A quarant’anni dalla sua morte, J.R.R. Tolkien continua a pubblicare. Dopo quasi novant’anni dalla stesura, uno dei manoscritti più favoleggiati dello scrittore inglese vedrà finalmente la luce. Non si tratta di un seguito del Signore degli Anelli o di un’opera sulla Terra di Mezzo, ma i legami ci sono comunque. Il 22 maggio sarà in libreria nei Paesi anglosassoni la traduzione e il commento del Beowulf fatta da Tolkien. Il volume è curato dal figlio dello scrittore, Christopher Tolkien, conterrà anche un racconto inedito con uno stile e delle tematiche legate al poema anglosassone. HarperCollins cura l’edizione in Gran Bretagna, con due edizioni regolari e una deluxe, mentre Houghton Mifflin Harcourt pubblica negli Stati Uniti solo l’edizione cartonata (tutte le edizioni qui). L’uscita del volume conferma la linea inaugurata dal 2009 con «La leggenda di Sigurd e Gudrùn» e confermata dalla «Caduta di Artù»: far conoscere le trasposizioni dei poemi medievali cui Tolkien lavorò negli anni Venti e Trenta, prima di scrivere «Lo Hobbit». l’edizione unisce la narrazione in prosa con note e commenti extra, oltre alla traduzione parziale in versi (circa 600 versi del Lay del Beowulf). Ad esso si aggiunge il componimento Sellic spell, la dimostrazione della creatività dello scrittore: è una «meravigliosa favola» scritta come fosse tratta dal folclore dell’ Inglese antico per forma e stile, in cui non vi è alcuna associazione con le «leggende storiche dei regni del Nord», cioè quei temi che invece sono il contenuto del Beowulf.
Tolkien e il Beowulf
Il Beowulf fu, per ammissione dello stesso Tolkien, una delle fonti d’ispirazione più importanti per la sua opera. Quando ancora insegnava letteratura a Leeds, lo scrittore aveva iniziato (e non completato) una traduzione in versi allitterativi di Beowulf in inglese moderno, e aveva anche lavorato su una traduzione in prosa. Completò quest’ultima dopo aver accettato la cattedra di anglosassone a Oxford, entro la fine del 1926, anche se probabilmente non lo soddisfaceva del tutto.
Tolkien era infatti scettico su una trasposizione del poema in inglese moderno e lo scrisse: in un saggio del 1940, «Tradurre Beowulf», sosteneva che «trasformare i versi del Beowulf in una prosa piana potrebbe essere un abuso». Alcune righe dalla traduzione in versi erano però apparsi quello stesso anno nella sua prefazione all’edizione del poema anglosassone di Clark Hall. Altri estratti apparvero postumi in diverse pubblicazioni, il più lungo dei quali nella «History of the Middle-earth» (in «The Lost Road and Other Writings») curata dal figlio nel 1987. Una parte della traduzione in prosa apparve invece in «JRR Tolkien: Artist and Illustrator», curato da Wayne G. Hammond e Christina Scull nel 1995. Infine, un estratto di versi del Beowulf, resi però da Tolkien in caratteri valmarici (da lui usati dal 1922 al 1925 per le prime fasi del Quenya) furono pubblicati nel 2003 nel numero 14 della rivista Parma Eldalamberon (in “Early Qenya and The Valmaric Script”, pp. 90, 120, 122). Si può ben capire come entrambe le traduzioni siano quindi in cima alla lista di desiderata tra gli appassionati, ma le oltre duemila pagine manoscritte della traduzione sono finora rimaste sempre chiuse in un armadio della Bodleian Library di Oxford e a nulla sono valsi i precedenti tentativi da parte di vari studiosi di poter arrivare alla pubblicazione. L’unica eccezione è stata quando nel 1996 Michael Drout, professore di inglese al Wheaton College (nel Massachusetts, Usa), iniziò a studiare tutto materiale che Tolkien aveva dedicato al Beowulf. Lo studioso pubblicò nel 2002 – e non «scoprì la traduzione» come riportato erroneamente da qualche quotidiano italiano – il volume «J.R.R. Tolkien, Beowulf and the Critics», una conferenza che Tolkien aveva già pubblicato in forma ridotta nel 1936 (tutti i dettagli sulla vicenda si possono leggere qui). Proprio questo saggio aprì una nuova era della fortuna del poema, rivoluzionando l’approccio all’opera anglosassone, un’influenza avvertita ancora oggi. Nel saggio, infatti, lo scrittore criticava l’eccessivo interesse dei suoi contemporanei in un’analisi del poema come se fosse una fonte di sole informazioni storiche. Tolkien trovava che il valore letterario del poema era stato ampiamente trascurato e sosteneva che «è in realtà così interessante come poesia, con versi così potenti da mettere in ombra tutto il contenuto storico…». Al tempo stesso, il professore confuta l’idea che si tratti di una «una mera storia su un tesoro», «solo un altro racconto su un drago».
Una «nuova» traduzione?
