Lo Hobbit, confessioni di un traduttore

Premessa

Lo HobbitEsce oggi in libreria Lo Hobbit, in un’edizione illustrata con gli stessi disegni di Tolkien. Dal punto di vista estetico forse la più bella edizione dello Hobbit mai realizzata. E con una nuova traduzione.
Non avrei mai pensato che potesse essere la mia. Nonostante negli ultimi anni io abbia discusso a iosa della traduzione del Signore degli Anelli realizzata da Ottavio Fatica e di quella storica di Vittoria Alliata, e nonostante studi i testi tolkieniani da quasi vent’anni, non mi sarei aspettato che mi venisse fatta un’offerta del genere. Quando è capitato, la prima cosa che ho pensato è che non avevo alcun titolo per farlo. Troppa poca esperienza di traduzione, troppo senso di inadeguatezza, troppa ansia da prestazione verso un autore amato.
Era un pensiero più che legittimo.
Se ho accettato di ritradurre Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien è essenzialmente per due motivi, egualmente importanti.
Lo HobbitIl primo è proprio che, dopo anni trascorsi a parlare di traduzioni altrui, a polemizzare sul lavoro degli altri, pareva coerente mettermi alla prova in prima persona, mettermi in gioco, accettando di farmi massacrare dal fandom. Perché la cosa scontata – come sa chiunque bazzichi gli ambienti tolkieniani – era che la traduzione sarebbe stata fatta a brandelli, com’era stato per i casi precedenti, a prescindere dalla levatura del traduttore o traduttrice: Alliata con le sue lacune e libertà stilistiche; Jeronimidis Conte con le sue italianizzazioni; Saba Sardi con i suoi abbagli; Fatica con i suoi… “fatichismi”; Giorgianni/Rialti con l’onere di adeguarsi alla nomenclatura di Fatica (lo stesso che avrei avuto io). Indegnamente sarei stato «sesto tra cotanto senno» e avrei ricevuto la mia dose di critiche, sfottò, insulti, nitpicking, ecc. Ma a darmi lo slancio per gettare il cuore oltre l’ostacolo è intervenuta la solida e inesorabile materialità delle cose.
Il secondo motivo per cui ho accettato di ritradurre Lo Hobbit infatti è che mi è stata offerta quasi la cifra esatta che mi serviva per pagare una spesa sanitaria importante. Soldi che in quel momento non avevo. E quando vivi di sola scrittura perché hai avuto la malaugurata idea di non imparare a fare nient’altro nella vita né di fare uno straccio di concorso pubblico (quante sacrosante cazzate si pensano a vent’anni, soprattutto se sono gli anni Novanta), ti può capitare di dover mettere da parte le remore per necessità.
Questo è quanto. Se qualcuno si aspettava del romanticismo può anche smettere di leggere qui. Tanto più che la prima cosa che intendo fare è autodenunciarmi per avere preso braci per bretelle.

Braci per bretelle

Sembra un modo di dire, come “prendere fischi per fiaschi”. Eccolo lì l’errore stupido, da pollo, proprio all’inizio. È il “falso amico” che ti forma un’immagine mentale, quella della brace della pipa tappata con il pollice, perché Bilbo sta facendo gli anelli di fumo. Anche se lo sai che “braci” si dice embers e non braces, e quella scena, di Bilbo che si infila il pollice dietro le bretelle l’hai letta una dozzina di volte. Quella posa l’hai vista nel film di Jackson e rappresentata da fior di artisti, è una delle più famose di Bilbo: pipa in bocca e pollice dietro la bretella. Eppure ti si forma quell’immagine nella mente, quella di lui che tappa la pipa con il dito per ravvivare la brace e sbuffare fuori il fumo e…. invece di tradurre la frase dall’inglese, una frase inequivocabile – «[Bilbo] stuck one thumb behind his braces» -, ti resta bloccato in testa il falso amico e sulla pagina ci finisce quello. Il risultato è che hai modificato un’azione di Bilbo, hai cambiato il testo di Tolkien. Certo alla prima ristampa verrà corretto, ma intanto c’è il tuo zampone, un errore-marchio di fabbrica “Wu Ming 4” che ricorderà a tutti – e al sottoscritto in primis – che le remore non sono mai abbastanza quando si ha poca esperienza. Hai voglia a circondarti dello Hobbit annotato, The History of The Hobbit, vocabolari etimologici, vocabolari cartacei, vocabolari online, traduttori automatici, consulenti madrelingua… niente ti mette al riparo dalla svista che è sempre dietro l’angolo. E per certi versi è giusto che ti sia toccata in sorte, così la hybris manifestata in più di un’occasione nelle discussioni di questi anni potrà essere disintegrata. Redde rationem. Ci sta. Ho premesso che essere fatto a pezzi era nel conto.

Buongiorno

Un altro gancio da tirare per smontare la traduzione si trova sempre lì, nel celeberrimo dialogo tra Bilbo e Gandalf che ha al centro il gioco di parole su “good morning”. Fin da ragazzino non mi era mai tornato il senso di quel dialogo… Se in inglese “good” può stare sia per “buono” sia per “bene”, in italiano appunto abbiamo due parole che esprimono un significato diverso, e a mio avviso andavano usate entrambe per rendere il senso del gioco di parole di Gandalf:

“What do you mean?” he said. “Do you wish me a good morning, or mean that it is a good morning whether I want it or not; or that you feel good this morning; or that it is a morning to be good on?”

Ecco la traduzione che lessi allora, quella di Jeronimidis Conte:

“Che vuol dire?” disse “Mi auguri un buon giorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no; o che ti senti buono, quest’oggi; o che è un giorno in cui si deve essere buoni?”

Perché questo risvolto etico? Cosa c’entra l’essere buoni col fatto che è una splendida giornata? Gandalf/Tolkien qui sta giocando con le accezioni della parola “good”, ma riferite allo stato d’animo e alle condizioni ambientali, non al comportamento. È chiaro che per mantenere invariata la parola “buono”, la precedente traduttrice aveva scelto di sacrificare il senso del gioco di parole. Io ho fatto il contrario, ho scelto di far prevalere il senso. Partendo dal fatto che to feel good significa anche sentirsi bene, e to be good on significa passarsela bene, trascorrere bene il tempo, ho tradotto così:

“Cosa intendi?” disse. “Mi stai augurando una buona giornata, o intendi dire che è una bella giornata che io lo voglia o no; o che oggi ti senti bene; o che è una giornata da trascorrere bene?”

Nello stesso passaggio si potrà avvertire anche un’altra differenza rispetto al passato. È quando Bilbo, per due volte, usa come intercalare di cortesia l’espressione «I beg your pardon».
Jeronimidis Conte aveva tradotto: «Vi chiedo scusa». Di conseguenza Gandalf rispondeva con «Sei scusato». [In questo caso non considero la revisione del 2013 di Ciuferri, perché traduceva le due occorrenze con due espressioni diverse, cioè «Ti chiedo scusa» e «Perdonami», privando così di senso la frase di Gandalf sul fatto che Bilbo gli abbia chiesto perdono due volte: «Yes, you have! Twice now. My pardon. I give it you». Non sono l’unico a fare errori marchiani, anche se il male comune non è mai mezzo gaudio]. Io ho reso le due occorrenze rispettivamente con «Ti chiedo perdono» e «perdonami». Questo perché credo che sia proprio il concetto di perdono qui a essere in ballo. La formula di cortesia di Bilbo rivela l’inconscio del personaggio e non è un caso che Gandalf la prenda alla lettera, come se Bilbo avesse davvero bisogno di essere perdonato. Perdonato per essersi dimenticato del sé bambino, del senso di meraviglia davanti al fantastico, della propria madre… Non del tutto, per fortuna, qualcosa riaffiora e su questo, dice Gandalf, si può lavorare: «that is not without hope» e quindi «I will give you what you asked for», «ti darò quello che hai chiesto», cioè il perdono, più che le sue scuse – ego te absolvo… – insieme a una bella spinta fuori dalla porta di casa.
Ho sovrainterpretato? Il gancio è lì, basta tirare. Tanto più che non vado da nessuna parte. E soprattutto, ho appena cominciato a nutrire i troll.

