Tutto pronto per la nuova edizione di Lucca Comics & Games, il Festival internazionale dedicato al fumetto, al gioco e all’illustrazione, che si terrà a Lucca dal 28 ottobre al 1 novembre. Come ogni anno, l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani tiene i suoi seminari durante Lucca Comics & Games, all’interno di Lucca Games Educational con l’obiettivo di approfondire alcuni aspetti delle opere di J.R.R. Tolkien, anche su tematiche meno conosciute. Il tema di quest’anno sarà «I Signori della Terra di Mezzo». E quest’anno sarà anche l’occasione di avere un’anteprima sul nuovo libro della Collana «Tolkien e dintorni» della casa editrice Marietti 1820, che contiene una raccolta di preziosi scritti dell’autore del Signore degli Anelli tradotti per la prima volta in italiano. Il volume è in uscita in questi giorni,e sarà possibile acquistarlo allo stand dell’AIST nel padiglione Games di viale Carducci, stand A29. Il libro, curato da Roberto Arduini e Claudio Testi, con postfazione di Michaël Devaux, presenta le traduzione di tre testi di J.R.R. Tolkien sulla reincarnazione degli Elfi realizzate da Giampaolo Canzonieri, Lorenzo Gammarelli, Alberto Ladavas.
J.R.R. Tolkien
LA REINCARNAZIONE DEGLI ELFI E ALTRI SCRITTI
A cura di Roberto Arduini, Claudio Antonio Testi
Illustrazione di copertina: Ivan Cavini
Collana: Tolkien e dintorni
Anno di edizione: 2016
Formato: 14×21
Pagine: 112
I SIGNORI DELLA TERRA DI MEZZO:
LA REINCARNAZIONE DEGLI ELFI – Venerdì 28 ottobre ore 14:00-16:00, di Claudio Testi, filosofo, segretario dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici, vicepresidente dell’AIST, saggista e membro del Comitato scientifico della collana “Tolkien e Dintorni” della casa editrice Marietti.
La tematica dell’immortalità degli Elfi è una di quelle che più affascinano gli appassionati. E la reincarnazione, è di enorme importanza per la comprensione del legendarium, tanto che ha impegnato Tolkien per oltre sessant’anni, e non senza motivi. La tematica è infatti centrale per comprendere le relazioni tra la morte umana e l’immortalità elfica (intesa come perenne legame degli Elfi a Arda, in anche se uccisi potevano tornare reincarnandosi) in quanto era essenziale per l’autore rendere credibile il “meccanismo” del ritorno post-mortem degli Elfi. Da essa dipendeva la stessa portata letteraria dell’opera, che altrimenti ne avrebbe patito, perché non sarebbe stata in grado di suscitare nel lettore quella credenza secondaria necessaria per poter “entrare” all’interno della sub-creazione artistica. Il relatore si concentrerà pertanto sulle tecniche che permettono agli Elfi di tornare comunque in vita se uccisi. Tolkien cambiò idea diverse volte e alla fine modificò anche alcuni miti del suo legendarium per armonizzare gli scritti. | Per iscriverti a questo seminario vai qui.
La recensione
CONTENUTO E COMMENTO: Il volume J.R.R. Tolkien, l’effiges des Elfes di Michaël Devaux (Bragellone, Paris, 2014) è in realtà il terzo numero di La Feuille de la Compagnie, una rivista francese di studi tolkieniani curata e promossa da Michaël Deavaux.
Il titolo del numero è ispirato a un’idea di Tertulliano che considera l’anima come “effige” del corpo” il che, secondo Devaux, è un concetto particolarmente utile per capire le idee di Tolkien sulla reincarnazione degli elfi e le relazioni tra anima razionale (fëa) e corpo (hröa) (p. 81).
Il contenuto intero del volume è già stato segnalato in rete, ma qui ci vorremo soffermare criticamente sulla sola introduzione di Michael Devaux e Carl F. Hostetter e la parte di testi inediti di Tolkien, curati dai due studiosi.
