Dopo aver discusso nella prima parte dell’intervista con Verlyn Flieger dei dettagli inerenti alla pubblicazione di “The Story of Kullervo”, il nuovo volume di J.R.R. Tolkien da lei curato per HarperCollins in uscita il 27 agosto in Inghilterra, il 27 ottobre negli Stati Uniti e a dicembre in Italia per Bompiani, ecco la seconda parte dell’intervista, più approfondita sul legame tra Kullervo, Túrin e Il Silmarillion. Il volume contiene 192 pagine ed è in vendita sul sito della casa editrice inglese HarperCollins, e sui principali store online, in copertina rigida a un prezzo di circa 24 euro (19,99 sterline) e in ebook a circa 14 euro (9,99 sterline).
L’intervista
È difficile immaginare lo spunto che fece decidere a Tolkien di scrivere una storia come quella narrata in “The Tale of Túrin”, soprattutto perché l’autore ci sia tornato più volte per scriverne le diverse versioni, in differenti stile e forme. Túrin, erede narrativo diretto di questo Kullervo, aveva un significato speciale che ancora oggi ci sfugge?
«Un po’ l’ho detto prima, la sua situazione di orfano rendeva la storia particolarmente attraente. Inoltre, da narratore Tolkien era in grado di riconoscere un buon soggetto quando ne incontrava uno, e aldilà del Signore degli Anelli Túrin è il suo personaggio più potente e riuscito. Dal punto di vista psicologico è molto più interessante, ad esempio, di Beren, che non è altro che il perfetto eroe modello delle storie fantastiche con pochi o nulli tratti caratteriali. Faccio un’ipotesi, ora, ma può essere possibile che, man mano che il XX secolo procedeva, con le due guerre mondiali e tutti i cambiamenti politici avvenuti, Tolkien sia divenuto sempre più interessato a personaggi le cui contraddizioni personificavano i suoi conflitti etici».
Per Tolkien, se un linguaggio muta col passar del tempo, così mutano anche le leggende. Lo scrittore amava le saghe dell’Edda e il poema del Beowulf, che testimoniano questo mutare del tempo e furono per l’autore un modello costante. Il Kalevala, da cui ha preso spunto per scrivere “The Story of Kullervo”, è statico in quanto frutto di una ricostruzione tardo ottocentesca. Questa scelta stata quindi solo una parantesi nella sua produzione, visto che non si rivolse più alla mitologia finnica?
«Fu più che una parentesi, il Kalevala ebbe un’influenza enorme sul suo legendarium. La lingua finnica fu il modello fonologico per il Quenya e “The Story of Kullervo” fu uno dei suoi primi viaggi in una sua lingua inventata. Il Poema finnico contiene anche la magia e un senso di inevitabilità e Fato intrecciato con la volontà dell’essere umano».
Il racconto presto in libreria con il suo sapore esotico si sposa, però, bene con tutte le altre leggende del Silmarillion e le altre fonti che daranno vita al seguente personaggio di Túrin. È così?
«Sì, ma “The Story of Kullervo” non è poi così estraneo al Silmarillion, che è una storia molto tragica di ira, vendetta, tradimenti, ribellioni, guerre disperate e della potenza del Male. Come Kullervo, gli Elfi di Tolkien sono destinati a fallire, confinati in Arda dalla Musica degli Ainur e intrappolati nel Giuramento di Fëanor. Gli Elfi, infatti, non recupereranno nessuno dei tre Silmaril, e la loro saga è un “intero ciclo nato dal male”, come scrive Tolkien (Lettere, n.186). È un quadro senza speranza. Mi sembra che Kullervo ci si sposi bene».
La versione di Tolkien del racconto è molto più tragico dell’originale, che fonde insieme la tragedia con una sorta di commedia nera. Lei ha un’idea del perché Tolkien avesse fatto questa modifica?
«Lo stesso scrittore rivelò di essere stato attratto dal genere tragico a quell’epoca. Del resto, la sua vita non era lieta: a 4 anni aveva perso il padre, a 12 aveva perso la madre, e aveva contestuamente dovuto lasciare la casa in cui viveva, a 19 era stato anche costretto dal suo tutore a lasciare la ragazza che amava… Inoltre, anche se era dotato di umorismo, la commedia non era proprio il suo forte, anche se fosse stata nera».
Lonnröt non fece un buon lavoro collazionando i fili narrativi del Kalevala. Ad esempio, non sappiamo i motivi che spingono Kullervo a compiere gli atti tragici che lo portano fino al suicidio, né sappiamo perché fa determinate scelte. Tolkien, mi sembra, deliberatamente colma tutte queste lacune. È questa la ragione per cui i lettori tornano spesso a rileggersi la storia di Túrin Turambar?
«La versione di Kullervo scritta da Tolkien, da cui poi nascerà quella speculare di Túrin, fa molto di più che colmare le lacune e aggiungere alla trama una dimensione pienamente tragica. Ogni lettore e lettrice ha le sue ragioni per tornare a rileggersi la storia. Parlando per la mia esperienza, penso di essere stata attirata da Kullervo, e prima ancora dallo stesso Túrin, proprio perché è un personaggio tragico e fallace. Ogni volta speriamo che faccia la scelta giusta, ma ogni volta prende la decisione sbagliata. C’è qualcosa di perverso e attraente intorno a questo personaggio così consciamente deplorevole».