Troll

Nell’originale inglese i Troll parlano cockney. Usano parole storpiate come «tomorrer», «yer», «blimey», «lumme» ed espressioni monche come «’Ere, ’oo are you?» o «what the ‘ell» o ancora antepongono una “a-” davanti ai gerundi, come «a-thinking», «a-arguing», «a-talking».
La traduzione storica non aveva riportato questo aspetto se non blandamente. Io ho calcato la mano, attingendo al mestiere. Nell’Armata dei Sonnambuli, un romanzo di una decina d’anni fa, noi Wu Ming ci inventammo la parlata della plebe parigina di fine Settecento. Un’intera linea narrativa era tenuta dalla voce collettiva del proletariato urbano, con una specie di grammelot che ricorreva a vari dialettismi e storpiature dell’italiano. Non ho proceduto allo stesso modo, ma mi sono ispirato a quello.
Ad esempio:

A William andò tutto di traverso. “Chiudi ‘sta bocca!” disse appena ci riuscì. “Mica puoi pretendere che la gente si ferma qui solo per farsi pappare da te e da Bert. Tra lui e te vi sarete pappati un villaggio e mezzo da quando siam venuti giù dalle montagne. Chevvuoi di più? E c’è stato un tempo che m’avresti detto ‘grazie Bill’ per un bel pezzo di montone ciccio e tenero come ‘sto qua.”

O ancora:

“Mi cecassero, Bert, guarda cos’ho acchiappato!” disse William.
“Che cos’è?” dissero gli altri avvicinandosi.
“Mi venga un colpo se lo so! Chessei?”
“Bilbo Baggins, uno scass… hobbit,” disse il povero Bilbo, tutto tremante, mentre si chiedeva come fare il verso del gufo prima che quelli lo strozzassero.
“Uno scasshobbit?” dissero loro un po’ allarmati. I troll sono lenti di comprendonio, e molto diffidenti di qualunque cosa risulti nuova.
“‘D’ogni modo checcentra uno scasshobbit con la mia tasca?” disse William.

Per la cronaca, a un certo punto avevo ipotizzato di rendere il dialetto cockney con il romanesco, slang della capitale per slang della capitale. Ma l’effetto era quello dei film con Tomas Milian e Bombolo. Non propriamente tolkieniano.

Allitterazioni, arcaismi

A Tolkien l’allitterazione piaceva un bel po’. È vero che è una cosa tipica dell’inglese, in poesia e anche in prosa, e che di per sé in italiano potrebbe anche essere lasciata cadere, ma appunto, conoscendo il nostro professore, sciogliere la lingua gli piaceva, quindi valeva la pena provare.

Un esempio possono essere i due participi riferiti a Bilbo che si affretta ad andare ad aprire la porta di casa: «bewildered and bewuthered». Nella traduzione storica era reso con «sconcertato e sconvolto», che io ho reso con «tutto in subbuglio e imbufalito» esaltando l’aspetto della rabbia di Bilbo che si precipita alla porta («Bilbo rushed along the passage, very angry»), e cercando di mantenere al centro dell’assonanza il suono della lettera “w”. Quel bewuthered è un neoarcaismo che mi ha fatto pensare a Wuthering Heights, cioè Cime Tempestose (1847).

Non sempre sono riuscito a rendere gli arcaismi, soprattutto quelli creativi. Quel «Confusticate and bebothered these dwarves!», sempre nel primo capitolo, non ho saputo renderlo meglio di chi mi aveva preceduto. Jeronimidis Conte aveva un bellissimo «Vadano in malora tutti quanti, questi nani!». Io ho optato per un più secco e colloquiale «Maledizione a questi nani!» che mi suonava adatto allo sbotto di esasperazione di Bilbo (nelle altre due occorrenze di «confusticate» ho usato espressioni analoghe).

Altre volte invece ho usato la fantasia per rendere l’arcaismo. Nella canzone provocatoria di Bilbo per i ragni, Tolkien gli mette in bocca la parola «attercop» (letteralmente “testa di veleno”), che è un nome per i ragni in Middle English, a sua volta derivato dall’Old English, e presente in una poesia medievale che Tolkien conosceva bene, The Owl and the Nightingale, sopravvissuto in un dialetto del nord dell’Inghilterra e nello scozzese ettercap.
In questo caso ho ragionato alla maniera di Fatica. Ho cercato una parola arcaica italiana e ci ho aggiunto un suffisso dispregiativo, per rafforzare il senso dell’insulto. Ecco com’è nato «aracnaccio», con un suono cacofonico che mi sembrava ancora più adatto all’uopo. Non ero obbligato a farlo, certo, potevo seguire chi mi aveva preceduto, col suo «Sputaveleno». Ma in italiano “sputaveleno” significa “malalingua”, lo si dice di una persona che parla male degli altri. Non c’entra con il senso della canzone di Bilbo. Inoltre volevo provare a rendere l’arcaismo, appunto. E così ho azzardato.

Un arcaismo invece l’ho mancato. Ma rimedierò nella prima ristampa. Ho tradotto «butler» con «maggiordomo», come già aveva fatto Jeronidimis Conte, sapendo che il maggiordomo nelle magioni inglesi derivava il suo nome proprio dall’essere il detentore della chiave della cantina. Di per sé non è scorretto. Ma butler viene dal francese medievale bouteillier. E l’amico Riccardo Ricobello mi ha fatto notare che proprio in quel senso Tolkien probabilmente lo intendeva. Non già quindi come capo della servitù di palazzo con la chiave delle cantine, ma come domestico «bottigliere», ossia addetto allo smistamento di bottiglie e botti. Lo conferma il Treccani: «Bottigliere, s. m. – Cantiniere, chi ha in custodia le bottiglie di una cantina (in case signorili, principesche, ecc.». Nell’Italia medievale questa figura era chiamata così. In Francia e Inghilterra il nome è rimasto attaccato al capo della servitù. Credo quindi che l’elfo ubriacone raccontato da Tolkien sarebbe meglio descritto come bottigliere o cantiniere che come maggiordomo. Per la ristampa.

Una delle prime cose che si imparano traducendo – oltre al fatto che l’errore stupido è sempre dietro l’angolo – è che la coperta è quasi sempre corta. Non si può avere tutto. Per esempio il fatto che con la parola worm < wyrm l’inglese medievale indicasse sia il verme sia il drago genera un gioco di parole quando Bilbo ricorda il detto di suo padre: «Every worm has his weak spot». Lì worm era reso da Jeronimidis Conte con «drago», già saggiamente rivisto da Ciuferri in «verme». Suona altamente improbabile che Bungo Baggins pronunciasse detti a proposito di draghi. Mentre è facile che «Ogni verme ha il suo punto debole» possa riferirsi al deterrente naturale per un parassita che infesta le piante o gli animali d’allevamento. Ma Bilbo può usare lo stesso detto riferendosi a Smaug. In italiano ovviamente rendere questo doppio senso è impossibile, tocca fare una scelta, e sicuramente andava confermata quella di Ciuferri.

Eufonia e onomatopea

Ci sono parole di cui Tolkien si innamora. Alcune ricorrono spesso nel romanzo, altre in poche occasioni, ma significative. Certi suoni li inflaziona, altri li centellina come il vino buono. Anche qui due esempi.

