L’Isis come Aragorn: in attesa del re

Greg e Tim Hildebrandt: "Elessar coronation"Fermi lì, è una provocazione! Se non sapete cosa sia, è inutile continuare a leggere. L’Associazione italiana studi Tolkieniani è ben conscia di tutte le atrocità perpetrate dal cosiddetto Califfato islamico in Siria e Iraq e di recente in Francia. L’accostamento non è nostro, ma è riportato in un articolo molto lungo e dettagliato che tocca molti altri punti interessanti, analizzando i tragici fatti di questi giorni e riflettendo sul bacino di coltura dei terroristi nati in Europa. Quel che ci ha colpito è però la provocazione iniziale, che è poi non viene più sviluppato adeguatamente. Quindi, proviamo a farlo noi, avvertendo subito però che l’accostamento è ben fondato e degno di riflessione, soprattutto in un momento come questo in cui il fanatismo religioso sembra diffondersi sempre più. Speriamo che anche voi lettori possiate ragionare su queste cose e magari lasciare qualche considerazione a fondo pagina.

Un carisma apocalittico

EsecuzioneTutto parte dalla palese e incontestabile attrazione che il sedicente Stato Islamico esercita su migliaia di giovani in Europa e negli Stati Uniti, che lasciano tutto per andare a combattere volontariamente tra le sue fila. I successi in campo militare e gli spettacoli diffusi in maniera virale della crudeltà perpetrate sui prigionieri non fanno altro che attirare un piccolo, ma costante flusso di nuove reclute dalle democrazie occidentali benestanti. È un dato di fatto che i commentatori e gli esperti hanno motivato in vari modi: l’emarginazione e l’alienazione delle minoranze musulmane in Occidente; un fervore religioso che trascende la piccolezza della vita quotidiana; anche l’eccitazione estrema per una visione apocalittica del mondo. Non è difficile vedere l’Isis come un’altra raccapricciante conseguenza del moderno capitalismo, un altro della lunga serie di movimenti terroristici che si alimentano dei malcontenti di quest’epoca e delle psicosi dei propri membri. Ma il persistente carisma globale dell’Isis offre qualcosa che lo contraddistingue rispetto agli altri movimenti terroristici: l’idea del Califfato. Lo scorso giugno, il leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, si è dichiarato califfo. La grandiosità del proclama è probabilmente sfuggita a molti degli osservatori non musulmani, soprattutto in Europa. Ma in Medio Oriente questa dichiarazione ha acceso entusiasmi contrapposti.
Al-BaghdadiIl Califfato è, infatti, nell’Islam una posizione antica di mille anni e il califfo deve rispondere a determinati requisiti: deve controllare il territorio, deve far rispettare la legge della Sharia al suo interno, e deve discendere dalla tribù Quraysh, la tribù del profeta Maometto. Gli ultimi a farlo sono stati gli imperatori ottomani che si sono attribuiti il titolo fino al XX secolo, ma la loro proclamazione è stata ampiamente respinta perché non discendevano dalla tribù del profeta, essendo di origini turche. Ora, la fedeltà al califfo è un obbligo che i sostenitori dell’Isis ritengono vincolante per tutti i musulmani. E mentre l’affermazione di al-Baghdadi è stata oggetto di divisioni anche all’interno del variegato mondo del jihadismo, deve far riflettere il fatto che i gruppi estremisti lontani tra loro come quelli in Nigeria (Boko Haram) e Libia (Al Shabab) abbiano fatto voto di fedeltà al Califfo, anche se questo può essere stato solo un atto formale.
Nelle analisi degli esperti occidentali, l’idea del califfato e il suo evidente fascino sembrano essere un’idea esotica o addirittura ridicola, il più delle volte messa da parte. Un modello di Islam fanatico transnazionale è del tutto anacronistico nel XXI secolo, secondo molti commentatori. «L’idea del califfato codifica un ordine morale che trascende non solo i confini dello Stato nazionale, ma anche la logica morale alla base del concetto di Stato». È una sorta di fantasia politica o fanta-politica pensare di tornare indietro di mille anni. Il cuore della sua affermazione è però il sogno imperscrutabile di una sovranità legittimata religiosamente o, da un altro punto di vista, di un delirio adatto a molte forme, una nostalgia intrisa di sangue la cui pretesa di un ritorno all’antichità è la sfida più estrema alla mentalità dell’uomo moderno e alle sue conquiste democratiche. Rivendicazione dell'IsisL’Isis e la sua ideologia violenta e reazionaria è totalmente in contrasto con l’etica della democrazia e del progresso delle moderne società laiche. Ma il mito su cui il suo fascino si basa – il fascino di vivere in un mondo con un ruolo ben definito e la sicurezza nel trascendente – non è così estranea all’Occidente come sembra. Moltissima gente in Europa ama il cosplay medievale, in molti vestono i costumi dei templari e nelle sessioni di gioco vanno a combattere gli infedeli. Colpisce come in uno dei video meno sanguinosi dello Stato islamico diffusi sul web viene mostrato un gruppo di jihadisti mentre bruciano i loro passaporti britannici, francesi e australiani. A quanto pare, queste persone, tutti cittadini “occidentali”, vogliono proprio vivere sotto un califfo, sotto una legge che proviene da Dio, di cui hanno una sicurezza concreta.