La lunga introduzione (pp. 23-94), che diventerà un punto di riferimento negli studi tolkieniani riguardanti il difficile tema della reincarnazione degli Elfi, è divisa in tre parti:
1- la Emendatio, in cui si spiegano i principi editoriali usati nella curatela testuali;
2- la Enarration, ove si descrive il contenuto dei medesimi e si spiegano certe scelte traduttive, il tutto corredato da preziosissime e precise tabelle comparative che mostra la complessa evoluzione che l’idea del ritorno degli elfi ha avuto all’interno del Legendarium, nonché un glossiario di termini elfici curato da Hostetter;
3- Il Iudicium, in cui usando un punto di vista esterno alla narrazione si paragonano le idee elfiche circa la reincarnazione in particolare con la traduzione cattolica, rilevando le differenze e si analizzano alcune questioni annesse a questi temi tra cui l’idea di únethar (simile al concetto di isotopo), il senso dell’identità dei corpi ricostruiti (cfr. sotto) e questioni geografiche circa la collocazione di Aman (paragonata nei testi all’America!).
Riguardo ai testi tolkieniani qui editi, si tratta di una serie di testi estremamente importanti la cui esistenza e contenuto sono noti da tempo perché segnalati da Christopher Tolkien nella History of Middle-earth (cfr. sotto), ma averli qui nella versione integrale (in francese, ma con il testo a fronte originale di Tolkien) è di enorme valore e interesse. Il volume pubblica per la prima volta i seguenti brani, raccolti in tre parti:
I- The Converse of Manwë with Eru concerning death of the Elves and how it might be redressed: with the comments of the Eldar added (pp. 94-137), testo del 1959, già in parte pubblicato in Morgoth’s Ring pp. 361-366, ma che qui viene proposto nelle sue tre versioni (che indicheremo con: Converse A-B-C)
II- Re-Incarnation of Elves (pp. 138-149, che citeremo come: Reincarnation), scritto tra il 1959 e il 1966, di cui accenna il contenuto in Morgoth’s Ring p. 363-364, e nel quale Tolkien riflette “in prima persona” sul meccanismo del ritorno degli elfi nei suoi scritti. A questo testo segue (pp. 150-154) The Númenórean Catastrophe & End of ‘Phisical Arda in cui Tolkien avanza l’ipotesi che, quando Númenór fu affondata, Aman non fu rimossa da Imbar (il pianeta Terra) ma divenne l’America [sic.!].
III- pp. 154-159 Some Notes on ‘rebirth’, reincarnation by restoration, among Elves. With a note on the Dwarves, un appunto scritto anche questo “in prima persona” da Tolkien nel 1972, il cui contenuto è forse accennato in Peoples of Middle-earth 390-391 (in cui Christopher Tolkien corregge quanto aveva detto circa la Reincarnation (cfr. sotto). Nella nota sui Nani si ipotizza che nella reincarnazione di Durin il medesimo spirito torna nel medesimo corpo che si preserva nel tempo (senza necessità di rinascita nei figli o ricostituzione (cfr. sotto)
Già dai titoli e dalle date, si può capire quanto il tema della reincarnazione degli elfi abbia interessato e “affaticato” Tolkien, che ha di molto mutato le sue concezioni iniziali fino a quella che appare essere la sua posizione “definitiva” del 1972, per quanto l’idea della reincarnazione degli elfi non appaia in nessuno scritto pubblicato da Tolkien quando era in vita. Per collocare “storicamente” il tema occorrerebbe uno studio dedicato (cosa che in parte abbiamo già fatto in altre sedi), ma qui possiamo sinteticamente dire che, stando all’interno del Legendarium:
1°. Dal 1914 fino al 1957 (in base ai testi pubblicati nella History of Middle Earth: cfr. Shaping, Sketch p.21, MR LawsB p.223) si afferma senza particolari esitazioni che gli Elfi, per natura eternamente legati a Arda, quando muoiono si reincarnano e rinascono come nuovi figli di altri Elfi. È l’idea del “rebirth”, che i lettori apprendono solo nel 1977 (anno di pubblicazione del Silmarillion) e nell’epistolario di Tolkien. Nel 1954, infatti, durante una conversazione con il signor Hastings (responsabile di una libreria cattolica che distribuiva la Fellowship of the Ring appena uscita), Tolkien accenna a questa prospettiva suscitando grande perplessità in Hastings, che scriverà poi a Tolkien per avere in merito alcuni chiarimenti in merito. In un abbozzo di lettera del 1954 scrive Tolkien: «La “reincarnazione” può ben essere cattiva teologia (sicuramente questo, piuttosto che metafisica) se è applicata all’umanità […]. Ma non capisco come persino nel Mondo Primario un teologo o un filosofo, a meno che non siano più informati sui legami tra spirito e corpo di quanto io non creda possibile, possa negare la possibilità della reincarnazione come modo di esistere, prescritta per alcuni tipi di creature razionali incarnate […]. Questa è una legge biologica del mio mondo immaginario (Lettere n. 153)»