Un aggettivo che gli piace molto è «grim», con questo suono breve, secco e arrotato. Rende l’idea, ma un’idea vasta. Infatti sembra quasi che lui si diverta a usarlo in tutte le sue varie accezioni. E la sfida per il traduttore è coglierle, invece di appiattirle. Ci sono più di venti occorrenze di «grim» e «grimly» nel romanzo. Spesso è riferito ai Nani, che hanno un’aria «truce» o «torva». Quando però si riferisce alla voce di Bard, prima, e alla sua espressione, poi – l’ordine è questo perché è un personaggio che entra in scena come voce fuori campo («a grim-voiced man») e solo in seguito acquista una presenza fisica («grim-faced» / «grim of face») – sfuma piuttosto nel significato di «severo». In questo caso ho sacrificato l’eufonia e l’omofonia alle sfumature di senso.

Un altro esempio è «ominous», un latinismo che ha il suo corrispettivo in italiano e che io, come ha fatto anche Fatica, ho mantenuto in «ominoso». Nello Hobbit compare soltanto due volte: una riferito al gestaccio che gli abitanti di Città del Lago rivolgono in direzione della Montagna dove dorme il drago; e una riferita a un corvo che volteggia da quelle parti, il tipico uccello del malaugurio, che in inglese è detto “bird of ill omen”. Ma quanto è più eufonico «ominoso»… rispetto a «del malaugurio» o «malaugurante». Per me non c’è confronto, e ho tradotto di conseguenza.

A volte sembra quasi che Tolkien voglia trasmetterci i suoni di ciò che accade, e allora, ad esempio, nella scena in cui i barili vengono fatti rotolare nel fiume sotterraneo attraverso la botola delle cantine degli Elfi, c’è una sequenza di verbi come questa: «thudding», «smacking», «jostling», «knocking», «bobbing»… che purtroppo non trovano tutti un effetto altrettanto “sonoro” in italiano. Io non sono riuscito a fare di meglio di «cadendo», «schiantandosi», «andando a sbattere», «cozzando», «sobbalzando». Tant’è, la lingua ha i suoi limiti.

Titoli

I titoli dei capitoli dello Hobbit sono frasi fatte o doppi sensi ironici.
Per esempio, nel titolo del primo capitolo, An Unexpected Party, noi tutti traduciamo “party” con “festa”, e non si può fare altrimenti, perché il collegamento è con il titolo del primo capitolo del Signore degli Anelli, A Long Expected Party. Ma se nel successivo romanzo la festa è proprio quella di compleanno di Bilbo, nello Hobbit si tratta piuttosto di una “riunione” inattesa. Gandalf convoca a casa di Bilbo una riunione segreta, non organizza proprio nessuna festa. Anche qui, come nel caso di “worm”, il doppio senso non riesce a passare nell’italiano, se non attribuendo appunto alla parola “festa” un senso ironico.

Il titolo del capitolo quarto: Over Hill and Under Hill fa certamente riferimento al fatto che la compagnia di Thorin sale su per i Monti Brumosi e poi viene trascinata sotto gli stessi, ma ho provato a cercare una resa che tenesse sia il senso materiale sia quello figurato di stare in alto e poi in basso. Così ho optato per Sali e scendi la china, visto che “to be over hill” è anche un modo di dire (avere scollinato nel senso di avere passato la mezza età, non essere più giovani).

Per il titolo del capitolo nono, Barrels Out of Bond, Jeronimidis Conte molto liberamente aveva storpiato un modo di dire italiano: La botte piena e la guardia ubriaca. Ciuferri aveva optato invece per Barili in libertà. Ma “out of bond” si dice di merci che sono uscite da un magazzino doganale e hanno passato il confine, ecco perché ho optato per Barili sdoganati, perché mi sembrava cogliere il doppio senso rispetto a quello che succede.

Lo stesso dicasi per il titolo del capitolo dodicesimo: Inside Information era stato precedentemente tradotto con Notizie dall’interno, che non è certo scorretto, ma tralascia l’effetto ironico. Una “inside information” può essere l’Informativa interna, nel senso della circolare per il personale di un’azienda o di un ufficio. Ecco spiegato il titolo che ho scelto.

Canzoni e indovinelli

Nelle canzoni e nelle filastrocche si può tirare finché si vuole, di ganci ce n’è in quantità. Per fortuna ho avuto la revisione di Beatrice Masini, perché certo da solo non ci sarei riuscito a tradurle come si deve. La linea guida che mi sono dato è quella di non modificare per quanto possibile lo schema delle rime, ma di cercare di rispettarlo anche in italiano. Forse questa è la differenza più evidente rispetto a chi mi ha preceduto nell’impresa. E anche il fatto che io ho cercato di non aggiungere parole, di non allungare i versi per renderli più tondi.

Questo è capitato anche negli indovinelli di Bilbo e Gollum. Un esempio è l’indovinello del vento, che ha una rima ABAB:

Voiceless it cries,
Wingless flutters,
Toothless bites,
Mouthless mutters.

Jeronimidis Conte aveva usato quattro rime uguali, facendo rimare tra loro i verbi (la traduzione è riproposta identica da Ciuferri):

Non ha voce e grida fa,
non ha ali e a volo va,
non ha denti e morsi dà,
non ha bocca e versi fa.

Io invece ho provato un’altra strada:

Grida senza voce,
Senz’ali il volo spicca,
Senza denti è mordace,
Borbotta senza bocca.

Un buon esempio della stessa diversità d’approccio è la canzone del ritorno del Re sotto la Montagna:

The King beneath the mountains,
The King of carven stone,
The lord of silver fountains
Shall come into his own!

His crown shall be upholden,
His harp shall be restrung,
His halls shall echo golden
To songs of yore re-sung.

The woods shall wave on mountains
And grass beneath the sun;
His wealth shall flow in fountains
And the rivers golden run.

The streams shall run in gladness,
The lakes shall shine and burn,
All sorrow fail and sadness
At the Mountain-king’s return!

Jeronimidis Conte (e Ciuferri si discostava di pochissimo, cambiando appena qualche parola) traduceva così:

Il re degli antri che stan sotto il monte
e delle rocce aride scavate,
che fu signore delle argentee fonti,
queste cose riavrà, già a lui strappate!

Sul capo il suo diadema poserà,
dell’arpa ancora sentirà il bel canto
ed in sale dorate echeggerà
di melodie passate il dolce incanto.

Sui monti le foreste ondeggeranno,
ondeggeranno al sole l’erbe lucenti,
le ricchezze a cascate scenderanno
ed i fiumi saranno ori fulgenti.

I ruscelli felici scorreranno,
i laghi brilleran nella campagna
e dolori e tristezza svaniranno
al ritorno del Re della Montagna!

Rispetto all’originale io ho provato a rimanere più asciutto, come si capisce già dalla brevità dei versi:

Il Re sotto l’ombra dei monti,
Il Re della roccia scolpita,
Signore di argentee fonti
Ritorni alla sua terra avita!

Lui innalzerà la corona,
E l’arpa sarà riaccordata,
Già l’aula preziosa risuona
Di quella canzone obliata.

I boschi a danzare sui monti,
Nel sole biondissimo i prati;
Ricchezza a fiottar dalle fonti
E fiumi a fluire dorati.

Ruscelli che scorrono gai,
Rilucerà d’or l’acqua stagna,
Spariscono dolore e guai
Se torna il Re della Montagna!

Bene. Offro ancora un ultimo gancio prima di lasciare il lavoro di demolizione ad altri.

