A volte le cose accadono e quando capita è un momento magico, come ritrovare un tesoro. Èd è proprio la storia di un tesoro che vogliamo raccontare questa volta. La storia della Pietra di Erebor e di come sia finita alla Tana del Drago, la sede dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani a Dozza Imolese, a pochi chilometri da Bologna. Sì perché non fu soltanto l’Arkenpetra, Cuore della Montagna (o Archengemma), tra i tesori del Regno sotto la Montagna e soprattutto non furono soltanto la Mappa e la Chiave di Thrór tra le eredità che giunsero fino a Thorin Scudodiquercia. Tra i tesori c’era anche la Pietra di Erebor. Ma per scoprire tutto, per una volta è bene partire… dalla fine di questa storia!
Un dono prezioso
Non è vero che il postino suona sempre due volte. Suona solo una volta e se non si corre ad aprire la porta, spesso si perde il pacco che si aspetta da tempo. Così, proprio appostandosi dietro la porta con l’orecchio teso, si è potuto ricevere un nuovo cimelio per La Tana del Drago, dopo, la Mappa della Terra di Mezzo, l’Uovo di Fyrstan e il Gonfalone del Drago. Aprendo la scatola, si è scoperto quello che rimane di una pietra runica che descrive l’attacco del drago su Dale. «Si presume sia stata scolpita dai Nani nei tempi successivi alla fuga da Erebor», era il messaggio allegato dal donatore, Riccardo Cacciucchi. Sembra che l’appassionato lo abbia acquistato in un mercatino dell’usato da un antiquario che aveva lavorato presso il Dipartimento sull’Europa medievale del British Museum per poi passare al Burlington Fine Arts Club, una delle più prestigiose istituzioni private di mercanti d’arte d’Europa. La Pietra di Erebor è in realtà un frammento di una pietra runica molto più grande conficcata nel terreno, in seguito spezzata e questo è tutto ciò che ne rimane. La stele è in granito rosso e, prima di essere rimossa e riutilizzata come materiale da costruzione, probabilmente formava un monumento funebre. Questi monumenti furono eretti probabilmente a memoria dei componenti della guardia personale del re che morirono durante i combattimenti a Erebor durante l’attacco di Smaug o successivamente, negli scontri con gli Orchi. Tolkien si era ispirato alle popolazioni germaniche per la cultura dei Nani e anche in questa tradizione se ne seguono le usanze. Queste pietre commemorative, che spesso narrano le gesta di uomini ed eroi caduti in battaglia, erano in origine sorprendentemente colorate, come testimoniano i resti di pittura nelle incisioni, anche se il tempo purtroppo le ha sbiadite. La tradizione è citata sia nella Saga degli Ynglingar: «Per gli uomini importanti si dovrebbe erigere un tumulo alla loro memoria, e per tutti gli altri guerrieri che si sono distinti per la loro umanità una pietra eretta, questa usanza rimase ben oltre il tempo di Odino» (Saga degli Ynglingar, paragrafo 8, la legge di Odino). Anche nella Havamal si può leggere: «Un figlio è meglio / anche se nato postumo, / dopo che il padre è andato. / Raramente le lapidi / si ergono lungo la strada / se non le innalza il congiunto al congiunto» (Edda Poetica, Hávamál, strofa 72). La Pietra di Erebor presenta un’iscrizione runica secondo lo stile de Lo Hobbit. Le rune sono state prima incise e poi dipinte con ossido di ferro rosso. Il pigmento macinato, è stato saturato con una piccola quantità di olio di lino grezzo per ottenere una vernice pronta all’uso e adatta a resistere all’esterno. L’iscrizione runica recita: «… (wi)th light. The bells were ringing in the Dale and men they looked up with faces pale; the dragon’s ire more fierce than fire laid low their towers and houses frail» (…di luce. / Le campane suonavano a Dale / E gli uomini guardavano in alto con le facce pallide; / L’ira del drago, più feroce del fuoco, / rese fragili le loro torri e le loro case). È una strofa del canto dei nani sull’attacco di Smaug a Erebor: «Lontano su nebbiosi monti gelati in antri oscuri e desolati. Partir dobbiamo, l’alba scordiamo per ritrovare gli ori incantati. Ruggenti pini sulle vette dei venti il pianto nella notte. Il fuoco ardeva fiamme spargeva alberi accesi torce di luce».