2°. Nel 1957 circa, nonostante queste perentorie affermazioni, la questione della reincarnazione per rinascita inizierà proprio in questo periodo a essere messa in discussione dallo stesso Tolkien. Dapprima nelle Laws and Customs among the Eldar, egli ci offre un estremo tentativo di “sistemare” la teoria della rinascita; facendo questo, tuttavia, egli si imbatte ineludibilmente nelle tante “assurdità” implicate dalla medesima. Si tratta dapprima di aporie di natura morale/sociale che riguardano il fëa di Elfi già sposati: ed ecco che per evitare una sorta di possibile “bigamia”, viene introdotto il giudizio di Mandos, che non lascerà tornare chi non desidera riunirsi al proprio consorte ancora vivo (MR LawsA p. 227). Emergono inoltre problemi di natura “psicologica”: in caso di rinascita l’elfo infatti riacquisterà man mano memoria anche della precedente esistenza, e quindi si ritroverà contemporaneamente anche con quattro genitori diversi (due per ogni vita) (MR LawsB pp. 221-222).
3°. Nella Converse del 1959, qui pubblicata da Devaux nelle tre versioni, assistiamo dopo cinquant’anni a una prima svolta, dato che si conferisce ai Valar il potere di far tornare gli Elfi in un corpo adulto formato dai Valar stessi, mentre la rinascita diverrà solo “una” via (non più l’unica). Per la precisione (cfr. Converse C):
A) A se gli elfi morti non accettano di tornare da Mandos il loro fëa resta uno spirito vagante nella Terra di mezzo (sono i “pericolosi” Houseless, da non confondersi coi Lingerers, quegli Unbodied che col tempo hanno consumato il corpo: cfr. MR LawsB pp. 223-224);
B) Se invece accettano di tornare da Mandos allora:
B.1) se sono “innocenti” possono scegliere se
b.1.1) non tornare oppure
b.1.2) tornare nel corpo, e in quest’ultimo caso, possono scegliere come “mezzo”:
b.1.2.1) la rinascita nei figli che deve sempre essere approvata da Eru e che presuppone in chi la sceglie piena consapevolezza delle problematiche “psicologiche” che questa via comporta (pp. 132-134), e che non poter tornare dalla loro sposa o prendere altra moglie: (come da istruzione ricevuta dai Valar pp. 134-136) oppure
b.1.2.2) il “rientro” in un nuovo corpo ricostituito dai Valar e “identico” [cfr. infra] al precedente. Questa ricostituzione può essere effettuata perché il fëa elfico porta “memoria” del corpo (cfr. p. 132 e il titolo del volume).
B.2) gli elfi hanno commesso errori o malvagità nella loro vita (wrong-doers: p. 132) non sono liberi di tornare nel loro corpo: i Valar possono tuttavia provare a rieducarli” e nel caso questo avvenga con successo, possono tornare in un corpo ricostruito.
4°. dal 1959 al 1966: la complessità della Converse (con queste differenti possibilità) resta anche negli scritti ma viene eliminata la via della rinascita come possibile “meccanismo” di ritorno (b.1.2.1). Ciò che risulterà davvero decisivo per portare Tolkien a rifiutare definitivamente la tesi della rinascita (oltre alle problematiche genitoriali e psicologiche già intraviste nelle Laws) è il principio metafisico dell’armonia tra hröa e fëa. Questo viene riaffermato con decisione nel Commento all’Athrabeth (MR 330) e sarà la ragione fondamentale del rifiuto della rinascita nei figli nella Reincarnation, qui edita da Devaux (p. 138). In questo scritto si avanza tuttavia una nuova ipotesi: ovvero che è nel potere del fëa di ricostruire da sé il proprio corpo e questo, nel 1966, appare a Tolkien l’ipotesi più plausibile (Reincarnation, 144-146)
5°. Infine nel 1970-72 il rifiuto della rinascita a favore della “ricostituzione” di un nuovo corpo verrà confermato nello scritto Glorfindel (1970-72, in Peoples 377-385, p. 385) e in Notes on ‘rebirth’ qui per la prima volta pubblicato (1972). Qui si attribuisce l’idea del “rebirth” a errate tradizioni umane, e non si parla più di ricostituzione del corpo (hröa) da parte del fëa, e si ripropone il ruolo dei Valar in questa ricostruzione (pp. 154-156).