Mappa e Nota

Non ho traslitterato in rune naniche la traduzione italiana di certe frasi che compaiono nella mappa di Thrór e nella nota introduttiva, come era stato fatto nelle edizioni precedenti. Ho lasciato la traslitterazione dell’inglese, sia nel titolo dello pseudobiblion (The Hobbit or there and Back Again) sia nella mappa. Rispetto a cinquant’anni fa oggi in Italia un po’ di inglese lo conoscono in tanti di più, e cambiare quelle scritte avrebbe significato amputare anche la nota introduttiva, che si riferisce appunto a quelle e ad altre caratteristiche del testo. In passato questa era stata la soluzione. In quella nota lo pseudotraduttore/narratore fornisce la chiave di lettura delle rune e fa riferimento a suoni della lingua inglese. Trattandosi di un oggetto che compare nel testo, e la cui riproduzione è addirittura allegata al libro, ho ritenuto che non andasse toccato, che dovesse rimanere come lo ha concepito l’autore (e di conseguenza ho dovuto fare lo stesso per la mappa delle Terre Selvagge, anch’essa allegata al volume). Tanto più che forse per la prima volta è stato riprodotto l’effetto trasparenza per leggere le rune naniche, quello che Tolkien avrebbe voluto fin dalla prima edizione del romanzo. Lasciare la mappa di Thrór in originale è stata una scelta tanto più coerente con un volume come questo, letteralmente infarcito di immagini realizzate da Tolkien medesimo, ma vuole anche essere un invito a superare la diatriba sulla resa in italiano della toponomastica e nomenclatura tolkieniana, che ha sottratto tantissimo tempo alla critica propriamente letteraria. Meglio non dimenticarsi che quei nomi hanno una versione originale, ed è quella davvero importante. E ovviamente anche questa scelta, quella di lasciare le mappe con le loro scritte originali, trattandole come fossero “oggetti di scena”, potrà essere criticata e smontata.

Buon lavoro a chi ci si metterà d’impegno.

Wu Ming 4

P.S. Chi volesse ascoltare Riccardo Ricobello, introdotto dal sottoscritto, leggere brani della traduzione, può venirci a sentire a Lucca Comics and Games, venerdì 1 novembre, dalle ore ore 12.30 alle 13.30 in Sala Ingellis.

Qui invece la lunga intervista che mi ha fatto Paolo Nardi per il suo canale YouTube:

ARTICOLI PRECEDENTI
– Vai all’articolo Lo Hobbit, confessioni di un traduttore
– Vai all’articolo Il 30 agosto 2023 Sir Gawain in nuova traduzione
– Vai all’articolo Traduzione, archiviata la querela di Alliata
– Vai all’articolo Gennaio 2019, ritradotto Il ritorno di Beorhtnoth
– Vai all’articolo L’AIST: sarà tradotta la History of Middle-earth
– Vai all’articolo Alliata contro Bompiani: ritiro la mia traduzione
– Vai all’articolo Pubblicata la nuova traduzione della Compagnia dell’Anello
– Vai all’articolo Annunciata una nuova traduzione per le Lettere di Tolkien!

 

LINK ESTERNI
– Vai al sito della Bompiani editore
– Leggi l’articolo Perché (ri)leggere Lo Hobbit? di Sebastiano Tassinari
– Leggi l’articolo La nuova traduzione de Lo Hobbit:: intervista a Wu Ming 4 di Alessio Vissani

 

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43 Comments to “Lo Hobbit, confessioni di un traduttore”

  1. Eanur ha detto:

    Non so, c’è una parte di me che ora rimpiange di non poter ammirare le reazioni dei lettori ai troll che parlano come Er Monnezza e Bombolo. Per di più avrebbero avuto il vantaggio di far passare inosservate le bretelle

    A parte questo, prendiamo i popcorn e prepariamoci al tifone.

    P.S. ottima scelta secondo me quella di non stravolgere le mappe. Quella toponomastica del resto trovo sia la diatriba più sterile e sorpassata di tutte, roba che si confà davvero solo a chi ancora ciancica di perfide albioni non realizzando che pare di sentir parlare il Minculpop. O, peggio ancora, realizzandolo.

  2. Lock ha detto:

    Vabbè, con la scusa che oggi l’italiano lo dovrebbero sapere tutti, tanto valeva non fare una nuova traduzione. Che senso ha lasciare le mappe in inglese (con anche la nomenclatura, immagino) e il testo del libro in italiano? Personalmente lo trovo inaccettabile.

    Riguardo gli errori, ma non c’è qualcuno che rilegge le bozze, o qualcuno esperto che effettua perlomeno una lettura un po’ approfondita? Vabbè, “brace e bretelle” si correggeranno nella prossima edizione, ma non è un buon biglietto di presentazione per una nuova traduzione.

    Grazie per le spiegazioni sulle ragioni dei cambiamenti, non sono certo di condividerli tutti, ma almeno è più chiaro l’approccio.

    Per finire, la canzone postata come esempio non mi convince. Si è cercato a tutti i costi di mantenere le rime (che a mio avviso hanno meno importanza della fedeltà del testo, ma è un’opinione personale), però alcune frasi sono differenti dall’originale, e questa cosa non mi piace.

    Mi riservo comunque di leggere la nuova traduzione, affiancandola con l’originale e quella classica, prima di esprimere un giudizio definitivo.

    • P.G. ha detto:

      “Mi riservo comunque di leggere la nuova traduzione, affiancandola con l’originale e quella classica, prima di esprimere un giudizio definitivo.”

      Ecco, così ci si gode un romanzo!

  3. Lock ha detto:

    Intendevo “l’inglese”, non “l’italiano”, spero si sia capito.

  4. Ciuf ha detto:

    Senza vergogna

  5. Bob ha detto:

    Una domanda chiave è anche chi decide che c’è bisogno di una nuova traduzione (a parte i casi in cui siano passati decenni e la vecchia suoni aulica … come è il caso dell’Odissea etc e, immagino, anche la traduzione inglese della Divina Commedia.
    Qui però siamo di front a traduzioni non troppo distanti tra loro (escludendo la prima che come nel caso di LotR aveva seri problemi). Si trattava al più di scelte stilistiche che in ogni caso dovrebbero essere controllate dall’editore che sui diritti di questi libri ci fa tanti bei soldoni.
    Ecco allora che un dubbio legittimo è che la nuova traduzione nasca principalmente per ripulire (ritirandole dal mercato) le precedenti copie e l’obolo dovuto al traduttore e incentivare nuove vendite con lo specchietto allodole nuova edizione.

    p.s. anche io sono rimasto un poco perplesso per il caso braces per come sia sfuggito alla correzione pre-stampa. Meglio sarebbe stato un “ripensamento” più che svarione non corretto/rilevato da nessuno

    • Wu Ming 4 ha detto:

      La risposta alla domanda chiave è: l’editore. L’editore decide cosa ritradurre. E non ci sono dubbi che l’editore è un soggetto commerciale che pubblica libri per venderli e guadagnarci “tanti bei soldoni”. L’economia capitalistica funziona precisamente così, e l’editoria non fa eccezione. In questo caso, trattandosi di un’edizione di pregio, corredata da tutti i disegni e i bozzetti di Tolkien, e soprattutto trattandosi di un classico della letteratura che vende di default da decenni, l’editore avrebbe forse perfino potuto risparmiarsi di investire in una nuova traduzione. Ma da alcuni anni Bompiani ha deciso di intraprendere la ritraduzione delle opere di Tolkien e ha colto l’occasione di questa nuova edizione uscita l’anno scorso in Uk per ritradurre anche Lo Hobbit. Anche questa è una scelta che pertiene esclusivamente all’editore stesso, detentore dei diritti di pubblicazione per l’Italia.
      Sullo strafalcione di “braces” è presto detto: come spesso accade nell’editoria a ogni livello (grande, media, piccola), e come sa chiunque ne conosca le dinamiche, l’editing viene fatto in tempi sempre troppo ristretti, giacché il tempo è denaro e più ne risparmi meglio è. Non è la prima volta che accade e dubito fortemente che sarà l’ultima. Va poi anche detto che è prassi piuttosto comune correggere gli errori – e a volte anche il tiro rispetto a certe scelte lessicali – perfezionando il testo in ristampa.