Il ritorno del re medievale

Jay Johnstone: "King Elessar of Gondor"Lungi dall’essere un impulso parodistico dell’Islamico o una fantasia di un nerd («qualcosa che si può realizzare con gli amici nella cantina di tua madre», come ha detto un esperto di antiterrorismo statunitense), il mito del Califfato riecheggia sogni di una legittimità trascendente che sono profondamente radicati nella cultura e la letteratura europea. E un parallelo diretto lo fornisce proprio Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Da quando è stata pubblicata, l’epica del professore di Oxford non ha fatto che crescere in autorevolezza per la critica letteraria e come presenza commerciale. Da buon conoscitore della letteratura e delle storia del Medioevo, Tolkien inserisce un tema che da quell’epoca proviene. Uno dei filoni del romanzo è, infatti, la proclamazione che Aragorn fa come re degli uomini, discendente di Númenor, legittimo erede del trono ancestrale di Gondor da mille anni vacante. All’inizio della storia, Aragorn è un personaggio particolarmente dimesso e rustico, sotto le spoglie di Grampasso: molte delle sue scelte sono fallimentari. Nel corso del racconto, però, si dimostra sia un erede biologico sia lo specchio fedele dei suoi antenati regali. La sua autorità trascendente è ben visibile e, di tanto in tanto, Aragorn brilla come «un re che tornava nel suo Paese dopo un lungo esilio» (SdA IV, 9). Una luce circonda la sua testa in momenti particolarmente regali, come ad esempio quando estrae la spada davanti a diversi potenziali alleati, nel suo primo incontro con i Rohirrim.
TemplareIn ogni caso, il problema della legittimità e della fedeltà è presente in tutta la storia. La discendenza reale si era spenta a Gondor mille anni prima, durante i quali hanno governato i Sovrintendenti. Ma «a Gondor non basterebbero diecimila anni» (SdA IV, 5) per permettere ai Sovrintendenti di ergersi al rango di re. Gli antichi segni della regalità – in particolare un spada di tremila anni prima, «la spada che fu spezzata» – sono fondamentali ad Aragorn per convincere un popolo a lungo senza re ad accettarlo come tale. Il personaggio ha la tendenza a gridare il nome del suo più illustre antenato quando si scontra in battaglia e ad attirare giuramenti incondizionati di fedeltà. Quando Faramir viene guarito da Aragorn – grazie al suo particolare, e regalmente unico, tocco taumaturgico – il figlio del Sovrintendente, guardandolo chino su di lui, lo vedrà in maniera diversa: «I suoi occhi brillarono d’una luce di coscienza e di affetto». Greg e Tim Hildebrandt: "Healing of Eowyn" (calendario 1977)«Mio sire, mi hai chiamato. Sono venuto. Cosa comanda il re?», dice Faramir al suo risveglio nelle Case di Guarigione. «Chi potrebbe rimanere ozioso, ora che il re è tornato?». (SdA V, 8). Per alcuni lettori di Tolkien, che applicano al romanzo le proprie convinzioni politiche, questa è una forte scena di “epifania” e che legittima la loro idea di trovare un re per cui si possa impegnare la propria spada senza dubbi ed esitazioni. Per fortuna, si tratta di una lettura ampiamente screditata e smentita da tutti i maggiori studiosi tolkieniani al mondo.

