Molti lettori ci hanno scritto chiedendoci informazioni più dettagliate sugli scritti di Verlyn Flieger. Ecco la recensione al suo ultimo libro, l’antologia che raccoglie i saggi degli ultimi 30 anni. Scritta da Douglas C. Kane, è apparsa su Mythprint n.49, nel luglio 2012, la rivista della Mythopoeic Society. La Traduzione è curata da Erin, che ringraziamo cordialmente. Buona lettura:
La pubblicazione dell’ultimo libro di Verlyn Flieger “Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien” è un importante pietra miliare nel settore degli studi su Tolkien. Ho esitato a chiamarlo il libro più importante della Flieger, dopo tutto, ognuno dei suoi precedenti 3 libri sullo stesso argomento sono una lettura essenziale per chiunque sia interessato ad aumentare la comprensione del lavoro di Tolkien, ed il suo primo libro, Splintered Light (Schegge di luce), ha letteralmente rivoluzionato il settore. Tuttavia, Green Suns è certamente il lavoro più personale della Flieger, in quanto documenta lo sviluppo della sua lunga riflessione sul corpus di Tolkien, riflessione avvenuta nel corso di più di 30 anni. Questo lo rende, di per sé, un lavoro importante. Ciononostante, la maggior parte dei saggi contenuti in questo libro, sono stati pubblicati precedentemente ed in circostanze diverse. La domanda che mi è sorta quando, per la prima volta, ho sentito parlare di questo libro in attesa di pubblicazione era se il risultato sarebbe stato una serie di pezzi sconnessi o se, riportarli insieme, avrebbe creato un tutt’uno coerente. Sono lieto di comunicare che, in tal senso, il libro ha superato tutte le mie aspettative. Praticamente tutti i saggi (molti dei quali da me letti in precedenza) prendono un nuovo significato quando vengono considerati insieme ai loro vicini e nel contesto del tema principale del libro; come i singoli fiori che, già graziosi presi singolarmente, assumono nuovi e più profondi aspetti quando diventano parte di un giardino ben curato ed elegantemente coreografico. Il tema prevalente è basato sui due termini che formano il titolo del libro – “Green Suns” e “Faerie” – entrambi sono stati presi dal saggio di Tolkien Sulle Fiabe (On Fairy-stories). Molti autori hanno descritto con successo il loro lavoro, come fatto anche da Tolkien in questo saggio (intende nel saggio On Fairy-Stories, N.d.T.) , e nessuno ha fatto un lavoro migliore della Flieger nell’interpretare ed espandere quella autoriflessione. Ciascuno dei saggi, in questo libro,
contribuisce in diversi modi alla comprensione del successo unico di Tolkien nel creare un mondo secondario fattibile e convincente che continua ad avere rilevanza nel mondo reale del ventunesimo secolo.
La prima parte
Il libro è diviso in tre parti. La prima parte, Tolkien Sub-creator, si focalizza sul nocciolo della questione di come Tolkien abbia creato con successo i suoi mondi secondari. La seconda parte, Tolkien in Tradition, dà uno sguardo a come Tolkien prenda in prestito – e adatti – elementi di letteratura mitologica risalenti al Medioevo. La parte finale, Tolkien and His Century, si concentra nel mostrare la pertinenza della mitologia tolkieniana – con tutti i suoi elementi radicati nel passato – al suo tempo. Anche se i nuovi e i vecchi saggi sono mischiati all’interno delle tre parti del libro, c’è un filo conduttore che unisce queste differenti ma complementari sezioni ed è il tema secondario della continua crescita del ragionamento della Flieger sul lavoro di Tolkien. Il risultato è un’ affascinante viaggio nella mente di uno dei più grandi autori dei tempi moderni e della studiosa che, presumibilmente, è andata a fondo, più di chiunque altro, nell’esplorare il senso ed il valore del lavoro di questo autore. La prima parte, Tolkien Sub-creator, contiene otto saggi. Il saggio “Fantasy and Reality: J.R.R. Tolkien’s World and the Fairy-story Essay” (Fantasia e Realtà: il mondo di J.R.R. Tolkien e il saggio Sulle Fiabe) inizia in modo abbastanza appropriato, perché va direttamente alla fonte facendo riferimento al saggio Sulle Fiabe e paragonandolo alla narrativa stessa di Tolkien. Come suggerito dal titolo, la Flieger discute sui vari modi in cui gli elementi di fantasia del mondo secondario di Tolkien siano ora profondamente radicati nella realtà.