      • Bob ha detto:

        Prima di tutto GRAZIE per la cortese e precisa risposta.
        Chiaro che in questo particolare caso (edizione ricca) c’è un senso anche per chi acquista. Immagino però che da ora in avanti (come accaduto con Fatica etc) tutte le edizioni dello Hobbit in commercio (quindi anche i tascabili) saranno solo con questa traduzione, quindi una sorta di “rinnovamento” delle royalties in favore del nuovo. Ci sta.

        p.s. La mia speranza ogni volta che vedo una nuova traduzione di opere oramai classiche è che sia stata operata una correzione stilistica più consona allo scritto originale (se e quando è possibile, vedi “come tradurre i canti degli hobbit?”) o anche la recente ri-traduzione de La Montagna Magica (non Incantata!) ma che non si verifichino mai indecenze dove le nuove traduzioni sono anche in funzione del politicamente corretto. Il miglior esempio? La decisione in Svezia (etc) di censurare la frase detta da Pippi Calzelunghe quando racconta dei viaggi con il padre e l’accoglienza fatta dalla “regina dei negri” …. . Ora già pensare che Pippi contenga un qualsivoglia accenno razzista (anche innocente del tipo presente nei film di Toto) vuol dire essersi fumato roba andata a male senza contare che fino a pochi anni fa nigrus era usato in termini fattuali e non denigrativi. In ogni caso anche se la Lindgren (o Tolkien) fossero stati membr del KKK la regola base è che le opere artistiche si valutano per sé e si contestualizzano ai tempi senza mai giudicarle con canoni attuali

        Questo detto comprerò questa edizione perché sembra fatta bene, senza fare troppi confronti ma valutando come suona il racconto in Italiano. Impossibile fare traduzioni semanticamente e anche letteralmente precise in opere come questa. L’importante è che “sembri” di leggere Tolkien e non il suo traduttore (le cui fatiche sono ben note)

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Quello che posso dire è che modifiche al testo originale per renderlo più digeribile alle norme del politicamente corretto non ne ho fatte. Avrò senz’altro commesso degli errori, e, com’è prassi ormai consolidata, raccoglierò i suggerimenti di modifiche per la prima ristampa utile.
          Se poi qualcuno fosse particolarmente affezionato alla traduzione storica, in questo caso non si presenta il problema sorto con Il SdA, perché sicuramente almeno Adelphi seguita a pubblicarla. E ben venga.

          • Alfred Brandy ha detto:

            Anche se il senso generale è preservato nella vostra tradizione, per il momento. Ti dico questo consiglio di modifica per la ristampa:

            Lì infatti giaceva Thorin Scudodiquercia coperto di ferite (1), l’armatura in pezzi e l’ascia scheggiata abbandonate sul terreno. Quando Bilbo fu al suo fianco, egli alzò lo sguardo.
            “Addio, buon ladro”, disse. “Vado ora alle Aule dell’Attesa (2), a prender posto a fianco dei miei padri finché il mondo non sia rinnovato. Poiché ora lascio oro e argento, e vado dove essi hanno poco valore, voglio separarmi da te in amicizia e ritirare quanto ho detto e fatto al Cancello.”

            Bilbo allora piegò il ginocchio, colmo di dolore. “Addio, Re sotto la Montagna!”, disse. “Amara è questa avventura, se tale dev’esserne la fine, e non sarà una montagna d’oro (3) ad addolcirla (4). Pure, sono lieto di aver condiviso i tuoi pericoli. E’ stato più di quanto qualsiasi Baggins potesse meritare.”
            “No!” disse Thorin. “C’è in te di buono più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente gentile (5). Coraggio e saggezza in qualche misura mescolati. Se più persone considerassero il cibo e l’allegria e il canto prima dell’oro accumulato, il mondo sarebbe un posto più lieto. Ma egro o lieto che sia, ora però devo lasciarlo. Addio!”

            (1) “wounded with many wounds” suona bene agli Inglesi abituati all’allitterazione, mentre a orecchie italiane “ferito da molte ferite” suona malissimo.
            (2) che sono un luogo ben preciso, non generiche “vaste sale”
            (3) non è una metafora, quindi non va al condizionale. La montagna d’oro è reale, ossia il Tesoro di Erebor e rende meglio paragonato all'”amara avventura”.
            (4) sarebbe “rimetterla in sesto”, ma così mi piace di più
            (5) “gentile” qui è riferito alla statura morale, come “gentle” in gentleman.

          • P.G. ha detto:

            Sarebbe “rimetterla in sesto” ma meglio “addolcirla”… perchè a te piace di più?

            Un paese di CT della Nazionale e traduttori.

          • Sandro Sacchetti ha detto:

            Egregio Wu Ming 4
            Anch’io vorrei aggiungere un piccola correzione/svista del canto dei
            nani per il verso We must away ere break of day e correggerlo così:

            Lontano su monti brumosi e gelati
            Per antiche grotte, per antri scavati
            Via di torno anzi ch’è giorno
            In cerca dei pallidi ori incantati.

            Poiché We must away ere break of day e citato nel SDA nel capitolo Una congiura smascherata:
            Farewell we call to hearth and hall!
            Though wind may blow and rain may fall,
            We must away ere break of day
            Far over wood and mountain tall

            Quindi per coerenza narrativa bisogna mettere il verso di Ottavio Fatica: Via di torno anzi ch’è giorno.

          • Sandro Sacchetti ha detto:

            Azi, forse è meglio così:
            Lontano su monti brumosi e gelati
            Per antri fondi e spechi inveterati**
            Via di torno anzi ch’è giorno
            In cerca dei pallidi ori incantati.

            *Speco: lett. di Caverna, spelonca.
            “Là dove ascosa in un selvaggio speco Non lungi avea la solitaria cella.”
            * Inveterato agg. [dal lat. inveteratus, part. pass. di inveterare, intr. anche con la particella pronom. (invètero). Ant. e letter. Diventare vec­chio o antico; avanzare nel tempo o nell’età, avviarsi alla vecchiaia.

          • Wu Ming 4 ha detto:

            @Alfred Brandy

            1) «ferito da molte ferite» per «wounded with many wounds». Sapendo che a Tolkien l’allitterazione piaceva io ho cercato di rispettarla quando ho potuto. Qui, per altro, mi pare che sia qualcosa di più, è una ripetizione nella stessa frase, è Tolkien insomma che ricerca un effetto poetico di ridondanza. Nel SdA lo farà molto più frequentemente, è uno stilema che gli piaceva, appunto, quindi se ho potuto l’ho rispettato. Qualcuno forse ricorderà la montagna di critiche a Fatica perché aveva tradotto in prosa poetica italiana la prosa poetica in inglese di Tolkien nella famosa frase assonante e ridondante «Éowyn fell forward upon her fallen foe”, che giustamente Fatica traduceva «Éowyn cadde in avanti sul nemico caduto» (nel quale risuonava il dantesco «e caddi come corpo morto cade»), alleggerendo le assonanze rispetto all’originale, ma mantenendo la quasi-ripetizione “cadde/caduto”. Ecco, memore di questo, mi sono sentito di rispettare lo stile di Tolkien allo stesso modo, come del resto aveva già fatto chi mi ha preceduto nella traduzione dello Hobbit (e che non mi pare abbia mai ricevuto la stessa quantità di critiche di Fatica a tal proposito).