Nostalgia del passato e fanatismo religioso

Mosaico bizantino: cesaropapismo (circa 1000)Tali momenti, che hanno un sapore un po’ kitsch per qualsiasi lettore in quest’epoca post-moderna, sono il retaggio del mito medievale della intrinseca legittimità che solo il trascendente può dare, che si possa regnare solo grazie alla volontà di Dio. Da scrittore moderno, Tolkien era consapevole di questo rischio e per lui non sarebbe stato difficile enfatizzare scene d’azione o d’eroismo su Aragorn: non è un caso che il centro del romanzo siano le gesta degli Hobbit, in particolare Frodo e Sam. La sua opera eccezionale è infatti molto diversa dalla norma: lo scrittore moderno è riuscito a creare una storia ampia, in senso diacronico e sincronico, quasi quanto quella dell’Europa. Poi vi ha inserito a margine l’idea medievale di un potere trascendente, di diritto intrinseco che – a differenza delle più disparate ispirazioni nel mondo reale – in realtà funziona bene come movente parallelo alla storia principale. Lo stesso scrittore lo spiega nelle lettere. La storia di Arwen e Aragorn «in questo racconto non è centrale, ma vi si fa solo qualche allusione» (n. 153) e «non poteva essere inserita nel racconto principale senza distruggerne la struttura» (n. 181).
John Howe: "Elessar"Il parallelo tra la versione di Tolkien di restaurazione e quella di al Baghdadi si ferma qui, è limitata. Aragorn mostra la sua magnanimità nella vittoria, non si abbandona alle decapitazioni di massa. La mitologia di Tolkien, a differenza di quella di Isis, è non-apocalittica in maniera forte. Lo scrittore inglese era consapevole del potenziale distruttivo dell’idea del potere legittimato dal trascendente e ne fa solo un uso strumentale. La vicenda di Aragorn, come detto, non è il centro del romanzo e si conclude addirittura fuori di esso. Sono gli Hobbit e Frodo i protagonisti della storia ed di loro che si narrano le vicende.
Ma per molti lettori, a quanto pare, persiste il brivido di trovare un re a cui poter consacrare la propria spada senza scrupoli o esitazione. Infatti, si sostiene talvolta che la «politica palesemente adolescenziale» della Terra di Mezzo di Tolkien rappresenti un modello vero e valido per alcune persone nel mondo reale. Anche in Italia per lungo tempo questa è stata l’idea predominante.
Greg e Tim Hildebrandt: "Elessar wedding"L’autorità legittimata dal sangue e le virtù miracolose legate alla discendenza diretta e all’imitazione del passato eroico, minano alla radice il concetto moderno di governo basato sul contratto sociale, che si è andato costruendo dall’Illuminismo a oggi. Il romanzo fa anche un’allusione indiretta a quest’aspetto del fascino verso il potere trascendente del re attraverso il personaggio di Arwen, la dama elfica promessa sposa di Aragorn. Dovendo scegliere tra l’immortalità elfica e una vita mortale col re nel nuovo regno restaurato, preferisce quest’ultima via. Le sue due identità in contrasto si risolvono in questo gesto eroico, con la scelta di Lúthien. Arwen sacrifica le conquiste più alte e le comodità della civiltà elfica per bruciare il suo passaporto…