Poi vi è uno dei saggi più importanti del libro, “The Music and the Task: Fate and Free Will in Middle-earth” (La musica ed la sfida: Il destino e il libero arbitrio nella Terra di Mezzo). Questo saggio fu prima presentato alla Mythcon 39 e suscitò un dibattito considerevole che si prolungò per gran parte della Mythcon. Più tardi fu pubblicato nella raccolta Tolkien Studies 6 e continuò ad essere così controverso che fu pubblicato anche un saggio contro di esso nell’edizione dell’anno successivo. La controversia fu generata dal fatto che Flieger abbia preso alla lettera le parole di Tolkien (pubblicate nel primo capitolo del Quenta Silmarillion, ma ora facenti parte dell’Ainulindale) quando dichiara che la musica degli Ainur descrive «il fato» di tutti gli abitanti di Arda tranne quello degli uomini, una dichiarazione che sussiste praticamente immutata per l’intera storia del Legendarium di Tolkien. Tuttavia, concentrandosi sul rifiuto delle incongruenze create dall’accettare questa dichiarazione, i critici perdono il punto centrale sollevato dalla Flieger: l’importante non è nel fatto nudo e crudo che gli uomini hanno il libero arbitrio e gli Elfi no (un’affermazione che assume un altro piccolo significato quando viene scritta nero su bianco). L’importanza è nella discussione delle ragioni per cui può sembrare un’apparente contraddizione. La Flieger fa notare che ci sono ragioni strategiche e personali, oltre a un io sub-creativo, ed è proprio quest’ultimo che riesce «a prevedere un meccanismo plausibile che aiuti il
cambiamento in un universo ordinato» (p. 36). La discussione, incentrata in particolar modo su quest’ultima argomentazione sub-creativa, si espande su delle opinioni precedentemente esplorate dalla Flieger soprattutto nel libro Schegge di Luce, ed in qualche modo , rappresentano il culmine delle sue lunghe esplorazioni nel significato del lavoro di Tolkien.
Anche i saggi successivi sono importanti. “Tolkien and the Idea of the Book” (Tolkien e l’idea di libro), contributo della Flieger al volume Signore degli Anelli 1954 – 2004: Studio in onore di Richard D. Blackwelder, regalano un esempio concreto di come Tolkien prenda in prestito dal mondo reale per migliorare il suo mondo secondario, un prototipo di vita reale per il Libro Rosso delle Marche Occidentali. “Tolkien on Tolkien: On Fairy-stories, The Hobbit and The Lord of the Rings” pubblicato qui per la prima volta (sebbene presentato alla Tolkien Conference del 2005 di Birmingham), esplora l’idea che Tolkien «usava gli errori che comprese di aver fatto nello Hobbit, per sviluppare ed articolare nell’On Fairy-stories una teoria fantastica e sub-creativa che conseguentemente mise in pratica nella stesura de Il Signore degli Anelli» (p. 54), un concetto ancora discusso dalla Flieger e da Doug Anderson nella loro introduzione all’edizione estesa di Tolkien On Fairy-stories.
“When is a Fairy Story a Faërie Story?” (Quando una favola diventa una storia di fate?) lasciamo il Legendarium della Terra di Mezzo e invece discutiamo della storia tolkieniana più pura che riguarda le Faerie: Il Fabbro di Wootton Major (di gran lunga il romanzo breve di Tolkien da me favorito). “The Footsteps of Aelfwine” (Sulle orme di Aelfwine), ristampato dal volume Tolkien’s Legendarium, la collezione determinante di saggi sulla History of the Middel-earth, che la Flieger ha redatto con Carl Hostetter. Questo saggio ripercorre il ruolo che la figura archetipica «dell’elfo amico» gioca nei romanzi di Tolkien sia nel legendarium della Terra di Mezzo sia al di là. “The Curious Incident of the Dream at the Barrow: Memory and Reincarnation in Middle-earth” (L’incidente curioso del sogno nel tumulo: memoria e reincarnazione nella Terra di Mezzo) è un altro saggio che per la prima volta apparve nel quarto volume dei Tolkien Studies. In questo saggio la Flieger esamina minuziosamente un singolo avvenimento tratto da Il Signore degli Anelli: il sogno avuto nel tumulo da Meriadoc Brandybuck nel quale rivive la morte di un uomo proveniente dall’antico mondo di Cardolan, come anche l’esplorazione da parte di Tolkien della reincarnazione applicata poi agli elfi, e la storia di viaggio nel suo tempo nel The Notion Club Papers. Questo documento, saggio, prende un nuovo significato quando lo si accosta al precendente “The Music and the Task”, soprattutto la parte che analizza gli sforzi di Tolkien di distanziare la sua opera mitopoetica dalla fede cattolica. L’ultimo saggio di questa parte, “Whose Myth Is It” (Di chi è il mito), originariamente apparve nel 1997 a un evento dell’Arda Symposium al Second Northern Tolkien Festival di Oslo, e fu riadattato per far parte dell’ultimo libro della Flieger,
Interrupted Music. Questo è un altro caso di come un saggio prenda un nuovo significato nel contesto della raccolta in cui si trova, che si concentra sul successo sub-creativo del mondo secondario di Tolkien, ma a cui si aggiunge una nuova e diversa colorazione nella parte in cui si analizza l’uso dei diversi punti di vista.
