Il 18 luglio si concluderà la vendita di Libri, Manoscritti e Musica dal Medioevo alla Modernità della celebre casa d’aste Sotheby’s di Londra. In quell’occasione verrà bandita una copia del volume Oxford Poetry 1915, che rappresenta non solo una perla per collezionisti, ma anche un bellissimo esempio di “all star team” in un unico volume. Tra talenti in erba del calibro di Dorothy L. Sayers, Aldous Huxley e Naomi Mitchison, primus inter pares, compare anche un ventitreenne J.R.R. Tolkien, con la sua poesia Goblin Feet.
Il volume all’asta
Oxford Poetry è la più celebre rivista letteraria annuale con sede a Oxford, fondata nel 1910 da Basil Blackwell, e ha avuto tra i suoi redattori, oltre ai già citati Sayers e Huxley, anche poeti e scrittori del calibro di Robert Graves, Vera Brittain, Kingsley Amis, e molti altri pezzi da novanta della letteratura britannica del Novecento. Il volume del 1915 è nel suo involucro originale con la firma autografa di Sayers e le sue correzioni al proprio contributo alla breve raccolta, una poesia intitolata Lay, scritta durante il suo ultimo anno di studi all’Università di Oxford. La stima è di 1.800-2.600 sterline.
Il libro, oltre alla prima apparizione a stampa di Aldous Huxley, contiene i versi di Naomi Mitchison, che in seguito divenne non solo una celebre autrice di romanzi storici e fantasy, ma anche tra le prime estimatrici delle opere di Tolkien. Fu infatti lettrice in anteprima del Signore degli Anelli, quando la George Allen & Unwin le inviò le bozze. Celebre è la sua recensione del romanzo apparsa sul New Statesman nel 1954, e la corrispondenza epistolare che intrattenne con Tolkien in quel periodo.
Goblin Feet
Il contributo di Tolkien all’annuario, Goblin Feet, è una poesia scritta il 27-28 aprile 1915 per Edith Bratt, sua futura moglie, pubblicata per la prima volta proprio in Oxford Poetry, 1915. È quanto di più vicino possibile alla rappresentazione vittoriana delle fate si possa immaginare nelle opere di Tolkien: Edith aveva espresso la sua simpatia per «la primavera, i fiori e gli alberi, e i piccoli elfi» e la poesia con i suoi riferimenti alle «piccole corna dei folletti incantati… i loro piedini felici» rispecchia queste preferenze. Fu composta negli stessi giorni di You and Me / and the Cottage of Lost Play (Io e te e la Casetta dei Giochi Perduti) nel Libro dei Racconti Perduti vol. I. Chiaramente, la poesia ha lasciato un segno indelebile. È stata ristampata in almeno sette antologie nell’arco di quattro decenni e forse alcune altre che si sono perse. Fatte le dovute proporzioni, “Goblin Feet” è quindi stata un successo di Tolkien prima della sua ascesa nella letteratura per ragazzi dal 1937 con Lo Hobbit. Tuttavia, oggi non è di facile reperibilità: nella Biografia, Carpenter ne cita solo la prima parte e la poesia non è mai stata ristampata per intero se non nello Hobbit Annotato (LH IV n. 10). Così, essa viene riprodotta qui di seguito, mentre una traduzione completa in italiano è fornita in C’era una volta… Lo Hobbit (Marietti 2012, pp.60-61):
I am off down the road
Where the fairy lanterns glowed
And the little pretty flitter-mice are flying
A slender band of gray
It runs creepily away
And the hedges and the grasses are a-sighing.
The air is full of wings,
And of blundery beetle-things
That warn you with their whirring and their humming.
O! I hear the tiny horns
Of enchanted leprechauns
And the padded feet of many gnomes a-coming!
O! the lights! O! the gleams! O! the little twinkly sounds!
O! the rustle of their noiseless little robes!
