É appena stato pubblicato Tolkien et l’Antiquité. Passé et Antiquités en Terre du Milieu, un volume di saggio a cura di Dimitri Maillard (Université Paris 1, Pantheon-Sorbonne) per i tipi di Classiques Garnier, una storica casa editrice che, nel mercato editoriale francese, costituisce il sicuro riferimento per le opere letterarie antiche e moderne e i testi scientifici. Il volume, attraverso molteplici punti di vista e differenti campi di studi, intende indagare le influenze antiche – finora considerate in un certo modo secondarie rispetto a quelle medievali – nell’opera tolkieniana. In effetti, i principali dibattiti nei Tolkien Studies hanno finora contrapposto chi, come Tom Shippey e Thomas Honegger, ritiene che Il Signore degli Anelli e il legendarium possano essere interpretati al meglio dagli specialisti di letteratura medievale e chi, come Verlyn Flieger, ne sottolinea invece la capacità di ridiscutere e decostruire le strategie di rappresentazione attraverso una consapevolezza squisitamente (post)moderna.
Il volume a cura di Maillard, dunque, si propone di colmare un vuoto esegetico sempre più evidente e di dimostrare come l’eredità culturale e letteraria dell’Antichità abbia fornito a Tolkien non soltanto elementi generici e di secondaria importanza ma anche – attraverso la ripresa di miti come quelli di Orfeo e di Atlantide, della Caduta di Troia e dell’Eneide – dei modelli attivi, capaci di conferire profondità storica e realismo al suo Mondo Secondario: l’Antichità “trasposta” nella Terra di Mezzo emerge in modi molteplici che esprimono l’idea di un passato classico e idealizzato. Il progetto di Maillard è certamente valido, sebbene vada commisurato alla ben nota circospezione del Professore verso la “critica delle fonti”: da un lato, infatti, attraverso la gustosa (in tutti i sensi) allegoria del “Calderone delle Storie” contenuta nel saggio Sulle fiabe, afferma sì che la “minestra” è «il racconto che viene offerto dai suoi autori o narratori» e le “ossa” «le sue fonti o materiali» (Il Medioevo e il fantastico, p. 182) ma sancisce anche il ruolo attivo dell’autore: «se parliamo di un Calderone, non dobbiamo dimenticare completamente i Cuochi. Vi sono molti ingredienti nel Calderone, ma i Cuochi non immergono il mestolo del tutto alla cieca. La loro selezione è importante» (Ivi, p. 192); dall’altro, poi, egli sostiene che «la cosa più interessante da considerare è l’uso particolare che viene fatto in una situazione particolare di un qualche motivo, che sia inventato, deliberatamente preso a prestito o inconsciamente ricordato» (Lettere, n. 337). Se, dunque, occorre usare prudenza nel parlare delle “fonti” di Tolkien, nondimeno ragionare in termini di complanarità tra la sua opera e quelle antiche e medievali può costituire un esercizio ermeneutico appagante.
Tolkien e l’Antichità
Com’è noto, il percorso universitario di Tolkien iniziò con lo studio dei classici per poi deviare improvvisamente nello studio della lingua e della letteratura inglese. In diverse occasioni, il Professore segnalò come i suoi interessi lo spingessero più verso il settentrione medievale che non verso il meridione antico. Ciò non significa, nondimeno, che egli ignorasse i classici né tantomeno che il suo legendarium fosse “ricalcato” sul medioevo europeo. Quest’idea, del resto, sembra dipendere, più che da una qualità intrinseca dell’opera tolkieniana, da un’impressione generata nei lettori dai vagheggiamenti romantici dell’Età di Mezzo o dalle ambientazioni medievaleggianti dell’heroic fantasy. Un Medioevo, dunque, rappresentato con lampanti anacronismi, distorsioni e idealizzazioni e spesso semplicisticamente, quando non indebitamente, proiettato sulle Ere di Arda. La Terra di Mezzo è ben lontana da simili semplificazioni, tant’è che il Signore degli Anelli mostra, nei vari popoli che rappresenta, mondi culturali in qualche modo assimilabili – ma non sovrapponibili – a epoche differenti del nostro Mondo Primario: così, se è evidente l’attitudine degli Elfi a “imbalsamare” nei propri domini il ricordo del passato, l’immagine intatta delle Ere più antiche di Arda, la Contea appare «simile a un villaggio del Warwickshire nel periodo intorno al Giubileo di Diamante» (Lettere, n. 178), i Rohirrim non sono «”medievali”, nel nostro senso» (Lettere, n. 211), sebbene possano essere paragonati ai cavalieri coperti di cotta di maglia dell’Arazzo di Bayeux, e i Númenóreani di Gondor potrebbero essere «raffigurati al meglio come (diciamo) Egizi» (Ivi). Sebbene, dunque, gli interessi personali e professionali spingessero Tolkien a raffrontare la propria mitopoiesi con le grandi opere del Medioevo germanico o anglosassone, non è pensabile che egli intendesse creare un mondo “copiato” da un’immagine oleografica dell’Età di Mezzo europea.
Declinare l’Antichità al plurale
Ne consegue che anche l’Antichità, come il Medioevo, costituisce un serbatoio di temi e storie disponibili alla capacità creativa di Tolkien. Da qui il valore certamente positivo della proposta del volume curato da Maillard, che analizza la tematica attraverso i seguenti saggi:
- Dimitri Maillard, Introduction. L’Antiquité et la Terre du Milieu, deux mondes “autres”;
- Première Partie, Un Âge ou des Âges Antiques:
- Leo Carruthers, Le Troisieme Âge comme Medium Ævum. Des Âges de la Terre du Milieu à “nos Jours”;
- Christopher Chinn, Phoebe J. Thompson, The Vergilian Golden Age in Tolkien’s Legendarium;
- Deuxième Partie, Évocations sensibles d’un passé antique:
- Benjhamin E. Steven, “All… that walk the world in these after-days”. Classical Receptions as Gothic “Haunting” in J.R.R. Tolkien;
- Damien Bador, La langue de la connaissance. L’influence du latin sur le quenya de J.R.R. Tolkien;
- Jean-Rodolphe Turlin, Vestiges de l’Antiquité chez les Hobbits;
- Troisième Partie, Ères et empires antiques:
- Thibaud Nicolas, De Babilone à Númenor. La réception de l’Antiquité proche-orientale et l’usage des sources akkadiens dans l’œuvre de J.R.R. Tolkien;
- Maxime Émion, Rome en Terre du Milieu. Échos d’un passé à venir;
- Charles Delattre, Velléda et Galadriel, les Antiquités de Chateaubriand et Tolkien
Il volume, dunque, suggerisce l’idea di un’Antichità declinata al plurale, nel duplice senso che non limita l’indagine al solo mondo greco-romano (si veda il saggio di Nicolas sulle fonti accadiche del Professore) e che tiene conto della tradizione e risemantizzazione dei classici nel tempo (come nei saggi di Steven sulla loro rilettura gotica o di Delattre sul confronto tra il “classicismo” di Chateaubriand e Tolkien). Tolkien et l’Antiquité si presenta, dunque, come un’opera di sicuro interesse su un aspetto relativamente poco esplorato della cultura di Tolkien e conferma positivamente le intuizioni di raccolte di saggi come Tolkien and the Classical World, curata da Hamish Williams (2021), e Tolkien e i classici, curata da Roberto Arduini, Cecilia Barella, Giampaolo Canzonieri e Claudio A. Testi (2015 e 2018).
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LINK ESTERNI:
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