I Pregi
Grazie a Devaux e Hostetter possiamo finalmente leggere questi scritti uno di seguito all’altro. Consigliamo ai lettori di leggerli “tutti di un fiato” perché così facendo non potranno che restare ammirati dalla incredibile complessità e profondità dell’opera tolkieniana. E di sicuro nasceranno tanti interrogativi e perplessità: cosa sta facendo Tolkien, della letteratura o della filosofia? Come e perché si è potuto arrivare a un tale livello di dettaglio concettuale nella sub-creazione del Legendarium? Sono tutte domande che meritano ben più spazio per un seppur primo tentativo di risposta. Certo è che grazie a quest’opera Devaux e Hostetter mostrano ancora una volta come Tolkien, specie a partire dagli anni 1958 (l’anno dopo sarebbe andato in pensione) iniziò a produrre tantissime riflessioni essenzialmente filosofiche e teologiche sulla sua opera, che non possiamo semplicisticamente considerare un gioco ozioso o pura “fiction”.
Devaux inoltre scrive una pregevolissima introduzione al volume, che di sicuro gli meriterà un posto di riguardo negli studi tolkieniani, vista la vastità di riferimenti bibliografi e le precise analisi testuali che ci offre. Le sue note sul concetto di identità sono a nostro avviso “strabilianti”: egli infatti “dimostra” che le idee e definizioni di Tolkien ricalcano grandemente il principio della identità degli indiscernibili in Leibniz (pp. 38 sgg.): Devaux non si spinge a dire con certezza che Tolkien lo avesse letto, ma l’evidenza testuale è quasi “cogente”. Di grande interesse sono anche i passaggi in cui lo studioso francese mostra che alcune idee tolkieniane circa la materia (quando parla di únehtar) corrispondono al concetto scientifico di “isotopo” (pp. 87 sgg): emerge così anche la non banale (e assai sottostimata) cultura scientifica di Tolkien. Devaux poi giustamente osserva come l’idea di “ricostituzione” del corpo elfico sia una concezione che (ben più che la rinascita nel figli) si avvicina al dogma cristiano della resurrezione dei corpi: al proposito elenca le similitudini e differenze tra Resurrezione e reincarnazione per ricostituzione, ricordando che la resurrezione riguarda tutti gli uomini (mentre la ricostituzione solo alcuni elfi) e che questa avviene solo alla fine dei tempi dopo il giudizio finale (pp.85-86).
Limiti
Nella splendida introduzione di Devaux abbiamo riscontrato due punti problematici, che ci occorre segnalare. Il primo riguarda l’identificazione tra fede ed estel, che lo porta a dire che Aragorn (chiamato anche Estel) «non è semplicemente considerato portatore di speranza, ma portatore della Fede in Eru e come strumento della Provvidenza» (p. 44). Questo però non scontato perché: a) estel indica proprio la speranza radicata nella natura degli elfi, la quale è differente sia da amdir (la semplice previsione di certi eventi in base a certi fatti) e all’Antica Speranza (tradizione umana del popolo di Marach che riguarda il possibile ritorno di Eru un Arda per guarirla: cfr. MR pp. 320-321). Estel quindi non è quindi strettamente legata a Eru, né tantomeno alla Provvidenza (parola completamente assente nel Legendarium).
