Era il 1959 quando fu chiesto a Clive Staples Lewis se avesse, in qualche modo, influenzato le opere dell’amico J.R.R. Tolkien, o se gli incontri settimanali degli Inklings, il gruppo oxoniense da loro fondato, potessero aver sortito tale effetto. Lewis rispose che nessuno influenzava Tolkien in alcun modo, e che tanto valeva cercare di influenzare un Bandafferra – un Bandersnatch, in lingua originale, creatura mitologica sfuggente e aggressiva creata dalla mente di Lewis Carroll.
È da questa premessa che nasce Bandersnatch: C. S. Lewis, J. R. R. Tolkien, and the Creative Collaboration of the Inklings di Diana Pavlac Glyer (2016, The Kent State University Press, con illustrazioni di James A. Owen). E secondo l’autrice, l’affermazione di Lewis non corrisponde completamente al vero.
Una collaborazione creativa
Diana Glyer è docente di Inglese all’Azusa Pacific University in California; il suo lavoro si concentra sugli Inklings e sulle opere di Tolkien e Lewis, e nel 2009 era ospite d’onore alla quarantesima Mythcon, la conferenza organizzata annualmente dalla Mythopoeic Society. È del 2007 The Company They Keep (The Kent State University Press), che descriveva le interazioni e l’influenza creativa tra gli Inklings, dando nuova linfa agli studi sull’argomento e ribaltando le concezioni sino a quel momento ritenute più valide. Il testo, che le è valso il Mythopoeic Society Scholarship Award, propone la seguente la tesi: che gli Inklings, in realtà, si influenzassero a vicenda, e a sostegno porta opere pubblicate e inedite, carte, e lettere che provano quanto il gruppo letterario fosse un collettivo, una “collaborazione creativa” la cui funzione era darsi ispirazione l’un altro e incoraggiarsi attraverso critiche e commenti.
Bandersnatch elabora ulteriormente la questione, ma lo fa applicando le sue conclusioni ai gruppi di scrittura creativa, affermando che chiunque può mettere in pratica la lezione degli Inklings e avere un’esperienza creativa più ricca, vibrante, e divertente. Una concezione artistico-creativa cui Glyer crede fermamente (di lei, il preside David Weeks dice che “ama aiutare gli altri a scrivere”) e che traspare dalla presentazione del libro tenutasi all’Azusa Pacific University in occasione della sua pubblicazione, e che potete vedere a fine articolo.
Mostrare i frutti del proprio lavoro – ci dice Glyer – è sempre una cosa che terrorizza, soprattutto se si tratta di un lavoro in itinere. Per questo la risposta di C.S. Lewis menzionata in precedenza le era sempre parsa strana; se gli incontri degli Inklings non portavano a nulla di concreto, perché continuare a vedersi e a sottoporsi a tale ordalia? I membri principali – Tolkien e Lewis, cui si aggiunsero poi il filosofo Owen Barfield, lo scrittore Charles Williams, gli accademici Adam Fox e Hugo Dyson, e il fratello di Lewis, Warren Hamilton Lewis – si incontrarono settimanalmente per diciassette anni, diciassette anni di critiche feroci, ma mai ostili, e di incoraggiamenti. È questa la chiave: Lewis, e con lui gli altri Inklings, non la riconoscono come influenza perché sono studiosi, letterati, e hanno una visione limitata di cosa si possa definire “influenza”. Lewis afferma che nessuno poteva influenzare Tolkien perché non vide mai con i suoi occhi quanto l’amico prendeva sul serio quanto detto agli incontri; l’influenza che gli Inklings ebbero uno sull’altro si posa sullo sforzo collaborativo.
Condivisione e incoraggiamento
Glyer si è posta una semplice domanda: possibile che i commenti offerti durante questi incontri non abbiano modificato in alcun modo i testi, considerato anche che si trattava di progetti lunghi e che, quando venivano letti agli altri membri, si trattava di bozze alle prime versioni? E dunque la studiosa si è messa alla ricerca di quella che definisce “la sequenza perfetta”: rimettendo insieme diari, lettere, e qualsiasi testimonianza di quel che veniva detto durante gli incontri, Glyer ha cercato e isolato sequenze di “bozze-commenti-versione definitiva” che le hanno infine permesso di affermare che tutti gli Inklings, Tolkien compreso, facevano tesoro di quanto veniva detto. E non solo dei consigli – la diverte immaginare Tolkien spiegare con irritazione i “quattordici motivi” per cui le modifiche proposte non possono funzionare, per poi arrivare a casa e decidere di seguire il consiglio, magari tagliando qualche dialogo tra gli hobbit – ma anche dell’ambiente positivo e incoraggiante.
Le interazioni degli Inklings erano talmente ordinarie e naturali, talmente fondate sulla loro profonda amicizia, che essi non si rendevano conto che stesse accadendo una cosa straordinaria. Senza quei legami, senza quel senso di comunità, molte delle opere degli Inklings non avrebbero visto la luce. Il Signore degli Anelli non esisterebbe: Tolkien si stufò dell’opera per ben due volte, e per entrambe le volte Glyer ha rintracciato i momenti in cui Lewis lo incoraggiò a riprendere in mano le bozze. Non esisterebbero Il problema della sofferenza di C.S. Lewis, i sette volumi storiografici di Warren Lewis, All Hallows’ Eve di Charles Williams. “Tutti i membri del gruppo furono cambiati significativamente dal gruppo”, afferma Glyer, “e proprio perché hanno lavorato insieme, gli Inklings hanno pubblicato più di cento libri.” Tutti loro si affidavano al gruppo, avevano bisogno l’uno dell’altro. Hanno prosperato perché non hanno cercato di sorreggere da soli la propria visione creativa, ma si sono invece sfidati e corretti a vicenda, incoraggiati, criticati ed elogiati. È la collaborazione, la creatività nella comunità, che ha permesso loro di primeggiare.
Si davano anche aiuti di natura più pratica. Andavano alla caccia di refusi, come quando si resero conto che Tolkien aveva sbagliato il colore del cappuccio di un Nano; scrivevano recensioni sulle opere degli altri membri, mettevano in contatto gli amici con i propri editori; e durante la Seconda Guerra Mondiale, quando trovare carta era pressoché impossibile, ciascuno di loro portava alle riunioni quanti più ritagli e fogli usati solo da un lato potesse trovare, in modo da condividere quella risorsa così preziosa. Non è raro, conclude Glyer, trovare sull’altro lato di bozze o lettere una bozza, o una lettera, o una lista della spesa di un altro membro degli Inklings.
Non solo la creatività, dunque, prospera nelle comunità, ma la condivisione da vita a un legame duraturo e proficuo. Una lezione di vita dagli Inklings, che tutti dovremmo seguire.
Elena Sanna
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LINK ESTERNI:
– Vai al sito di Diana Glyer
– Vai al sito della Azusa Pacific University
– Vai al sito della Mythopoeic Society
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