La seconda parte
La seconda parte, “Tolkien in Tradition” (Tolkien nella tradizione), è la più lunga delle tre parti con dieci saggi che coprono 122 pagine. Nel primo saggio, “Tolkien’s Wild Men from Medieval to Modern” (Gli uomini selvaggi di Tolkien, dal Medioevo all’epoca moderna), la Flieger fornisce alcuni esempi dell’uso da parte di Tolkien di una «figura tradizionale nel romanzo e nella storia medievale : quella che fugge dalla società e che cammina al margine della civiltà conosciuto anche come Wild Man (l’uomo selvaggio)» (p. 113). Questo saggio fornisce un primo esempio dell’abilità della Flieger di pensare fuori dagli schemi. Gli esempi da lei citati sono sempre più eccentrici. Inizia con l’esempio più ovvio, Ghân-Buri-Ghân. Quello seguente è Aragorn e Turin, entrambi acquisiscono senso con una breve considerazione, da fare anche con Gollum, il quarto esempio. Ma chi, sano di mente, potrebbe mai pensare di includere il gentil hobbit Frodo Baggins come esempio dell’uso di Tolkien della tradizionale figura del Wild Man? Non fa solo questo la Flieger, ma usa questi esempi per dimostrare come Tolkien riesca a tessere in maniera egregia un motivo tradizionale nel suo mondo secondario, usando così un’alta dose di creatività nel proprio ragionamento. In “Tolkien and the Matter of Britain” (Tolkien e la Materia di Britannia), la Flieger affronta l’influenza della mito britannico per eccellenza – quello di Artù – sulla creazione della mitologia di Tolkien. Dopo, in “Frodo and Aragorn: The Concept of the Hero” (Frodo e Aragorn: il concetto di eroe), il saggio più vecchio del libro, datato 1981, contrappone i modi discordanti con cui Tolkien inserisce «archetipi epici e favolistici» (p. 113) medievali nella sua storia moderna. Nel “Bilbo’s Neck Riddle” (L’indovinello “salva-collo” di Bilbo) la Flieger fornisce ancora un altro esempio di come Lo Hobbit, apparentemente una semplice favola per bambini, abbia un risvolto più profondo. In questo saggio ci dimostra come l’ultimo indovinello di Bilbo a Gollum – che appare, sia a Gollum sia al lettore moderno, più semplice di un vero indovinello – sia a tutti gli effetti un tipico neck riddle (che in italiano suonerebbe come “indovinello per aver salva la vita”, N.d.T.) essendo «meno fittizio ma più facente parte del mondo della mitologia scandinava» (p. 162).
In “Allegory versus Bounce” la Flieger ritorna a Il Fabbro di Wootton Major, questa volta come parte di un dibattito con l’altro decano degli studi su Tolkien, Tom Shippey, circa la natura allegorica di quel racconto. È una gioia vedere questi due luminari degli studi su Tolkien scambiarsi idee differenti sullo stesso soggetto. E con chi sono d’accordo? È sorprendentemente facile rispondere a questa domanda: ma con entrambi!!!
I seguenti due saggi affrontano il tema dell’influenza della mitologia finlandese su Tolkien. Il primo è “A Mythology for Finland: Tolkien and Lönnrot as Mythmakers” (una mitologia per la Finlandia: Tolkien e Lönnrot creatori di miti) nel quale la Flieger parla di come Tolkien sia stato influenzato in giovane età dall’esempio di Elias Lönnrot, il redattore del Kalevala finlandese, di lui dissero: «un uomo solo, che procedendo a tutta velocità, ha creato per noi un’eredità culturale (p. 181). Certamente la differenza è stata che Tolkien scrisse l’intero corpo di lavoro raccogliendolo lentamente e non procedendo a tutta velocità. Il secondo saggio è “Tolkien, Kalevala, and The Story of Kullervo” (Tolkien, il Kalevala e The Story of Kullervo) il saggio più recente del libro presentato qui per la prima volta. Questo saggio vede «crescere il lavoro (della Flieger) insieme al manoscritto della storia» (p. X), che fu pubblicato nei Tolkien Studies 8. Il racconto, scritto tra il 1912 e il 1914, fu il primo tentativo di Tolkien di fare proprio il Kalevala, che ebbe una profonda influenza sul Legendarium di Tolkien, particolarmente sulla storia di Turin. Questo saggio ci fornisce una visione preziosa di come questo primo tentativo sia stato «un passo importante nella strada tortuosa che porta dall’imitazione all’invenzione» (p. 201).