Inoltre, nella sua comparazione tra resurrezione e ricostituzione, si sarebbe potuto sottolineare con maggior precisione (cfr. p. 79) una differenza importante: infatti nella resurrezione dei morti rinasce il medesimo corpo dell’uomo (questo lo si vede bene nel dipinti medievali in cui le tombe si scoperchiano), mentre nella “ricostituzione” il corpo dell’elfo (per quanto simile) è per forza materialmente diverso, visto che la maggior parte degli Elfi muoiono nella Terra di mezzo ma rinascono sempre in Aman, da cui poi possono (Glorfindel) o meno (Finrod) ritornare nella Terra di Mezzo; senza contare che nella resurrezione finale il corpo verrà “misteriosamente” reso incorruttibile dal tempo (cfr. 1 Corinti 15,50).
Conclusione
Il volume ci fa riflettere su una delle questioni più dibattute negli ambienti tolkieniani: e del resto l’idea di reincarnazione è presente (pur in diverse formulazioni) in tante culture pagane e/o contemporanee, dalla filosofia greca (Pitagora e Platone) alla New Age, dal buddhismo all’induismo o alla Teosofia. Restando in ambito tolkieniano ci pare di poter dire sinteticamente che i punti da tener presente per comprendere adeguatamente la questione sono i seguenti:
1) la reincarnazione degli elfi è presente nella costruzione del Legendarium in ogni sua fase;
2) nonostante lo sviluppo che ci mostra il testo, le idee tolkieniane in merito sono sempre diverse dalla cristiana resurrezione dei morti ove è il medesimo corpo che risorge (cfr. supra), in cui la resurrezione finale riguarderà tutti (saggi o malvagi che siano) sarà con un corpo “glorioso” (idea questa che resta fuori dall’orizzonte del Legendarium);
3) nel Legendarium non si parla mai di reincarnazione di fëa in animali o piante (diversamente dalle tradizioni pitagoriche), né Tolkien non parla mai esplicitamente di reincarnazione degli uomini (nemmeno nei Notion Club Papers: cfr. Sauron Defeated p. 278);
4) l’abbandono della rinascita nei figli a favore dell’idea di ricostituzione del corpo, avvicina il “meccanismo” di reincarnazione elfica a quello della resurrezione dei corpi, perché nella ricostituzione il fëa non può andare in corpo completamente diverso dal precedente;
5) Tolkien, specie nelle “Notes” usa la parola Reincarnation con una certa libertà, perché
a) come esempio di ritorno dopo quello degli elfi accenna anche a quello di Beren e Luthien (Reincarnation p. 144), ove (anche dopo un esame delle varie versioni del loro mito, dal Lay of Leithian fino al Later Silmarillion e oltre) non è ben chiaro se si tratta del loro ritorno nel medesimo corpo (e nel caso sarebbe una “resurrezione” proprio come quella di Lazzaro narrata nel Vangelo di Giovanni c. 11) o in corpi diversi ricostituiti (e in questo caso già nella prima fase del Legendarium si avrebbe per loro l’idea di “ricostituzione” di un nuovo corpo);
b) se lo spirito di Durin ritornasse sempre nel medesimo corpo (p. 158), anche qui si avrebbe più una pluri-resurrezione che una reincarnazione.
Alla luce di quanto sopra, il volume risulta essere ancor più di una enorme e importanza per la comprensione dell’opera tolkieniana in cui:
I- La reincarnazione degli elfi in Tolkien è un elemento necessario perché gli permette di tematizzare come nessun altro il tema fondamentale del Legendarium, che quello di morte (umana) e dell’immortalità (intesa elficamente come legame costante con la storia di Arda) [1];
II- la “reincarnazione” nel Legendarium resta sempre distinta sia dalla cristiana resurrezione dei corpi [2] sia da altri tipi di reincarnazione [3], ma la “ricostituzione del corpo” rispetto al “re-birth” avvicina e “armonizza” la reincarnazione elfica alla resurrezione [3)-4)];
III- Ciò che spinge Tolkien a questi cambiamenti non sono convinzioni “confessionali” [cfr. la libertà rivendicata a nella risposta a Hastings citata sopra], ma motivazioni del tutto interne alla ricerca di coerenza del mondo secondario [ovvero le aporie “multi-genitoriali” e psicologiche del “re-birth” rilevate nelle Laws e ribadite in Reincarnation e Some Notes, e l’armonia hröa e fëa], anche perché Tolkien usa alle volte in modo piuttosto libero (e filosoficamente inesatto) i concetti di “reincarnazione” e “resurrezione” [6)].
LINK ESTERNI
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