 


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17 Comments to “L’Isis come Aragorn: in attesa del re”

  1. Luca ha detto:

    Articolo estremamente piacevole ma la tesi credo sia un po’ stiracchiata.
    A mio modo di vedere la legittimazione di Aragorn non proviene mai da fonti o aspetti trascendenti, così come in tutto il romanzo non si manifesta direttamente nessuna divinità. Nemmeno gli istari, che al limite potrebbero essere presi per rappresentanti dei Valar, hanno il ruolo di legittimare il ritorno del re. Certo, Gandalf si adopera perché tale ritorno avvenga, ma non si può dire che sia lui a legittimare l’incoronazione di Elessar.

  2. Giuseppe Scattolini ha detto:

    Due note: 1) Penso che l’intero articolo dia una lettura allegorica del testo tolkieniano, quindi valida sì ma anche no. 2) Non è detto che all’ipotesi del contratto sociale, che oggi è diventato la tecnica, dell’occidente, di cui in verità l’Isis è il figlio prediletto, si contrapponga esclusivamente l’idea medievale della legittimazione trascendente. E non è nemmeno detto che esista un solo significato di contratto sociale. Per esempio, invece che essere un costrutto tecnico figlio dell’ideazione di pochi e a cui molti delegano la propria libertà per riottenerla (Rousseau sulla libertà) potrebbe essere il giusto ordinamento statale voluto e dovuto in vista e in relazione alla natura dei suoi contraenti, e per questa definizione basata sulla natura non è detto che il re, come Aragorn, debba ricevere una legittimazione trascendente ma magari anche naturale, per cui in base a così come è la natura delle cose un popolo potrebbe decidere di essere governato da un re piuttosto che da un regime repubblicano, magari per garantire maggiore democrazia di quanta ne offrirebbe invece una repubblica. Tutto ciò è distantissimo dal nostro modo di pensare odierno (natura uguale estraneità, repubblica uguale democrazia) ma io credo sia non solo il modo di pensare più lontano dal pensiero tecnico ma anche il modo più vicino di rapportarsi alla realtà dell’opera tolkieniana, che è essenzialmente pagana (Testi) e quindi priva di un orizzonte trascendente. Anche fossero i Valar i legittimatori del regno di Aragorn, non sarebbe comunque una legittimazione trascendente. Oltre a questo, la definizione del contratto sociale basata sul concetto di natura e non su quello di costruzione artificiale così come io l’ho data non legittima l’Isis, perché seppur chiunque abbia diritto a essere governato da chi vuole, anche fosse un califfo, non ha però il diritto di dire agli altri quale sia la propria natura e la natura dello stato migliore per loro. Perciò l’idea del califfato dell’Isis è contraddittoria e quindi contrastante con l’ordine naturale.

  3. Alqua ha detto:

    Più che un’allegoria, mi pare un’analogia un po’ troppo flebile.

    L’ISIS e il suo califfato hanno magari un aspetto dell’ideologia della discendenza dal profeta (o simili), ma prevalgono, a mio estremamente modesto parere:
    – prima di tutto, dall’interno, il Corano letto sine glossa, nelle parti che giustificano ogni violenza in nome di dio,
    – poi, dall’esterno, l’idea evidenziata a suo tempo da Feuerbach (e da altri) dell’alienazione religiosa
    – ancora dall’interno, odi e odio repressi/o verso la secolare ingerenza dell’Occidente nei paesi islamici e verso la povertà culturale e sociale stessa in cui gli ‘adepti’ vivono
    – quindi (soprattutto per i foreign fighters, ma anche, paradossalmente, per gli stessi popoli islamici che, senza volere o senza capirlo, hanno assorbito questo tratto della cultura contemporanea europea), il nichilismo di origine europea del superuomo e il nichilismo esistenziale che, promettendo all’uomo la liberazione dai limiti (in modi diversi, ma sempre privi di vera speranza) lo spingono verso un’autosufficienza disperata e suicida (in cui l’idea di Dio è ancora una volta una proiezione)
    – direi, anche, il disorientamento morale radicale, che sorge nella postmodernità e che togliendo ogni riferimento etico fisso e stabile produce reazioni uguali e contrarie.