La Flieger in “Brittany and Wales in Middle-earth” (Britannia e Galles nella Terra di Mezzo) si concentra sull’influenza celtica in due aspetti del lavoro di Tolkien. Precisamente esamina quanto Tolkien abbia preso in prestito dalla Britannia per trattare l’«altro mondo» (o Faërie come lo chiamava Tolkien), come anche l’influenza gallese sulla creazione della lingua inventata da Tolkien, il Sindarin. In “The Green Knight, the Green Man, and Treebeard: Scholarship and Invention in Tolkien’s Fiction” (il Cavaliere Verde, il Green Man e Barbalbero: studio e invenzione nel romanzo di Tolkien), la Flieger ci dà un esempio – nella figura del personaggio di Barbalbero – di come «il punto di intersezione tra immaginazione e studio è stata la miccia che ha fatto accendere la sua creatività. Il risultato nel Signore degli Anelli è un lavoro profondamente radicato nella tradizione medievale e allo stesso tempo creato in un modo totalmente fresco e originale» (p. 211). L’ultimo saggio di questa parte, “Missing Person”, tratta il fatto che, malgrado nel suo romanzo vi sia un’ovvia influenza giudeo-cristiana (e in particolar modo quel profondo senso di fede cattolica di Tolkien), non c’è Cristo nel suo mondo mitologico, e nessun riferimento manifesto alla religione o a pratiche religiose. Questo saggio che risale al 1986, è un altro esempio di come il saggio assuma un significato migliore nel contesto di questo libro. Si possono tracciare delle linee che uniscono la crescita del pensiero della Flieger attraverso gli anni quando si legge questo pezzo insieme con “The Music and the Task”.
La terza parte
La terza parte è la più corta con solo sette saggi che coprono 71 pagine. “A Cautionary Tale: Tolkien’s Mythology for England” (una storia ammonitrice: la mitologia tolkieniana per l’Inghilterra), scritto nel 2003 appena l’interesse per i film di Peter Jackson sul Signore degli Anelli
cominciò ad esaurirsi e l’aumento delle analisi critiche del lavoro di Tolkien, che sembravano accompagnarle, fosse comprovato. Riguarda il famoso equivoco tolkieniano, in cui si dice che abbia cercato di creare una mitologia per l’Inghilterra (quello che disse veramente è che cercò di creare una mitologia dedicata all’Inghilterra, anche se la Flieger dice che c’è «poca differenza qualitativa tra le due frasi» [p. 314, n1]). Mentre la Flieger ci mostra che la mitologia tolkieniana dipinge un quadro di «una cultura in declino divisa dal dissenso e spaccata dalle fazioni, una società eternamente in guerra con sé stessa» (p- 238). In “The Mind, The Tongue, and the Tale” (la mente, la lingua e il racconto), altro nuovo saggio che fu presentato in una forma piuttosto diversa alla conferenza di Modena del 2010 su Tolkien e la Filosofia, la Flieger ci fornisce numerosi esempi della filosofia del linguaggio di Tolkien, oltre che a rivisitare l’influenza della teoria di dizione poetica su Tolkien di Owen Barfield (discussa a lungo in Schegge di luce) e quella del romanticismo tedesco del diciannovesimo secolo. A questo è seguito “A Post-modern Medievalist” (un medievalista post-moderno) che come suggerito dal titolo ci mostra che, malgrado il fatto che il Signore degli Anelli evochi una sensibilità medievale, Tolkien, in effetti impieghi con successo un numero di concetti letterari post moderni e che, in definitiva, egli è «un autore essenzialmente moderno che ha usato tutti gli strumenti dell’autore e le tecniche disponibili da qualsiasi periodo – scrivendo a, per, e rivolgendosi a qualsiasi tipo di lettore, del suo tempo e del futuro, che possa apprezzare la sua storia».