Nostalgia di un regno perduto
Il canto dei Nani è reso famoso dai film di Peter Jackson, pur essendo diverso dall’originale del libro, e che è qui riportato anche se sono cantate solo due strofe. La scena è epica e i versi molto belli, ma non rendono l’importanza e il significato di questo canto per il popolo di Durin. Se seguiamo le vicende dei Nani nella Terza Era, in particolar modo dopo il sacco di Erebor, si può leggere come nelle Appendici che nell’anno 2770 «Smaug il Drago calò su Erebor. Vallea [Dale] fu distrutta». L’Appendice A spiega che «per ultimi, da una porta segreta che conduceva fuori dalle sale, uscirono lo stesso Thrór e suo figlio Thráin II. Partirono per il sud con la famiglia, a lungo ramingando senza un tetto. Con loro era anche un piccolo gruppo di parenti e di fedelissimi». Il popolo dei Nani del Regno sotto la Montagna si disperse e, ancora, «Thráin II e suo figlio Thorin vagarono verso ovest». Quest’ultimo è Thorin Scudodiquercia, uno dei protagonisti de Lo Hobbit e si legge che i due nel 2802 «s’insediarono a Sud degli Ered Luin, di là dalla Contea». L’Appendice A dà qualche dettaglio in più: «Così Thráin e Thorin, con quel che rimaneva del seguito (fra i quali Balin e Glóin), tornarono in Landumbria [Dunland], e subito dopo ripartirono raminghi per l’Eriador, prima di mettere infine su casa in esilio, a est degli Ered Luin, di là dal Lune». Nel 2841 Thráin si diede ai vagabondaggi. La storia del popolo di Durin si intreccia con quella degli Anelli del Potere. Si legge, infatti, che «anni dopo Thrór, ormai vecchio, povero e disperato, diede al figlio Thráin l’unico grande tesoro ancora in suo possesso, l’ultimo dei Sette Anelli…». Tolkien qui spiega bene l’effetto dell’Anello sui Nani: «L’unico potere che gli Anelli esercitavano su di loro era d’attizzare in cuore la cupidigia d’oro e di oggetti preziosi talché, in mancanza di questi, ogni altro bene sembrava senza valore, e venivano presi dalla rabbia e dal desiderio di vendetta contro tutti quelli che glieli sottraevano. Ma fin dall’inizio erano fatti di una tempra pervicacemente resistente a ogni tentativo di dominazione. Ucciderli era possibile, o spezzarli, non ridurli però a ombre sottomesse alla volontà altrui; e per lo stesso motivo nessun Anello poteva incidere sulla loro vita, né accorciandola né allungandola. Perciò, Sauron li odiava in quanto possessori e desiderava espropriarli».
Per quasi quarant’anni Thráin governò il suo popolo negli Ered Luin, ma fu spinto all’ossessione dal suo Anello del Potere. «Thráin divenne insofferente e insoddisfatto. La bramosia dell’oro era un’ossessione. Alla fine, incapace di sopportarla più a lungo, indirizzò i pensieri su Erebor e decise di tornarci». Lo stesso capita a Thorin più tardi: «Nel cuore di Thorin le braci si attizzavano di nuovo quando rimuginava sui torti subiti dalla sua Casata e sulla vendetta contro il Drago che aveva ereditato». Questo nonostante il fatto che «ora avevano belle abitazioni nei monti e beni in abbondanza, e i giorni non sembravano più così duri». La casa in esilio sugli Ered Luin non ha un nome ufficiale, ma Gandalf – sempre nel resoconto delle Appendici – le chiama le Aule di Thorin (Thorin’s Halls). La colonia prosperava e «la popolazione crebbe, alimentata da molti elementi dell’itinerante Popolo di Durin che avevano sentito parlare del suo insediamento all’ovest e lo avevano raggiunto». È probabilmente qui e in questi anni di prosperità che qualche artigiano, forse del seguito personale dello stesso Thorin, scolpì la Pietra di Erebor con l’iscrizione del canto dei Nani. La conferma indiretta viene da La Cerca di Erebor, testo scritto da Tolkien che in origine doveva essere posto nell’appendice A de Il Signore degli Anelli, raccolto poi nei Racconti incompiuti e successivamente ne Lo Hobbit Annotato. In esso si può leggere che «le loro giornate non sembravano così difficili, anche se nelle loro canzoni parlavano sempre della Montagna Solitaria lontana, del tesoro e della beatitudine della Sala Grande alla luce dell’Arkenpetra».