    Infine, per ritornare ‘sul pezzo’. Vedo molto più appropriata un’applicabilità del destino dei Numenoreani con Sauron e dei popoli dell’est e del sud che a Sauron si alleano, piuttosto che, secondo me, poco probabili analogie con Aragorn e la sua regalità. Mentre per il tipo di violenza esercitato senza dubbio gli Orchi troverebbero degni concorrenti in quella gente, con la differenza che la fedeltà cieca al capo o al dio pare molto più convinta nei servitori dell’ISIS che in quelli dell’Oscuro Potere.

    • redazione ha detto:

      Caro Alberto,
      sono d’accordo con te su tutta la prima parte del commento – all’inizio questa cosa è anche scritta (“Tutto parte dalla palese e incontestabile attrazione che il sedicente Stato Islamico esercita su migliaia di giovani in Europa… l’emarginazione e l’alienazione delle minoranze musulmane in Occidente… Non è difficile vedere l’Isis come un’altra raccapricciante conseguenza del moderno capitalismo..”), come è scritto che ci concentravamo solo su un aspetto.
      Infatti, il punto dell’articolo è un altro: un proclama di regalità con investitura trascendente.
      Nella seconda parte del commento, è vero, c’è un’applicabilità anche ai Numenoreani e Sauron, ma è incontestabile che nel Signore degli Anelli Aragorn brilla come «un re che tornava nel suo Paese dopo un lungo esilio».
      Un saluto
      Roberto

      • Alqua ha detto:

        Il ritorno del Re dopo un lungo esilio e la sua investitura trascendentale, è un ‘luogo narrativo’ di immemorabile origine, e quindi ci potrà anche stare (è un carattere che troviamo, per l’imperatore romano, dal punto di vista antropologico per il papa, per vari re e profeti – anche ‘laici’ – o simili in molte culture e in molte epoche), ma nel caso dell’ISIS le variabili connesse con quanto ho accennato nel mio commento rendono il fattore del ‘ritorno del re’ e della sua investitura trascendente un elemento secondario tra tanti altri (e utilizzabile, magari anche meglio, in molti altri casi del tutto differenti) per inquadrare la situazione.

        • redazione ha detto:

          Alberto: «nel caso dell’ISIS… il fattore del ‘ritorno del re’ e della sua investitura trascendente un elemento secondario tra tanti altri … per inquadrare la situazione».

          È qui l’errore. Nel mondo islamico, non ci sono molti casi di qualcuno che si è proclamato Califfo, discendente del profeta e ispirato direttamente da Dio. E in quei pochi casi la cosa ha avuto una risonanza notevole perché chi lo faceva, di solito, aveva già un seppur piccolo dominio territoriale. L’essere califfo e accettato come tale ha fatto sì che abbia allargato enormemente il numero dei suoi sudditi e fedeli e soprattutto ha dato un carattere carismatico che gli avversari non potevano avere.
          Da quando Aragorn fa la sua “uscita ufficiale”, diciamo così, Eomer lo guarda con occhi diversi. E lo stesso accade ai tanti cittadini di Minas Tirith, per non parlare di Faramir, come scritto nell’articolo. Il parallelo è tutto qui (insieme al discorso dei 1000 anni) e qui finisce.
          Tolkien, da scrittore moderno, è ben conscio di questo “archetipo narrativo” e ne fa un uso limitato, non si spinge oltre e ne fa una linea marginale del racconto corale della Guerra dell’Anello. Molte delle azioni di Aragorn vengono infatti descritte a posteriori e non sono tipiche “gesta eroiche”, ma rappresentano più una crescita del personaggio.