            2) Ho tradotto «halls of waiting» letteralmente con «aule d’attesa» in minuscolo, e credo di avere fatto bene. Sinceramente non mi sognerei di mettere delle iniziali maiuscole dove Tolkien non le ha messe. L’autore del romanzo è lui, a lui la scelta di cosa mettere maiuscolo e minuscolo. Io rispetto le sue scelte.

            3) «e non c’è montagna d’oro che possa compensarla» traduce «and not a mountain of gold can amend it».
            Non ho usato un condizionale ma un congiuntivo («possa») che fa riferimento tanto all’unica montagna d’oro della vicenda quanto al suo valore metaforico (come quando si dice “la tal cosa non vale tutto l’oro del mondo”), ed è al congiuntivo proprio perché l’eventualità che quell’oro possa compensare la perdita della vita di un amico è esclusa. La frase di Bilbo intende significare proprio questo.

            4) Nella stessa frase, «addolcirla» potrebbe pure starci, per il contrasto con «amara», ma in inglese è «amend» che mi pare una parola dal significato piuttosto netto, spesso usato nel linguaggio giuridico. Qui si riferisce all’oro che teoricamente potrebbe essere una compensazione della perdita, come avveniva per esempio con il guidrigildo nell’antico diritto germanico (come quando Isildur reclamerà l’Anello come guidrigildo per la perdita del padre e del fratello). Ecco perché ho tradotto «compensarla».

            5) «figlio dell’Occidente gentile». Sì, è vero, qui «gentle» è usato nel senso di nobile d’animo. Per questo ho mantenuto la stessa parola in italiano, che ha tra le sue accezioni anche quella.

          • Alfred Brandy ha detto:

            Adesso capisco il motivo della vostra scelta traduttiva.

      • Sandro Sacchetti ha detto:

        Che ne pensa delle mie proposte di correzione, Wu Ming?

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Temo che “Via di torno anziché giorno” non rispetti la metrica degli altri versi. Ha due sillabe in meno.
          Devo dire anche che “via di torno” per “we must away” non mi convince granché a senso. Ok, la scelta editoriale di uniformarsi a Fatica per la nomenclatura, ma non necessariamente per ogni cosa.
          Anche “inveterati” mi suona maluccio, sinceramente, e mi pare che non tornino nemmeno gli accenti.
          Le canzoni mi hanno fatto dannare, e magari qualcosina si può senz’altro migliorare, ma non mi sento di rischiare scelte spregiudicate, si rischia di compromettere la tenuta dei versi.

          • Sandro Sacchetti ha detto:

            Allora questa:
            Lontano su monti brumosi e gelati
            Per antri fondi e spechi inveterati**
            Partir dobbiamo, l’albor salutiamo*
            In cerca dei pallidi ori incantati.

            albóre s. m. [dal lat. tardo albor -oris, der. di albus «bianco»], letter. – Bianchezza, chiarore; luminosità: Vedi l’albor che per lo fummo raia Già biancheggiare (Dante); di gran perle a. (Chiabrera); due povere fiamme ad olio, le quali spargevano un pallido a. (Rovani). Più spec., la prima luce dell’alba: gli a. del giorno; insinuava il sole Nella mia cieca stanza il primo a. (Leopardi). Fig., inizio, primo apparire di un’epoca nuova, di un periodo di splendore e sim. (per lo più plur.): gli a. della civiltà; agli a. del Rinascimento.

          • Sandro Sacchetti ha detto:

            Che ne pensa di questa terza proposta di correzione, Wu Ming?

          • Saffo Sedan ha detto:

            All’inizio del capitolo “Strani alloggi” manca una breve frase, Sig. Wu Ming 4 (La frase mancante nella nuova traduzione l’ho evidenziata tra parentesi quadre.):

            Versione originale:
            “So he sat down and wished in vain for a wash and a brush. [He did not get either], nor tea nor toast nor bacon for his breakfast…”

            Vostra traduzione:
            “Così si sedette e desiderò invano una lavata e una spazzolata. [Mancante] Per colazione non ebbe né tè né pane tostato, né tantomeno pancetta…”

          • Sandro Sacchetti ha detto:

            ?

    • Valerio ha detto:

      Fermo restando che le logiche dell’editoria sono quelle descritte nella risposta di Wu Ming 4, dal mio punto di vista (quello di un appassionato delle opere del professore) ogni traduzione, per definizione imperfetta, non può che aggiungere qualcosa alla comprensione dell’originale. Quindi ben venga che ora in Italia c’è ne siano 2 (e mezzo). Ancora meglio se finalmente viene proposta una bella edizione! Vedremo quali aspetti dello Hobbit riuscirà a illuminare questa traduzione… Alcuni già si intuiscono dalle varie interviste rilasciate, per esempio l’uso della parola Goblin nello Hobbit della quale nelle precedenti non c’è traccia…

      • Bob ha detto:

        Perfettamente d’accordo. Come ho scritto nella risposta. Wu Ming 4, l’importante della traduzione è che sia in grado di convogliare il più possibile (tutto è nei fatti impossibile per ovvie ragioni liriche e semantiche) quello che Tolkien ha voluto scrivere, anche considerando che lui stesso ha riveduto pesantemente la prima stesura. Il traduttore deve rimanere invisibile al lettore

    • Brandybuck ha detto:

      Il Signore degli Anelli è rimasto per tantissimo tempo con un’unica traduzione, anche se rivista e revisionata nel corso degli anni.
      Lo Hobbit ha avuto due traduzioni, anche se la seconda è in parte “mutuata” da Lo hobbit a fumetti (la traduttrice di quel volume fu ingaggiata nel 2012 per ritradurre il romanzo).

      Il Signore degli Anelli aveva decisamente bisogno di una svecchiata, con un nuovo adattamento italiano rifatto da zero, anziché revisionare per l’ennesima volta il vecchio testo che ormai era diventato un collage.
      Lo Hobbit avendo un “nuovo” testo pubblicato 12 anni fa magari poteva anche aspettare, ma visto che per la prima volta c’era finalmente l’occasione di uniformare in maniera integrale i due romanzi, la scelta di ritradurre anche Lo Hobbit (anche qui, con uno sguardo fresco, anziché riprendere edizioni passate) e allinearlo a quanto fatto col suo sequel, ha una sua logica.

      Ora si aspetta Il Silmarillion in una nuova veste.

  6. Harrison ha detto:

    Da traduttore e anglicista, devo dire che la maggior parte degli esempi citati mi piacciono molto, in particolare come hai lavorato su allitterazioni e rime in filastrocche, canzoni, poesie ecc. Un piccolo spunto: per il problema del doppio senso di Unexpected Party, hai considerato la parola ‘convivio’? Forse renderebbe il titolo del capitolo troppo ricercato e oscuro, ma e’ l’unica che mi venga in mente che coniughi almeno un po’ il senso di ‘festa’ e ‘gruppo di persone’ (as in party, ‘compagnia di avventurieri’). Complimenti. Questo tipo di traduzioni sono uno sforzo ingente e una fatica immane.

  7. Alessandro ha detto:

    Per me una nuova traduzione è sempre un valore aggiunto e mantiene viva un’opera. Ho già acquistato il volume, veramente di pregevole fattura.

  8. Guido ha detto:

    Sarebbe da chiedere all’editore ( che non ci/mi filerebbe): ma una nuova edizione dell’hobbit annotato?

  9. Guido ha detto:

    Mi permetto un’opinione stilistica su di una traduzione (avevo 5 in inglese per cui non voglio/posso insegnare nulla)
    Nell’indovinello

    Voiceless it cries,
    Wingless flutters,
    Toothless bites,
    Mouthless mutters.