O! the echo of their feet – of their happy little feet!
O! the swinging lamps in the starlit globes.
I must follow in their train
Down the crooked fairy lane
Where the coney-rabbits long ago have gone.
And where silvery they sing
In a moving moonlit ring
All a twinkle with the jewels they have on.
They are fading round the turn
Where the glow worms palely burn
And the echo of their padding feet is dying!
O! it’s knocking at my heart-
Let me go! O! let me start!
For the little magic hours are all a-flying.
O! the warmth! O! the hum! O! the colours in the dark!
O! the gauzy wings of golden honey-flies!
O! the music of their feet – of their dancing goblin feet!
O! the magic! O! the sorrow when it dies.
Christopher Tolkien, nel Libro dei Racconti Perduti vol. I, riferisce che il padre disse: «Vorrei che quella piccola cosa infelice, che rappresenta tutto ciò che sono arrivato (così presto) a disprezzare ardentemente, potesse essere sepolta per sempre». Questa abiura dei propri albori poetici fu dovuta evidentemente alla cesura percettiva ed esistenziale rappresentata dalla partecipazione alla Prima guerra mondiale. Tolkien partì per la Francia imbevuto di letteratura vittoriana ed edoardiana – e in particolare di quella rilettura bucolica e incantata del mondo fatato che si era affermata a cavallo tra XIX e XX secolo – e tornò dal massacro della Somme con il rigetto per le fatine gentili e scampanellanti. Da quella cesura nacquero la sua nuova prosa e poesia fantastica. Ecco quindi che leggere Goblin Feet, una poesia scandita dal battere dei piedini danzanti dei Goblin, e poi leggere il capitolo dello Hobbit ambientato nelle grotte dei Goblin, dove il rumore dei piedi strascicati si mescola a quello delle catene, dà la precisa misura di quella trasformazione poetica.
Verlyn Flieger ha trattato questo argomento al convegno del 2015 patrocinato dall’AIST “La generazione perduta: J.R.R. Tolkien e l’esperienza degli autori inglesi nel primo conflitto mondiale”: «Dal punto di vista artistico, questo passaggio dal fatato al realistico non fu una transizione inusuale per quel tempo. Gli storici della letteratura hanno già rilevato la trasformazione della narrativa prima e dopo la Grande guerra, da J.M. Barrie, H.H. Munro, Lord Dunsany e Max Beebholm, a Ford Madox Ford, Erich Maria Remarque e Ernest Hemingway. Quello che è interessante di Tolkien è che scrisse da entrambi i lati della cesura. Iniziò con il ‘piccolo popolo’ in una ‘piccola’ casetta tintinnante di campanelle elfiche, piena di bambini e di ‘gioiose aspettative’. Tornato dalla guerra nel 1917, mantenne le creature fantastiche, ma cambiò completamente il loro mondo. Non soltanto tramite il passaggio dalla poesia alla prosa, ma soprattutto con il passaggio dalla nostalgia al presente, dalle finestre keatsiane sul magico al qui e ora, dalle barche fatate, gli allegri marinai, le torri perlacee e i giochi perduti, alla Caduta di Gondolin, alle macchine da guerra e agli strumenti di morte sul campo di battaglia. […] La Prima guerra mondiale mise muscoli e tendini nel mondo fantastico di Tolkien. Ciò che emerse dopo la guerra fu una sorprendente combinazione di vecchio e nuovo». (V. Flieger, “Faërie and War: How Experience Changes Art”, in AA.VV., La generazione perduta, a cura di S. Giorgianni, Del Miglio, 2017, p. 160-161).
Goblin Feet, la poesia rinnegata da Tolkien, è quindi un importante termine di paragone nel percorso di questo originale autore, che si formò in un mondo e sviluppò la sua prosa in un altro, quest’ultimo completamente stravolto dal trauma insormontabile della Grande guerra, che fu anche una formidabile matrice letteraria.
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