“Taking the Part of Trees: Eco-conflict in Middle-earth” (Dalla parte degli alberi: il conflitto ecologico nella Terra di Mezzo), che è stato precedentemente pubblicato nel 2000 nel libro di Clark e Timmons J.R.R. Tolkien and His Literary Resonances, è stato per molto tempo il mio favorito, per questo mi ha fatto piacere vederlo in questa collezione. Ci fornisce un altro buon esempio dell’abilità della Flieger di forare il velo della sub-creazione di Tolkien. La Flieger ci descrive il ritratto selvaggio e contradditorio dipinto da Tolkien degli alberi e delle foreste nel Signore degli Anelli e in altri racconti. Ad esempio mette a confronto la sregolatezza e il pericolo insito nella vecchia foresta e nella foresta di Fangorn con la tranquillità di Lothlorien. In questo modo traccia il significato del successo della sub–creazione di Tolkien. A causa della grande credibilità, della «densa realtà» del mondo creato da Tolkien, è sempre stato considerato, e lo sarà sempre, a un livello superiore rispetto a molti autori. Chiediamo a un romanzo che sia coerente, cosa che facciamo raramente nella vita reale e anche pretendendola non l’avremmo questa coerenza. Noi chiediamo specificatamente a Tolkien che la sua sub-creazione (inteso come sotto universo n.d.T.) – così vivido e convincente che molti lettori vorrebbero viverci – viva seguendo le sue regole, quando la meraviglia sta’ nel fatto che sia riuscito a realizzare tanta coerenza senza volerlo (p. 274). L’ironia è proprio in questo, questa incoerenza rende il «Mondo secondario» di Tolkien un riflesso, eccellente, del mondo reale. Entrambi gli ultimi due saggi indicano come le esperienze di vita reale di Tolkien e, particolarmente la guerra, abbiano influenzato il suo romanzo, specialmente il personaggio di Frodo Baggins. Il primo saggio “Gilson, Smith and Baggins” riflette sulla perdita di due membri della prima compagnia di Tolkien la TCBS,
nella prima Guerra Mondiale, e l’influenza che ebbe sugli scritti di Tolkien. Il secondo saggio “The Body in Question: The Unhealed Wounds of Frodo Baggins” (il corpo in discussione: le ferite non guarite di Frodo Baggins), un altro saggio che appare per la prima volta qui, «continua lungo le stesse linee però incentrando lo sguardo sul corpo dilaniato dalla guerra di Frodo» (p. 235). Nel saggio finale “A Distant Mirror: Tolkien and Jackson Through the Looking Glass” (Uno specchio distante: Tolkien e Jackson attraverso lo specchio), la Flieger compara il modo in cui Tolkien rispecchia le vecchie storie (come la coppa rubata a Smaug da Bilbo, storia presa dal Beowulf) con il modo in cui Jackson prenda deliberatamente in prestito dai precedenti film fantasy come Il mago di OZ e Guerre Stellari (anche quest’ultimo film prese spunto dalle storie di Tolkien).
Conclusioni
Verlyn Flieger conclude l’antologia dicendo che in nulla come nel Signore degli Anelli Tolkien ha dimostrato una forma più matura di «rispecchiamento» nel quale «le allusioni esteriori sono largamente sostituite da auto-riflessioni interiori molto di più che nella consapevolezza delle origini insite nel poema di Beowulf». Questa è la giusta conclusione al libro nella quale ci fornisce un vivido esempio del tipo di crescita avuta da Tolkien come scrittore da quando scrisse Lo Hobbit, attraverso le idee espresse nel Sulle Fiabe, alla maturazione definitiva riflessa nel Signore degli Anelli come discusso nei primi saggi, particolarmente in “Tolkien on Tolkien”. Questi commenti piuttosto sbrigativi danno solo un suggerimento di che gioia sia leggere Green Suns and Faërie. Gli scritti della Flieger sono così chiari e così arguti, qualità difficili da trovare in un lavoro di tipo accademico. Non avrebbe avuto senso il tentativo di darsi delle arie per la sua erudizione, non ne avrebbe avuto motivo; la sua conoscenza del lavoro di Tolkien è fuor di dubbio profonda, così come l’apprezzamento appassionato del lavoro di Tolkien. Non mi viene in mente nessun altro complimento tranne quello che è impossibile leggere questo libro senza accrescere la propria conoscenza e l’amore per il lavoro di Tolkien.
Recensione a: Verlyn Flieger, Green Suns and Faerie: Essays on J.R.R. Tolkien,
Kent State University Press, 2012. xi + 331 pp., 24.95 dollari (ISBN 978-1-60635-094-2)
Autore della recensione: Douglas C. Kane, la recensione è apparsa sulla rivista Mythprint 49:6-7 (#359-360) nel giugno/luglio 2012. Tratta dal sito della Mythopoeic Society
– La collezione di Verlyn
LINK ESTERNI:
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