Il ruolo di Tolkien fu, quindi, di aver aperto gli occhi alla critica dell’epoca. Dal 1936 in poi, gli studiosi hanno seguito quei consigli e hanno indagato il poema come opera di letteratura. Per questo motivo, il poema anglosassone ancora oggi è in tutti i programmi d’inglese delle università del pianeta. Visti tutti gli scritti di Tolkien editi sul Beowulf, allora, che senso ha pubblicare anche la traduzione? Christopher ne dà una spiegazione nell’introduzione al volume. Oggi però ci sono oltre 20 traduzioni del poema epico in inglese moderno, sia in in prosa sia in versi. Nel 1999 la traduzione in versi fatta dal poeta irlandese Seamus Heaney, Nobel per la letteratura, è stata assunta istantaneamente nel canone degli studi sull’opera. La traduzione di Tolkien è stata definita «bizzarra» da alcuni critici, «un tentativo di raggiungere l’impossibile» perché cerca di ricreare il ritmo del verso anglosassone, una lingua flessiva, in inglese moderno, che non lo è. Eppure, i suoi versi in alcuni casi colgono nel centro, restituendo le allitterazioni tipiche dell’originale per ricreare il metro di lingua antica. Peccato, però, che i versi siano incompleti e che lo scrittore non fosse entusiasta della traduzione in prosa. Leggendo quei pochi versi, si può cogliere comunque lo spirito anglosassone che Tolkien cercava nei versi antichi. Se lo avesse completato, il poema avrebbe potuto rivaleggiare con le versioni attuali, pur con un lessico degli anni Venti. Tolkien aveva tradotto il poema, soprattutto a fini didattici, per poterlo usare nelle lezioni all’Università. «Tutti abbiamo una traduzione di lavoro del Beowulf», afferma Jane Toswell che insegna letteratura inglese alla Western University di Londra. «Tutti gli studiosi di anglosassone possono mostrare la loro una traduzione di lavoro – io ne ho due o tre. Ogni dieci anni, mi siedo e traduco il Beowulf, perché è necessario per permettere alla mente di rientrarci. Questo è quel che facciamo di solito. Probabilmente quella di Tolkien è proprio una traduzione di lavoro, che poi utilizzava per l’insegnamento, le conferenze, per riflettere sul poema e pensarci su». «La maggior parte delle intuizioni di Tolkien sulla poema sono già state pubblicate nei precedenti lavori», ha aggiunto, «Inoltre, la sua traduzione è incompleta e utilizza un linguaggio degli anni ’30 e ’40». Nonostante, l’opinione di Toswell, gli studiosi hanno opinioni contrastanti. Sicuramente, gli studiosi di Tolkien potranno avere qualche informazione in più sulle idee che il professore aveva sull’opera: qualsiasi traduttore deve per forza fare delle scelte di traduzione quando ci sono questioni interpretative o testuali in un testo. La traduzione fatta da Tolkien dirà molto su come interpretava questi problemi, con riflessioni incluse nei suoi appunti. «È come se mio padre – commenta Christopher – fosse entrato nel passato immaginato dal poema: in piedi accanto a Beowulf e ai suoi uomini mentre si scuotono nelle cotte di maglia per asciugarsi non appena sbarcati dalla nave sulle coste della Danimarca o alzando lo sguardo con stupore mentre la mano terribile del mostro Grendel entra dal tetto della corte reale». Tolkien guarda da vicino il drago che avrebbe ucciso Beowulf, mentre «sbava di rabbia ed è colmo d’odio alla scoperta del furto della coppa». «Questo costituisce un risultato notevole», ci spiega il professor Drout e il poeta britannico ed esperto anglosassone Kevin Crossley-Holland – anche lui autore della più famosa trasposizione per ragazzi del poema – descrive così il tono della traduzione di Tolkien: «Riesce a catturare il suono delle grandi onde che si infrangono su una spiaggia di ciottoli e a mostrare le linee che scompaiono appena l’acqua si ritira».
Un confronto impari
La traduzione di Heaney è scritta in un tono molto più colloquiale ed è lodata perché rende la storia di Beowulf come probabilmente fu ascoltata inizialmente, cioè come un racconto popolare cantato nella lingua del popolo. Eppure, neanche questa è esente dall’influenza di Tolkien, per stessa ammissione del poeta irlandese: il potere onirico del drago, descritto vividamente nei suoi versi, è debitore del saggio di Tolkien del 1936. Chissà come Heaney avrebbe accolto oggi, se fosse ancora vivo, questa traduzione: ne avrebbe trovato probabilmente spunti di riflessione. Resta da vedere se convincerà la nuova generazione di studiosi di anglosassone, anche se è certo che potrà ispirare una nuova generazione di studenti a leggere il poema. Qui di seguito, un estratto dalle due versioni in poesia del Beowulf, anche se la traduzione in versi di Tolkien, lo ricordiamo, è di soli 600 versi.
Time went by, the boat was on water,
in close under the cliffs.
Men climbed eagerly up the gangplank,
sand churned in surf, warriors loaded
a cargo of weapons, shining war-gear
in the vessel’s hold, then heaved out,
away with a will in their wood-wreathed ship.
On went the hours: on ocean afloat
under cliff was their craft.
Now climb blithely brave man aboard;
breakers pounding ground the shingle.
Gleaming harness they hove to the bosom of the
bark, armor with cunning forged then cast
her forth to voyage triumphant,
valiant-timbered fleet foam twisted.
– Scarica la prefazione di Christopher Tolkien
– Vai al sito Parma Eldalamberon
.