          • Alqua ha detto:

            Nel mondo islamico ci sono state in varie epoche, credo, questi tipi di rivendicazioni (anche perché con la politica così intrecciata con la religione è quasi automatico), credo che la nascita degli sciiti si sia originata da qualcosa del genere. Ma, ripeto, AMMMP, si tratta di un elemento secondario e diverso rispetto al ritorno da re di Aragorn, in cui non c’è nulla di religioso, in pratica, né tanto meno c’è una componente di prepotenza, dominio, odio, violenza(in fondo) fine a se stessa, e neppure serie e condivise speranze ultraterrene.

          • redazione ha detto:

            Caro Alberto, dipende dalle letture che si fanno del romanzo. Per alcuni c’è qualcosa di religioso nel ritorno del re…
            Naturalmente, come ho scritto, Le similitudine finiscono qui, perché Aragorn non poi un despota.
            Un saluto
            Roberto

  4. elisabetta ha detto:

    E se desiderare di avere una sicurezza concreta bruciando i passaporti fosse solo il tentativo di cambiare la realtà di una struttura sociale che vede l’uguaglianza unicamente formale e non sostanziale degli individui? E se il fascino di un’identità integra, definibile con certezza nel tempo fosse solo il tentativo dell’individuo di riuscire a percepire la propria biografia in termini di unicità, vale a dire di differenziazione da “altro”, comunque quest’altro venga definito? Sembra il ritratto dell’individuo postmoderno: un soggetto alla continua ricerca della libertà individuale attraverso cui rappresentarsi e allo stesso tempo schiacciato in una struttura sociale che anche quando viene negata continua a determinare chi detiene il potere di definire e chi di essere definito. Grazie alla scelta che Arwen compie, Aragorn sembra diventarne la metanarrazione, il fuoco totalizzante su cui immolare il proprio passaporto, ma la fine sembra rivelarsi più destrutturata della scelta iniziale. L’amarezza l’assale quando arriva a comprendere che i differenti frammenti di esperienza alla fine devono comunque essere integrati in un’unica prospettiva, in un processo del divenire in cui la possibilità di infinite vite diverse, sempre immerse nel presente, scompare. Lei non ha potuto, ne voluto tornare indietro, ed ora? Sarà davvero una scelta irreversibile per tutti?

  5. D. ha detto:

    Ovvio che è una tesi “un po’ stiracchiata” – per citare il primo commento- quella della legittimazione divina di Aragorn, e infatti gli unici ancora ad esserne accesi sostenitori sono i camerati (o chi a quella corrente di pseudointerpretazioni Allegorico/Tradizionali/Spirituali/”Blablabla con tante maiuscole” si richiama), che per quanto riguarda Tolkien di “tesi stiracchiate” ne hanno a bizzeffe, per non dire di peggio.
    E infatti, mi sembra, lungo tutto l’articolo l’autore con discrezione lascia trapelare il suo scetticismo e il discredito di cui “gode” questa tesi tra la critica. Il punto non è tanto questa tesi in sé, quanto il fatto che può portare con un filo diretto dall’esaltazione di Aragorn (Re per elezione divina, potere assoluto-sacrale cui tutti si sottomettono che riporta agli antichi splendori un reame decaduto e corrotto ecc…) all’accettazione delle pretese teocratiche del “califfato” di Al-Baghdadi – ed è un fatto “curioso”, perché in genere i fautori della prima tesi sono i “baluardi” dell’autarchia religiosa e culturale, del fascismo più o meno mascherato, del bigottismo chiesastico.

    Articolo davvero interessante, che, a mio modo di vedere, mostra ancora una volta l’incoerenza, l’insensatezza e la pericolosità di certe letture di Tolkien. Uno sprone in più per tutti noi per studiarlo seriamente!

