Se il gennaio 2018 aveva inaugurato l’anno tolkieniano in grande stile con la nuova traduzione delle Lettere, anche il 2019 non sfigura: sono ben tre gli scritti del Professore con cui iniziare quest’anno, facenti parte delle cosiddette “opere minori” di Tolkien, ovvero Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, Le avventure di Tom Bombadil e Il cacciatore di draghi.
L’autunno 2018 è stato un periodo intenso per le pubblicazioni di testi di e su Tolkien, dalla Caduta di Gondolin al secondo volume di Tolkien e i Classici, e l’ondata si propaga nel nuovo anno, dove da oggi 2 gennaio i fan tolkieniani potranno immergersi nella lettura di ben tre libri riediti dalla casa editrice Bompiani.
I racconti che tornano nelle librerie
Il primo ritorno ad attirare l’attenzione è probabilmente quello delle Avventure di Tom Bombadil, volume ormai fuori catalogo da anni. Lettura dal tono spensierato come il personaggio che dà il nome alla raccolta, pone al centro dell’attenzione una delle creazioni più enigmatiche del legendarium tolkieniano, tanto che Claudio A. Testi (vicepresidente AIST), le ha dedicato una conferenza intitolata Chi è Tom Bombadil? tenuta sia come parte del corso Alla scoperta della Terra di Mezzo, presso l’Istituto Filosofico di Studi Tomistici nel 2013, che durante l’edizione del 2015 di FantastikA.
Il cacciatore di draghi vede in questa nuova edizione economica un testo revisionato, con una correzione dei refusi, accompagnato ancora una volta dalle illustrazioni di Pauline Baynes. A curare la riedizione di questa fiaba Lorenzo Gammarelli, saggista, traduttore e socio fondatore AIST, che l’ha approfondita anche nel saggio Dalla fiaba ironica a quella onirica: Farmer Giles of Ham e Smith of Wooton Major contenuto nella raccolta All’ombra del Signore degli Anelli (Delmiglio editore, 2016).
Il gran finale è Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, dove è stato ritradotto il testo di Tolkien, sempre accompagnato dalla prefazione di Wu Ming 4.
Queste nuove edizioni confermano nuovamente l’interesse rinnovato di Bompiani per le opere tolkieniane, in seguito all’acquisizione da parte di Giunti, che già nel 2017 per l’edizione ebook del Signore degli Anelli aveva accolto le nostre segnalazioni in merito a refusi ed imprecisioni. In attesa della pubblicazione della nuova traduzione della Compagnia dell’Anello, a cui l’AIST ha collaborato, si aggiungono così altri titoli all’esperienza della nostra associazione nella curatela e traduzione di testi del professore oxoniense (si vedano anche i saggi contenuti nei volumi La trasmissione del pensiero e la numerazione degli elfi e La reincarnazione degli elfi della casa editrice Marietti 1820, nonché le poesie nel libro C’era una volta lo Hobbit).
Intervista al nuovo traduttore del ritorno di Beorthnoth figlio di Beorhthelm
Esploriamo ora i dietro le quinte della novità più significativa di questo mese, con un’intervista al traduttore Giampaolo Canzonieri, socio fondatore e saggista AIST, a cui è stato affidato Il ritorno di Beorthnoth figlio di Beorhthelm. Canzonieri ha preso parte alla traduzione dei volumi La trasmissione del pensiero e la numerazione degli Elfi (contenente scritti di J.R.R. Tolkien), Tolkien e la Grande Guerra (di John Garth) e Tolkien l’uomo e il mito (di Joseph Pearce), pubblicati dalla casa editrice Marietti 1820 nella collana “Tolkien e dintorni”. Basandosi su queste esperienze, Giampaolo ha inoltre tenuto conferenze sulle difficoltà di tradurre i testi tolkieniani in varie occasioni negli ultimi anni, dalla più recente manifestazione FantastikA 2018 con l’intervento Aspettando la nuova traduzione de Il Signore degli Anelli assieme a Loredana Lipperini al TolkienLab di Modena Tolkien: Traduzioni, Tradizioni, Tradimenti, alla Bologna Children’s Book Fair 2017 durante il convegno Camminare tra gli Elfi: le difficoltà di tradurre J.R.R. Tolkien (a cui avevano preso parte anche Roberto Arduini e Lorenzo Gammarelli) e durante uno dei Tolkien Seminar di Lucca Comics and Games 2017, con l’intervento Dal Signore degli Anelli al Silmarillion: le difficoltà di tradurre J.R.R. Tolkien.
Come sei diventato il traduttore del testo?
Quasi per caso, in verità. Fra le pause di un incontro con Bompiani convocato per discutere di altri argomenti, l’Editore ci ha parlato dei piani editoriali “tolkieniani”, e vista la presenza di Wu Ming 4, curatore del libro, si è parlato della possibilità di una ristampa di Beorhtnoth. Da questo si è passati a discutere dell’opportunità di una eventuale ritraduzione e la cosa è apparentemente finita lì, anche se nel frattempo era stato menzionato di passaggio il fatto che io avevo tradotto alcune poesie di Tolkien, pubblicate e non. Qualche giorno dopo, con mia grande sorpresa, ho ricevuto la proposta di ritradurre la parte tolkieniana del testo, inclusa quella poetica, e quindi, con l’assenso del Consiglio Direttivo dell’AIST, ho iniziato il lavoro di traduzione operando a stretto contatto con gli editor di Bompiani e il curatore del libro.