    Tolkien gioca con degli ossimori secchi: usa due parole

    Per cui sarebbe per mantenere lo stile

    Senza voce grida
    Senza ali vola
    Senza denti morde
    Senza bocca borbotta

    Oppure prima il verbo ad ogni frase

  10. Galileo ha detto:

    Grazie per la traduzione e le spiegazioni !
    Spero che le spese mediche siano terminate…

    Due commenti.
    Inside information, mi richiama subito insider trading, che vuol dire speculare grazie a delle informazioni segrete, confidenziali, non conosciute da altri. Secondo me è più questo aspetto da mettere in avanti, l’ottenimento e svelamento di informazioni segrete e confidenziali, e non tanto la “circolare interna” che di confidenziale non ha molto.

    Leggere della mappa in inglese mi ha deluso! Anche se capisco la scelta. Il motivo è presto detto. Lessi lo hobbit da bambino, e mi ricordo ancora di come cercai di scoprire l’alfabeto runico grazie alle informazioni della mappa, scrivendo le corrispondenze su di un foglio. E da quando ho letto di questa nuova edizione, pregustavo già di prenderla anche per fare lo stesso gioco con il mio bambino! Ma non sarei stato certo all’altezza di farlo da bambino con mappa e spiegazioni in inglese, e sarà molto più difficile farlo insieme ad un bambino con questa edizione. Forse dovro’ prendere la vecchia dal nonno… Insomma, se si considera lo hobbit un libro (anche) per bambini, era forse meglio tradurla? Immagino questione già discussa, ma mi sembra interessante parlarne.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Sinceramente non ho idea se nel 1937 l’espressione o il concetto di “inside trading” esistessero già, ma forse no.

      Quanto alle mappe non tradotte, devo dare una spiegazione ulteriore che finora ho taciuto.
      Le mappe non rientravano nel materiale da tradurre, infatti non mi sono state sottoposte. La casa editrice inglese HarperCollins che ha ideato questa edizione lussuosa ha deciso che tutto il materiale iconografico prodotto da Tolkien dovesse essere riprodotto così com’era.
      Io, come ho scritto nell’articolo, non sono contrario a questa scelta, anzi, la condivido. Ma capisco che per molti invece possa essere una mancanza (infatti l’ho inserita tra i punti su cui posso essere facilmente criticato).
      Però questo non significa che debba essere così per sempre. Auspicabilmente dall’anno prossimo in poi, Bompiani metterà in cantiere una “sua” edizione dello Hobbit, nella quale potrà fare ciò che vuole. Quindi sarà possibile lavorare sulle mappe. Ovviamente dovrà essere utilizzata la nomenclatura di Fatica, e quindi si può star certi che non pochi si lamenteranno anche di questo. La coperta è sempre corta, e come la si fa la si sbaglia. Amen. Ad ogni modo non escludo affatto che si possa procedere in questo senso nel prossimo futuro. Io sono disponibile a farlo.

  11. Lock ha detto:

    Vedo che la sezione commenti è ancora viva.
    Ho letto la traduzione e ho scritto una lunga recensione (due, in realtà: una oggettiva e una soggettiva). Ho segnalato alcuni errori e imprecisioni che ho incontrato lungo il cammino:

    https://www.lemonskin.net/io/45761/

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Grazie. Mi era stata segnalata quando è uscita. L’ho trovata lusinghiera, ancorché alquanto contraddittoria, ma non è necessariamente un male. Anzi.
      Intendo dire che a fronte di un giudizio complessivamente positivo rispetto alla traduzione («nell’insieme direi che il risultato è molto buono», «In questo surclassa decisamente la precedente edizione, molto più spannometrica, approssimativa e libera», «[le canzoni sono] quasi sempre migliori delle controparti classiche»), alla fine, dando più peso ad alcuni fattori rispetto ad altri, si torna un po’ sui propri passi, concludendo che «Al netto degli oggettivi miglioramenti che ho elencato sopra, la nuova traduzione mi piace meno della precedente perché suona troppo moderna».
      Come dicevo, bene così: meglio che non si trovi la quadratura del cerchio, e che permanga un’oscillazione di giudizio, una perturbanza. Non sono venuto a mettere pace, ma spada ecc., ecc. (Matteo, 10 e qualcosa, se non ricordo male).

      Un fattore che, ad esempio mi sembra ampiamente sopravvalutato è quello delle unità di misura britanniche. E non solo perché ho appena sfogliato a caso un romanzo di Dickens che avevo sotto mano e ho trovato svariate occorrenze di “miglia” e “libbre”, come credo mi sarebbe capitato in moltissime traduzioni di romanzi inglesi (qual è Lo Hobbit). Ma soprattutto perché se una iarda è 91 cm, e non si tratta di costruire una casa ma di visualizzare mentalmente una scena descritta, non mi pare proprio «un calvario» rendersi conto di quale distanza si parla. Semplicemente una iarda è poco meno di un metro. Così come un miglio è circa un chilometro e mezzo, ergo due miglia sono circa tre chilometri (anche uno scarso in matematica come il sottoscritto non fatica troppo a farsi un’idea delle distanze). Quindi non ci sono proprio «calcoli complessi». Se il lettore «comincia a fregarsene e a perdere i piccoli dettagli del racconto» significa che questo è sufficientemente avvincente da rendere la distinzione tra un metro e una iarda (cioè quei 9 cm) poco importante. E vivaddio.

      Ringrazio per l’annotazione degli errori. Come ho detto, li sto raccogliendo in un unico file. Ce n’è anche qualcuno in più di quelli segnalati nella recensione linkata. Penso che quando avrò finito il lavoro di raccolta, scriverò un articolo su questa “fase 2” della traduzione.
      Ovviamente condivido in toto la considerazione che questo in una casa editrice «non dovrebbe capitare, specialmente a una grossa casa editrice, ma spesso la fretta nel fare i lavori porta a controlli un po’ superficiali». Esatto. Su questo ci sarebbe molto da dire, ma appunto mi riservo di farlo in un articolo successivo, appena avrò ultimato la raccolta delle segnalazioni.

      Sulle imprecisioni, che dire? Sono valutazioni in cui la soggettività pesa. Ho tradotto “Arkenpietra” laddove Fatica aveva usato “Arkenpetra” perché mi suonava meglio e perché nel SdA ci sono quattro occorrenze, tutte nelle Appendici, a fronte delle diciannove dello Hobbit. Con un po’ di presunzione ho pensato di potermi prendere un lieve margine di manovra rispetto alla scelta di Fatica (una lettera in più). Nel nome composto “Arkenstone” la parte che suona arcaica è “arken”, non “stone”, quindi mi pareva eccessivo arcaizzare in “petra”. Lascerò decidere all’editore se nella ristampa vuole uniformare o no.
      Per quanto riguarda le Terre Selvagge, la questione è più complessa. Di fatto, nel testo letterario il nome “Wilderland” compare una volta sola, mentre comprare molte volte nel paratesto. In quel caso dovrò uniformare e cambiarlo in “Selvalanda”, adeguandomi a Fatica, anche se è una delle sue scelte che mi piacciono di meno. Ma in tutte le altre occorrenze è “Wild Lands”, e lì secondo me è giusto tradurre “Terre Selvagge”. Di conseguenza anche l’eventuale traduzione delle mappe riporterà le scelte di cui sopra.

      Completamente in disaccordo sulla resa di “alive and kicking” nella traduzione storica con “viva e scalciante”, perché è una traduzione letterale di una frase idiomatica che – tra l’altro – ha il suo corrispettivo in italiano in “vivo e vegeto”, ma non è quello il senso. Il ragno ha appena preso un calcione da uno dei nani imbozzolati, dopo essere andato a stuzzicarlo per dimostrare che le prede sono ancora vive. I suoi compari gli fanno una battuta, «“You were quite right,” they said, “the meat’s alive and kicking!”», ovvero un gioco di parole proprio con l’espressione figurata. Dunque non serviva tradurre alla lettera, ma trovare un’espressione idiomatica italiana corrispondente, per rendere l’effetto dello sfottò. Ecco perché ho scelto «“Avevi proprio ragione,” dissero, “la carne è viva! E che botta di vita!”», dato che il ragno ha appena preso una gran botta. È forse una delle pochissime mie scelte di cui sono convinto al 100%.