  6. Chiara ha detto:

    Innanzitutto mi trovo sostanzialmente d’accordo con le considerazioni fatte da Alqua; vorrei soltanto fare qualche precisazione sia sulla concezione medioevale del potere regale, sia sulla figura di Aragorn e sul suo significato per Tolkien.
    1)La storica del medioevo e Accademica di Francia Regine Pernoud spiega come durante l’età feudale il re fosse non un monarca assoluto, ma piuttosto “signore dei signori”, ossia primus inter pares, secondo il modello espresso nella leggenda di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. la monarchia assoluta è un’invenzione dell’età moderna e inizia in Francia con Filippo il Bello che, non a caso, elimina i Templari.
    2) nella cncezione cristiana realizzatasi, seppur imperfettamente, nell’età di mezzo, non vi è una vera e propria teocrazia perchè la distinzione dei poteri si basa sulla frase di Gesù “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”; infatti vi furono sempre due poteri distinti quello del papa e quelllo dell’Imperatore ( che come sappiano spesso entrarono in contrasto) E’ vero che il potere regale aveva una legittimazione trascendente, ma nel suo intento questo doveva significare che anche il re è sottomesso ad una legge superiore alla propria e che il potere gli proviene da una Autorità più alta e pertanto non è assoluto.
    (A questo proposito credo che un esperto di Tommaso d’Aquino come Claudio Testi potrebbe spiegarci meglio il concetto)
    3)Arrivando al Signore degli Anelli penso anch’io che l’idea di una teocrazia si adatti molto di più a Sauron; lo dice Tolkien stesso nelle lettere:”Così, mentre continua la Seconda Età, abbiamo un grande regno e una malefica teocrazia (perchè Sauron è anche il dio dei suoi schiavi)” (lettera n.131) Il capo dell’Isis non si pone come dio, ma certamente considera la conquista del potere come un dominio assoluto più simile all’intento di un Sauron che non di un Aragorn che si limitò a governare Gondor lasciando ogni popolo libero di autogovernarsi ed esercitando soprattutto un potere di tipo morale, esttamente come era considerato quello del re in epoca feudale.
    4) Rispetto alle considerazioni dello stesso Tolkien egli oppone esplicitamente “la tirannia contro la regalità, la libertà con il consenso contro la costrizione che da tempo ha perso qualunque altro obiettivo che non sia il conseguimento del puro potere” (lettera n.144).
    In conclusione anche secondo me L’ISIS è figlio molto più del nichilismo postmoderno, unito certamente ad un fanatismo religioso strumentale, che degli ideali medievali

    • Giuseppe Scattolini ha detto:

      Sono d’accordo punto per punto, ottima analisi, compresa l’osservazione finale che condivido in toto.

    • redazione ha detto:

      Ciao Chiara, fortuna che ci conosciamo di persona così non ci saranno equivoci tra noi. 🙂
      MI dispiace smentirti, ma avevo fatto 9 esami di storia medievale all’università ed essendo appassionato di quel periodo storico, potrei citarti un centinaio di studi che smentiscono quel che dici. Alcuni dei più importanti studiosi al mondo di medioevo attestano la legittimazione trascendente delle regalità, da LeGoff a Bloch, da Duby a Kantorowicz. Basterebbe leggere due fondamenti della critica medievistica come “Les Rois thaumaturges” di Marc Bloch (1924) e “The King’s Two Bodies. A Study in Mediaeval Political Theology” (1957) di Ernst H. Kantorowicz per vedere come la regalità sia non abbia mai perso quel carattere divino che giungeva dall’Antichità (addirittura da egiziani sumeri) e che è passato perfino nell’Impero romano tramite il Culto Imperiale e la deificazione, da Cesare fino a Costantino. Addirittura, come retaggio della divinità del potere regale, lo stesso Costantino venne elevato dal nuovo culto cristiano al rango di “Isapostolo” cioè di “Eguale agli apostoli” per perpetuare la funzione religiosa dell’imperatore. Ancora di più, l’impero bizantino mantenne vive tutte una serie di usanze che sottolineavano l’origine divina del potere imperiale: la prosternazione (proskýnesis) o il gettarsi a terra in atto di adorazione di fronte all’incarnazione terrena della potenza divina. L’Imperatore di Bisanzio era un monarca assoluto, la cui autorità veniva considerata di origine divina.
      L’atto di fondazione del Sacro Romano Impero, cioè l’incoronazione di Carlo Magno a Roma la notte di Natale dell’800, quando inaspettatamente, il papa Leone III cinse il suo capo con una corona, è fonte di annosi dibattiti da parte degli studiosi. Uno dei motivi di risentimento del re dei Franchi che già governava su gran parte dell’Europa occidentale era accettare che il suo potere avesse un’origine religiosa anziché terrena. Il Papa con quel gesto sottolineava il principio della regalità per “diritto divino”: i sovrani venivano proclamati tali “Per Grazia di Dio”. Alla lunga, vinse questa visione e la lotta per le investiture dei secoli seguenti portò alla priorità del potere divino su quello terreno. Nel 1200 il Papa era talmente forte da poter disporre di troni e regni a suo piacimento (e Federico II ne fece le spese!). Per molti secoli, re spagnoli, francesi e inglese hanno rivendicato l’origine religiosa del proprio potere, e ne sottolineavano il primato fin dai titoli che assumevano: “Il Re Cristianissimo”, “Re Cattolicissimo”. I re taumaturghi erano i re francesi e quelli inglesi, ai quali, fino almeno alla prima metà del XVIII secolo, erano attribuiti poteri di guarigione dovuti alla natura divina della regalità.
      E non finisce qui: l’idea del “primus inter pares” era sparita già dai tempi primordiali pressi romani e greci e di questo parla James Frazer nel suo “Ramo d’oro”. Tra i popoli germanici resistette finché non si entrò in contatto con l’Impero romano. Il concetto del “primus inter pares” si modificò già dal I secolo d.C. (tra l’altro “Signore degli Anelli” era proprio un dei titoli che caratterizzava la funzione del re nei confronti dei guerrieri della sua sippe). Il concetto portato avanti dalla Tavola rotonda di re Artù era un’ideale, una reazione, un ritorno proprio a quell’idea del “primus inter pares” dei popoli germanici. Il tema dei romanzi del ciclo arturiano è proprio la dimostrazione di come l’ideale alla fine fallisca…
      Un saluto
      Roberto

  7. adolfo morganti ha detto:

    Cari amici, la vostra costante ossessione di screditare qualcosa che esiste solo nelle vostre teste, la grande congiura dei camerati, vi ha portato a paragonare due cose opposte facendole passare per parallele. Un esempio di metodo… In tutta sincerità né la teologia politica wahabita, né la concezione medievale della regalità sacra si rintracciano in questo scritto. Non so pertanto cosa commentare, se non che in democrazia ognuno scrive quello che vuole.

    • redazione ha detto:

      Hai ragione Adolfo,
      ma il tuo commento dimostra proprio che se si applica una sovrastruttura Tradizionale al romanzo, Aragorn diventa né più né meno un fanatico religioso. E questo sicuramente Tolkien non lo ha scritto né mai pensato! 🙂
      Un saluto
      Roberto

      • adolfo morganti ha detto:

        Beh, il concetto stesso di “sovrastruttura” qui da per scontato una visione del mondo, certamente opposta a quella di Tolkien.

        • redazione ha detto:

          Sono d’accordo con te, lo stesso scrittore criticava l’applicabilità che si faceva del Signore degli Anelli. Per anni in Italia, se ne è fatto un largo uso senza che nessuno si opponesse a una visione così distorta. Ora l’aria è cambiata.
          Un saluto
          Roberto

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