Hai riscontrato particolari difficoltà nella tradizione?
Nella traduzione in sé e per sé direi di no. Tolkien è uno scrittore molto ricercato nell’uso dei termini, scelti e pesati uno per uno, quindi richiede una cura estrema nell’individuare, tra quelle possibili, l’accezione migliore per ciascun dato contesto. Allo stesso tempo, tuttavia, ha in genere un periodare piano e non convoluto che aiuta a comprendere il senso generale del testo e quindi, a partire da questo, a riconoscere le accezioni corrette di cui sopra, che spesso non sono quelle di uso più comune. Diverso naturalmente è il discorso sulla parte poetica, il cui coefficiente di difficoltà è amplificato per definizione dal fatto stesso di essere tale. Traducendo versi occorre conciliare la necessità di mantenere la fedeltà al testo originale con quella di offrire un’esperienza di lettura che conservi il senso di “poesia”, e questo implica, in aggiunta alla cura di cui si accennava sopra, la necessità di una continua ricerca del “miglior compromesso”, quasi parola per parola. Nel nostro caso si trattava di (tentare di) rendere in italiano l’effetto ritmico dell’originale metro allitterativo. Dopo qualche esperimento ho scelto a questo scopo il senario doppio, che consente a mio parere di rendere il senso ritmico della cesura che caratterizza il metro allitterativo fornendo allo stesso tempo, con le sue dodici sillabe, una quantità di “spazio testuale da riempire” tale da conservare una quota significativa del testo originale (non tutto, naturalmente, ma qui torniamo alla ricerca del compromesso cui si accennava sopra). Quanto all’allitterazione vera e propria, estranea alla tradizione italiana, ho cercato di mantenerla ove possibile cercando tuttavia di evitare forzature e esagerazioni che avrebbero potuto suonare sgradite alle nostre orecchie più avvezze alla rima.
Qual è stata la scoperta più interessante o sorprendente che hai fatto traducendo la parte poetica?
Avendo una certa conoscenza di Tolkien e della sua visione del mondo non posso dire di aver trovato cose particolarmente sorprendenti nel corso della traduzione. Mi ha colpito tuttavia per l’ennesima volta, come fosse la prima, il profondo senso di umanità e compassione che permea il poema dall’inizio alla fine, espresso attraverso le affermazioni di Tídwald che ha pietà persino per il predatore di cadaveri ucciso dal vano Thorthelm, forte con i deboli e codardamente debole con i forti. Il verso in cui il primo smonta l’alato riferimento del secondo al “vento di guerra” che soffia in Britannia ricordando che quel vento “or come allora sul collo si prende / noi povera gente” strappa un sorriso amaro che non ha prezzo.
L’Italia è l’unico Paese ad avere un’edizione completamente dedicata al Beorhtnoht. Perché è così importante?
L’importanza del Beorhtnoth sta a mio parere nel suo collocarsi al centro della “Terra di Mezzo” (pun intended) che sta tra il Tolkien narratore e il Tolkien studioso. Un Professore di Oxford che scrive per una rivista accademica ma non riesce a, o meglio rifiuta consapevolmente di, essere accademico fino in fondo e quindi spezza il suo contributo in tre parti, inframmezzando a due saggi da Studioso, di cui uno a suo modo “rivoluzionario”, un’opera di fantasia che veicola le sue convinzioni di Uomo. La costruzione del volumetto, con il poema anglosassone originario seguito dal saggio tolkieniano dalla duplice natura e infine completato dal saggio critico di Tom Shippey (senza dimenticare la prefazione di Wu Ming 4, ancora attuale nell’identica forma in cui fu concepita dieci anni fa) offre a mio parere un quadro contestualizzato in modo completo di quella che è una fra le più significative opere di Tolkien cosiddette “minori”, che poi come sappiamo minori non sono per nulla.
C’è un episodio particolare che ti è capitato nel corso della traduzione?
Mi piace raccontare la storia buffa di un errore mancato. Nel testo compare l’espressione “fighting a Dragon single-handed”, da me tradotta senza un attimo di esitazione con “combattere un drago con un braccio solo” e poi per di più discussa con terzi per decidere la liceità del prendersi la libertà di tradurlo col più elegante “a mani nude”. A valle della discussione, conclusasi con un rinvio, cerco per puro caso “single-handed” sull’OED e scopro che, come chi mi legge sicuramente saprà, “to fight single-handed” vuol dire semplicemente “combattere da solo”, perfetta esemplificazione di come un “false friend” possa fregare chiunque e di come a volte lo si scopra solo per caso (come diciamo noi nella Terra di Mezzo).
ARTICOLI PRECEDENTI:
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LINK ESTERNI:
– Vai al sito della casa editrice Marietti 1820
– Vai al sito della casa editrice Bompiani
– Vai al blog di Wu Ming, Giap
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