      Su “verme” per “drago”, certo, sarebbe stato più semplice uniformare tutto. Ma al tempo stesso sarebbe stato un peccato, visto che Tolkien usa sia “dragon” sia “worm” in occasioni diverse. “Worm” compare nei detti e nelle canzoni, perché è un uso arcaico, ovviamente. Potevo fregarmene di questa differenza, del fatto che Tolkien era un germanista e non sceglieva mai le parole a caso, e che “Wyrm” è il modo in cui i draghi sono chiamati nelle saghe germaniche e anglosassoni? Sì, avrei potuto. Ma non sarei stato io.

      Per una ragione simile avrei potuto far parlare i Troll in italiano corretto, come nella traduzione classica. Ma perché, visto che Tolkien non lo fa? Se parlano scorretto e sgrammaticato in inglese perché dovrebbero parlare correttamente in italiano? Personalmente ancora non riesco a perdonare ad Alliata di avere corretto gli errori sintattici e lessicali degli hobbit di bassa estrazione nel SdA.

      Il problema di «Bagnati e beati noi» per «Bless us and splash us» non è il significato, ma il suono. Avrebbe dovuto essere sibilante, ma non ho trovato niente di adatto, per quando mi ci sia spaccato la testa a lungo. Di certo il precedente «Benedicici e aspergici» di Jeronimdis Conte non mi convince, e peggio ancora «Benedici e aspergici» di Ciuferri (benedici chi?). Gollum non è mica un prete. “Aspergici” è un registro altissimo, addirittura liturgico, per quel semplice “splash us”. Non ci siamo proprio. Il problema poi è che quando nello Hobbit compare (spesso) quel “Bless us” o “Bless me” è un’espressione dell’inglese che sottintende “God”, è un’invocazione al cielo. Diciamo che nel gioco tolkieniano tradurrebbe in inglese un’equivalente esclamazione nella lingua comune della TdM. Io ho usato espressioni diverse, a seconda di come si adattavano al contesto, ma non ho mai usato “Benedicimi/ci”, perché in italiano non esiste come esclamazione corrente. Mentre usiamo spesso “Beato te, beato me”, anche se con un significato diverso. Qui però non è il significato che conta, perché la frase con cui Gollum entra in scena è un non senso. Ripeto che l’unico mio dispiacere è non essere stato capace di trovare una soluzione sibilante. Ma, come ho detto… si accettano suggerimenti (a mio rischio e pericolo).

      Le altre caratteristiche della parlata di Gollum ho cercato di rispettarle tutte. Se ci sono certe frasi ribaltate le ho lasciate così. Se Gollum dice: «Cross it is» ho tradotto «Nervoso esso è». E non è Gollum che parla come Yoda, ma casomai il contrario, visto che il personaggio di Gollum è nato quarant’anni prima e Lucas aveva letto Tolkien, mentre Tolkien non ha fatto in tempo a vedere Star Wars – The Empire Strikes Back.
      Per la stessa ragione, se Gollum usa un inglese scorretto, come in «But we dursn’t go in», con il soggetto alla prima persona plurale e il verbo alla terza persona singolare, non ho tradotto «Non ci si azzarda», perché sarebbe ancora italiano corretto. Sopratutto perché questa è una caratteristica della parlata del personaggio che ne denota la schizofrenia. Come anche in «but we only has six!», riferito ai denti, che ho reso con «ma noi ne ha solo sei!», laddove la traduzione classica traduceva in italiano corretto con “abbiamo”.

      No, il pupazzo a molla che salta fuori quando apri la scatola, detto “jack-in-the-box”, non è il nostro “saltamartino”. Il saltamartino non sta dentro una scatola, quindi l’immagine figurata non rimanda all’effetto sorpresa di qualcuno che salta fuori all’improvviso, che è quello che intende Beorn, appunto. In italiano dire che un bambino è un saltamartino significava un’altra cosa, cioè che era «vivace, irrequieto, che non sta mai fermo», ci fa sapere il Treccani. Quindi la precedente traduzione era proprio sbagliata.

      Invece sul “quartino” di idromele, aveva ragione Jeronimidis Conte. Perché lì si intende sì, un quartino, ma di gallone. Cioè circa un litro (non serve scervellarsi più di così). EJC aveva tradotto nel nostro sistema di misura. Io manterrò quello britannico e alla prima ristampa lo renderò con «due pinte», che sono appunto un quarto di gallone.

      Sulla resa di “party” nel titolo del primo capitolo ho già detto nelle mie “confessioni”. Ma davvero per me in questo caso andava salvaguardato il fatto che Tolkien abbia voluto il parallelismo tra capitolo 1 dello Hobbit (Un Unespected Party) e capitolo 1 del SdA (A Long Expected Party). Ecco perché ho usato “festa”, come aveva già fatto Ciuferri. È vero che quella a casa di Bilbo non è una festa, ma una riunione, e aggiungerei anche una “congrega”, perché Bilbo finisce per unirsi a una compagnia votata a uno scopo. Tolkien ha tenuto dentro tutte le sfumature, perché era davvero un dritto con le parole e un giocherellone. Se si pensa che i nani oltre a complottare, bevono, mangiano, scherzano, suonano e cantano… quella è *anche* una festa.

      Sulla nota introduttiva e sulle mappe ho già risposto più sopra in un commento a Galileo.
      Le altre annotazioni sono davvero molto soggettive, quindi non le discuto, sensibilità e gusti non possono né devono essere compatibili. Il mondo è bello perché è vario.

      • Lock ha detto:

        Grazie per i chiarimenti.
        Su saltamartini hai ragione e correggerò la recensione (benché pupazzi a molla non mi piaccia proprio). Per quanto concerne il parallelismo col primo capitolo del SdA, devi però considerare che quest’ultimo è nato parecchi anni più tardi, per cui il gioco di parole, al limite, è nel secondo libro, non nel primo.
        Però, in generale, questa scelta, e tutte le altre che abbiamo veduto, appartengono al ramo dei gusti soggettivi personali, per cui immagino che ognuno di noi rimarrà del rispettivo parere (però apprezzo le motivazioni).

        Nessun controsenso, confermo la bontà di questa traduzione, pur preferendo la precedente (non gli errori, ovviamente) per una questione affettiva e di registro linguistico. 🙂

      • Valen ha detto:

        Per quanto riguarda la traduzione di “wyrm”, ci sarebbe come opzione “il serpe”, termine usato in alcune versioni di saghe nordiche come il Beowulf per riferirsi a un grande drago.
        Oppure, anche se più accademico, “il vermo”, variante del letterale verme con una connotazione più mostruosa e demoniaca.

        • Darth Casco ha detto:

          “il vermo”, variante del letterale verme con una connotazione più mostruosa e demoniaca, a me è soddisfacente.

        • Alfred Brandy ha detto:

          Oppure Angue:
          àngue s. m. [dal lat. anguis]. – 1. letter. Serpente in genere: Seguendo lo giudicio di costei, Che è occulto come in erba l’a. (Dante); Celan le selve angui, leoni ed orsi Dentro il lor verde (T. Tasso); talora usato al femm.: come l’angui attorte De la Gorgone (D’Annunzio).

  12. Dario Magni ha detto:

    Ottima traduzione…. ma si può migliore nelle ristampe.

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