Il periodo natalizio è spesso periodo di recite scolastiche: vi proponiamo oggi il resoconto di una recita molto speciale, tolkieniana, parte del progetto C’è un Hobbit a Pontelago… in corso presso la Scuola Primaria “Carmine della Sala” di Pontelagoscuro (FE). Curata dalla socia e saggista AIST Elisabetta Marchi, chi ancora non conoscesse questa splendida iniziativa può ripercorrerne i passi qui, qui e qui.
Il meraviglioso viaggio dei ragazzi nella Terra di Mezzo non si esaurisce con questa recita, ma riprenderà nel nuovo anno, perciò continuate a seguirci!
Ogni viaggio inizia da una parola
Quando a giugno di quest’anno mi hanno proposto di ampliare il progetto “C’è un Hobbit a Pontelago…” con l’inserimento di uno spettacolo teatrale legato all’iniziativa di AVIS non sapevo ancora quanto sarebbe stato bello e allo stesso tempo incredibilmente complicato.
Il progetto AVIS di Ferrara per le celebrazioni del 50esimo anniversario della fondazione della sede provinciale prevedeva che un filo unico avvolgesse lo spettacolo di tutta la Scuola Primaria “Carmine della Sala” di Pontelagoscuro. Una singola parola riflessa da ogni classe: solidarietà. Una parola così semplice eppure così difficile da declinare, “d’altronde, anche quando ci si può legittimamente ritenere parlanti efficaci e consapevoli della propria lingua, in realtà non sempre si è in grado di spiegare le ragioni di certe scelte lessicali, grammaticali o sintattiche.”(1)
Solidarietà, in fondo, cosa vuol dire? Come si può collegarla al mondo di Tolkien?
La Treccani definisce la solidarietà, tra le altre cose, come “L’essere solidario o solidale con altri, il condividerne le idee, i propositi e le responsabilità: s. d’intenti; la s. fra i compagni, fra i colleghi; manifestare a qualcuno la propria s.; dichiarare la propria s. con un collega; atto, gesto, manifestazione di solidarietà. In senso più ampio, su un piano etico e sociale, rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività nel sentimento appunto di questa loro appartenenza a una società medesima e nella coscienza dei comuni interessi e delle comuni finalità”. Questo è stato l’inizio del viaggio, il ponte che abbiamo cercato di costruire tra i due mondi e che ci ha portato fino a Brea:
“Brea era il villaggio principale della Terra di Brea, una piccola regione abitata, simile a un’isola in mezzo a un mare di terre deserte. Gli Uomini di Brea erano castani, ben piantati e piuttosto bassi, di carattere giocondo e indipendente; non dipendevano da altri che da se stessi. Tuttavia i loro rapporti con gli Hobbit, gli Elfi, i Nani e gli altri abitanti del mondo circostante erano più intimi e amichevoli di quanto non fossero (e non siano tuttora) in generale i rapporti abituali.”(2)
Ma chi sono veramente gli Hobbit, gli Elfi, i Nani? Come potevamo spiegarlo in modo semplice ad un pubblico che probabilmente non aveva troppa dimestichezza con questi popoli?
Ecco perché abbiamo deciso di iniziare lo spettacolo partendo proprio dalle domande, prima ancora che dalle certezze. E’ dunque una voce fuori campo che introduce la Terra di Mezzo riproponendo a un Hobbit solitario con un Libro Rosso i quesiti, gli entusiasmi e i dubbi che gli stessi alunni della V C avevano proposto nel corso del progetto ad ogni mio intervento.
“Voce fuori campo: “Dai, vieni, raccontaci della Terra di Mezzo, parlaci dei popoli che ci vivevano! parlaci degli Elfi! Avevano tutti l’arco? Come avevano i capelli? E i vestiti?
Parlaci dei Nani! E’ vero che anche le femmine avevano la barba? Usavano solo l’ascia?
E gli Hobbit! Quante colazioni facevano? Dormivano molto? Dove abitavano?
Gli Uomini invece, erano come noi? Come vivevano?”
Attraverso Lo Hobbit e le parole di Tolkien, gli spettatori vedono sfilare uno ad uno i popoli della Terra di Mezzo e dirigersi verso questa grande mappa, riproponendo al pubblico i propri pregi e i propri difetti.
Sono descrizioni brevi e stringenti che i ragazzi leggono cercando di trasmettere l’essenza del popolo a cui sentono di appartenere anche a chi non ha mai visitato questo mondo, un po’ come Gimli cerca di spiegare a Legolas il proprio arrivo alle caverne di Aglarond.
“Noi siamo i Nani. Noi siamo il popolo di Durin. Amiamo le cose prodotte dalle nostre mani. Amiamo la luce che risplende attraverso i marmi, le gemme e i cristalli e i filoni di minerali preziosi che scintillano sulle pareti lucide…”
All’interno dello spazio scenografico ogni popolo aveva inoltre una sua postazione, creata in classe assieme ai ragazzi divisi in gruppi, che rispecchiava il carattere della razza. Un luogo riparato e difeso in cui si collocavano le peculiarità che più li avevano colpiti. Ecco, ad esempio, come hanno immaginato quella degli Hobbit: ricca di fiori e steccati, tali da rendere orgogliosi qualsiasi giardiniere che si rispetti.
A differenza di quella degli Elfi, che gli stessi ragazzi hanno percepito talmente legati alla propria lingua da volerla riprodurre anche qui.
Ogni popolo (Elfi, Nani e Hobbit) dopo aver presentato brevemente se stesso, ha poi portato agli Uomini, guardiani della mappa della Terra di Mezzo, un grande cartello. Al suo interno i disegni colorati dai ragazzi e un frammento del messaggio attraverso cui ridare vita al sentimento di questa loro appartenenza a una società medesima.
Parole importanti, pronunciate dallo stesso Gandalf, che tutti noi abbiamo letto almeno una volta, per poi ritrovarle scolpite per sempre nel nostro cuore:
Grazie allo realizzazione di questo spettacolo teatrale il progetto si è arricchito di ulteriori attività didattiche in forma di laboratorio che hanno finito per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Interrogarsi sulle parole di J. R. R. Tolkien e i popoli della Terra di Mezzo ha sicuramente favorito la socializzazione e l’approccio degli alunni ai diversi tipi di linguaggio migliorandone le competenze linguistiche ed espressive. Un’esperienza indimenticabile per i ragazzi, ma anche per me, per le insegnanti e per tutti quelli che cercano di promuovere attività significative nelle quali i metodi caratteristici delle discipline si confrontano e si intrecciano tra loro favorendo l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. Il progetto “C’è un hobbit a Pontelago…” continuerà l’anno prossimo con altri interventi dedicati alle classi quinte della Scuola Primaria per concludersi poi a Marzo 2018 con l’inclusione di due classi della Scuola Secondaria di primo grado.
Elisabetta Marchi
Note:
1. Andrea Binelli, Lingua, semiologia e traduzione dall’inglese, Tangram edizioni scientifiche Trento, 2013
2. J. R. R. Tolkien, Lo Hobbit, Adelphi
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– Leggi l’articolo C’è un Hobbit a Pontelago: 3° puntata
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– Leggi l’articolo A Ferrara torna un Hobbit a Pontelago…
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LINK ESTERNI:
– Vai al sito dell’Istituto Comprensivo 6 Cosmè Tura di Pontelagoscuro (Ferrara)
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