Ci sono indizi sullo stile di Tolkien in quel periodo e differenze rispetto alle medesime storie contenute nelle Lost Tales e nel Silmarillion?
«Buona domanda. Non conosco alcuno studio su questo tema. Quando scrisse “The Story of Kullervo”, Tolkien era molto influenzato da William Morris, I cui romanzi adottavano una forma pseudo-medievale che al tempo sembrava autentica. Nel saggio Translating Beowulf, Tolkien difese questo genere letterario, ma al tempo del Signore degli Anelli conosceva ormai come usare al meglio questo e gli altri stili letterari, tanto da usarli per distinguere I personaggi – Theoden, ad esempio, parla in modo differente da Denethor, sebbene siano entrambi nobili re; e addirittura Aragorn parla in modo differente da Grampasso, sebbene siano la stessa persona».
Molti studiosi, tra cui R. Helms, Shippey e West, mettono in evidenza le due connessioni dirette tra le leggende finniche del Kalevala e quelle della Terra di Mezzo: “The Story of Kullervo”, che è alla base della storia di Túrin, e il linguaggio stesso, da cui nasce il Quenya degli Elfi. Secondo lei, ci sono altri legami?
«Un ulteriore legame è la stessa natura delle due opere. Il Kalevala fornì ai finlandesi un’identità culturale, e questo fu un fattore fondamentale nella loro lotta per l’indipendenza – divenire una nazione a tutti gli effetti. Sembra probabile che il desiderio di Tolkien di creare una mitologia «per l’Inghilterra», le cui leggende originarie erano state obliterate dall’arrivo del Cristianesimo e dalla conquista normanna, abbia trovato nel Kalevala il modello appropriato a cui ispirarsi».
Nel Kalevala, la vicenda di Kullervo non si adatta bene con gli altri intrecci narrativi e costituisce infatti un lungo excursus nei “runi” (i versi della metrica finnica) dal 31 al 36. Tolkien, invece, tesse bene le tre “grandi storie” che sono la spina dorsale del suo legendarium e del Silmarillion. La sua fu una scelta consapevole, proprio in reazione a Lönnrot?
«Esatto. La vicenda non si adatta al racconto che Lönnrot ha costruito, la storia del Sampo e la ricerca per recuperarlo. Ma il Kalevala nel suo complesso non ha una trama lineare, è particolarmente intrecciata. Anche le storie di Lemminkàinen non combaciano perfettamente tra loro, e ci sono molti runi hanno poco a che fare con la storia. La questione del Kalevala come folklore o come “fakelore” [è il “il folklore inventato” in Italia tradotto dagli studiosi con “folklorismo”, ndt] è ancora da prendere in considerazione. Lönnrot tagliò e cucì tutto il materiale che aveva raccolto per dare al Kalevala la forma che ha. Per quanto riguarda le scelte di Tolkien, la sua è una domanda molto valida, ma in generale, io non la penso così. Tolkien era un maestro nel tessere tramee; era solo una parte del suo mestiere (vedi il saggio di Richard West “The Interlace Structure of The Lord of the Rings” nel volume A Tolkien Compass). Non credo che non sarebbe riuscito a intessere bene la storia di Túrin nel Silmarillion: è Túrin che porta la trama alla sua dimensione epica, è Túrin che è il suo eroe più tragico».
Perché, secondo lei, Tolkien ha aggiunto, nelle sue note personali su Kullervo, la frase: «Come vorrei che ne avessimo di più»? Che cosa manca alla storia finlandese?
«La frase deve essere letta nel contesto in cui fu scritta. È tratta dal secondo saggio di Tolkien On the Kalevala, scritto diversi anni dopo il suo lavoro sulla storia di Kullervo, dopo la guerra, in realtà. L’intero passaggio recita: “Io sono contento di dedicarmi a queste ballate mitologiche – piene di quel substrato molto primitivo che la letteratura europea ha nel complesso costantemente tagliato e ridotto per molti secoli con un diverso livello di completezza tra i vari popoli. Vorrei che ne avessimo lasciato di più – qualcosa dello stesso genere che apparteneva all’inglese”. Tolkien, quindi, è rammaricato per la perdita del substrato che lui trova nel Kalevala, ma sente che esso è stato ridotto nelle mitologie più sofisticate, in quella greca e anche nella norrena/islandese, mentre è completamente assente nella cultura inglese, che non ha nemmeno una vera mitologia indigena».
Questo discorso è interessante, ma ci porterebbe lontano… Un’ultima domanda: nel suo saggio su “The Story of Kullervo” contenuto nella sua antologia in Green Suns and Faerie, lei scrive che era il racconto è stato per lo scrittore inglese «un passo importante nella strada tortuosa che porta all’invenzione dall’imitazione». Può spiegare un po’ meglio il suo concetto?
«Volevo sottolineare il punto che il personaggio Túrin Turambar di Tolkien non proviene dal Kullervo del Kalevala, come le persone tendono a pensare. È scaturito, invece, dal personaggio di Kullervo che è il protagonista di questo libro, un personaggio che è già distante da quello di Kalevala e la cui esistenza ha permesso a Tolkien di essere libero di sviluppare ulteriormente Túrin».
– La prima parte dell’intervista a Verlyn Flieger
– Vai alla recensione di Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien
– Vai all’intervista Cinque domande a Verlyn Flieger
LINK ESTERNI
– Vai al sito di Verlyn Flieger
– Vai al sito della HarperCollins
– Vai alla pagina di Schegge di Luce
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