a un traduttore letterario esperto.
Perché un confronto tra le esperienze in diversi paesi sia davvero utile, però, serve che i traduttori incontrino gli studiosi di lingua e letteratura. I tempi sono maturi proprio in Italia e proprio alla luce del dibattito sulla nuova traduzione che c’è stato nell’ultimo anno.
Ecco perché saranno questi il taglio e il tema del prossimo convegno internazionale tolkieniano che si terrà nel nostro paese, organizzato dall’AIST e dall’Università di Trento. Il 30 novembre e l’1 dicembre sarà l’occasione buona di ascoltare (auspicabilmente in presenza, Covid permettendo) un confronto a lungo atteso tra linguisti, studiosi di letteratura, traduttori di Tolkien italiani e stranieri, nonché alcuni studiosi di traduzione da un medium narrativo all’altro. Certo questo avverrà all’insegna della consapevolezza che si parla di una scienza inesatta, per certi versi votata a un’impresa impossibile, e nondimeno affascinante.
ARTICOLI PRECEDENTI
– Leggi l’articolo Tolkien e lo stile del Signore degli Anelli (1)
– Leggi l’articolo Il Fabbro di Oxford, il nuovo libro di WM4
– Leggi l’articolo La prefazione di Rialti al Fabbro di Oxford
LINK ESTERNI:
– Vai al blog di Wu Ming, Giap
– Vai alla pagina facebook di Eterea Edizioni
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Che articolo meraviglioso, grazie.
Fa davvero venir voglia di un libro in cui Fatica commenta il proprio lavoro sul Signore degli Anelli illustrando le proprie scelte di volta in volta.