La canzone e la Pietra
Pur essendo prosperi e al sicuro ormai, con un Regno fondato da quasi un secolo e mezzo, i Nani di Thorin bramano ancora un ritorno a Erebor, componendo canti e scolpendo monumenti commemorativi agli eroi che lottarono contro il drago. Il recupero del Regno sotto la Montagna non è un’ossessione del solo Thorin Scudodiquerica e del suo entourage, ma di tutta la colonia. Lo testimonia anche il fatto che – dopo le vicende narrate ne Lo Hobbit, con la morte di Smaug e di Thorin e la restaurazione del Regno di Erebor con Dáin II Piediferro – le Aule di Thorin sugli Ered Luin si svuotarono e molti dei Nani si trasferirono a Erebor, anche se la roccaforte non venne abbandonata e divenne un suo reame vassallo. Il ruolo dei canti e la nostalgia per Erebor erano, quindi, centrali nella colonia, al punto che tutti conoscevano le strofe delle canzoni, come si può leggere ne Lo Hobbit.
Questa canzone viene ascoltata per la prima volta nella riunione a Casa Baggins. È composta da 10 strofe ed è cantata con accompagnamento musicale: Fíli e Kíli ai violini; Dori, Nori e Ori ai flauti; Bombur a un tamburo; Bifur e Bofur ai clarinetti; Dwalin e Balin alle viole, e infine Thorin con la sua arpa d’oro. Mentre i nani cantano, l’epicità del brano smuove qualcosa del lato Tuc e avventuroso in Bilbo. Alla fine dello stesso capitolo, mentre giace a letto la notte, Bilbo può sentire Thorin canticchiare questa melodia tra sé e sé, e viene riportata la quinta strofa, anche se con una leggera differenza nell’ultimo verso, poiché proprio il proposito di tornare a Erebor «per esigere i nostri ori obliati» viene modificato in «a cercar ori incantati». Più avanti, mentre si trovano a casa di Beorn, Bilbo sente di nuovo i Nani cantare. Sebbene non sia esplicitato che questi versi siano quelli del canto dei Nani, è evidente che si tratti di una versione più lunga: il metro e la cadenza sono le stesse, infatti, e «alcuni versi erano pressappoco simili a questi, ma ce n’erano molti di più e il loro canto andò avanti a lungo». Anche se brevemente, sono inoltre menzionate sia la Montagna Solitaria sia la “Tana del Drago”: «[Smaug] passò sulla Montagna solitaria e turbinò nella Tana del Drago, mentre un fumo levavasi nell’aria là dove l’aspra roccia era sovrana». Dopo aver ucciso il drago e reclamato la Montagna Solitaria, di nuovo i Nani cantano un’altra forma della canzone, con sette strofe. Il canto dei Nani è, infine, in qualche modo presente anche ne Il Signore degli Anelli. Durante la breve permanenza di Frodo e degli Hobbit a Criconca (Crifosso) prima di lasciare la Contea, una canzone cantata da Merry e Pippin viene descritta come «composta sulla falsariga della canzone dei Nani attaccata da Bilbo partendo per la sua avventura tanto tempo prima; il motivo era lo stesso». La persistenza del Canto dei Nani nelle opere di Tolkien, rispecchia l’attaccamento del Popolo di Durin per il Regno di Erebor perduto, sognato, agognato e dopo più di un secolo e mezzo riconquistato a caro prezzo, con la perdita di Thorin Scudodiquercia, i nipoti Fili e Kili e chissà quanti guerrieri della guardia personale. Un periodo di esilio in cui gli Eredi di Durin, da Thrór a Thráin fino allo stesso Thorin sono stati ossessionati dal dovere di riconquistare il loro regno e in questo, il Canto dei Nani e le stele commemorative hanno costituito dei segni tangibili di questo desiderio perenne.
Ora è più chiaro il motivo dell’importanza della Pietra di Erebor, seppur in frammenti. È naturale, quindi, che sia stata conservata e tramandata presso i Nani. È così un onore che abbia concluso il suo percorso proprio nella “Tana del Drago”, che se non è quella sotto la Montagna, si trova tra le ridenti colline imolesi!
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