Siamo dispiaciuti di segnalare la morte di Elena Jeronimidis Conte, la prima traduttrice in italiano de Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien nel 1973 per la casa editrice Adelphi, ex redattrice della rivista English Bridge e membro del comitato di Berks and Bucks CBA. La sua scomparsa è avvenuta il 22 settembre scorso e i funerali si sono svolti venerdì 2 ottobre alle 14.30 al crematorio di Reading, in forma strettamente privata per via delle restrizioni sanitarie di questo periodo. Jeronimidis Conte aveva 73 anni e le sopravvivono il marito Giorgio e due figli, Andrew e David.
Docente all’università e traduttrice
Elena Dagmar Conte era nata a Roma il 1° novembre 1946. Suo padre, Luigi Conte, era un magistrato di alto rango al Consiglio di Stato a Roma, ma poi lasciò il ruolo e divenne per un certo periodo presidente della SIAE, mentre sua madre Maria era russa. I suoi genitori si erano conosciuti a Roma alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver finito nel 1965 le superiori al liceo classico Virgilio, Elena studiò letteratura latina e italiana all’Università di Roma. Incontrò suo marito Giorgio Jeronimidis mentre studiava lì; lui era greco e i due si sposarono nel 1970 nella chiesa Greco-Ortodossa di Sant’Andrea Apostolo, vicino a Via Veneto. L’anno successivo, al marito fu offerta una borsa di ricerca di sei mesi all’università di Reading, in Inghilterra. Il trasferimento a Reading divenne poi permanente quando Giorgio divenne docente in Scienza dei materiali all’università. Elena parlava correntemente il tedesco, essendo sua madre cresciuta in Germania, e l’italiano, ma quando arrivò in Inghilterra per la prima volta conosceva pochissimo inglese. Decise che un buon modo per imparare era tradurre in italiano Lo Hobbit, ma questo argomento sarà affrontato nel prossimo paragrafo. Diventata esperta nel lavoro di traduzione, l’offerta di insegnare teatro italiano portò Elena alla Lancaster University per quattro anni come lecturer di Italian Studies, dopodiché sempre come lettrice di Italian Studies tornò a Reading, dove nacquero i suoi due figli. Aveva imparato a giocare a bridge subito dopo aver sposato Giorgio, e giocavano insieme quando potevano. Conoscendo sia le sue capacità di bridge che quelle letterarie, la Berkshire and Buckinghamshire County Bridge Association le offrì la posizione di editor della loro rivista. La Jeronimidis Conte accettò perché era un lavoro che si poteva conciliare con l’essere madre e casalinga. Nel 1989 John Magee – noto come “Mr. Bridge” – la nominò redattrice del suo Bridge Plus, rivista appena lanciata sul mercato. In questa rivista ha lavorato a tempo pieno dal 1989 al 2007, aggiungendo il ruolo di editor associato di Bridge nel 2001. Al culmine della sua circolazione, è stato uno dei periodici sul bridge più letti al mondo. Nel 2007 divenne, infine, direttrice di English Bridge, la prestigiosa rivista della English Bridge Union e, per quasi dieci anni, condusse Teletext Bridge, un programma tv sul Bridge su Channel 4. È stata anche commissioning editor per i libri della casa editrice Batsford Bridge. Nel 2015 è stata premiata come membro a vita dell’EBU per il suo lavoro con la rivista. Dopo essersi ritirata, Elena Jeronimidis ha continuato a giocare a bridge. Oltre a questo gioco, Elena Jeronimidis si divertiva a passare il tempo con i nipoti, lavorare all’uncinetto, guardare le partite di rugby (suo marito e il figlio minore sostenevano con lei l’Italia) e film con una buona recitazione. Le piaceva anche viaggiare, in particolare in Giappone dove suo marito era spesso per affari, permettendole di apprezzare il paesaggio e la cultura del paese.
La traduzione de Lo Hobbit
La prima edizione italiana dello Hobbit fu pubblicata nell’ottobre 1973 da Adelphi, nella collana “Biblioteca Adelphi”. Roberto Calasso, direttore editoriale della casa editrice afferma anzi che: «Avevamo chiesto i diritti de Il Signore degli Anelli, ma la nostra proposta arrivò tardi a Londra». La Adelphi aveva comprato i diritti italiani per Lo Hobbit poco prima del dicembre 1971 (C’era una volta… Lo Hobbit, Marietti editore – 2012, p. 25). «Quando siamo arrivati a Reading, non conoscevo l’inglese», ha scritto in una sua biografia dell’agosto 2013, «Ho imparato traducendo Lo Hobbit di JRR Tolkien in italiano, guardando la TV e leggendo i romanzi di Agatha Christie: voler sapere “whodunnit” è stato un potente incentivo!». Inizialmente questo lavoro era solo per il suo interesse, ma i colleghi del dipartimento di lingue dell’Università di Reading la convinsero a far pubblicare la traduzione. Nell’intervista a Gammarelli (C’era una volta… Lo Hobbit, Marietti editore – 2012, p. 259-263), Jeronimidis Conte rivela: «Scrissi alla Allen & Unwin, la casa editrice inglese dello Hobbit, per sapere se ci fosse interesse per una versione italiana. Proprio allora avevano venduto i diritti dello Hobbit all’Adelphi, così inviai loro il capitolo che avevo tradotto. Questo succedeva all’inizio di dicembre (circa). A Natale tornai a Roma per le vacanze e ricevetti una telefonata dell’Adelphi che voleva affidarmi l’incarico di tradurre il libro. “È una delle migliori traduzioni che ho mai visto”, disse il mio interlocutore. Un altro po’ e svenivo!».
Ricorda particolari difficoltà nella traduzione? è la domanda di Gammarelli: «Solo un brano: la descrizione di un paesaggio, che trovai alquanto ostica. Dopo aver interpellato i colleghi inglesi in dipartimento, i quali la trovavano altrettanto oscura, scrissi al Prof. Tolkien per chiedere una chiarificazione». Jeronimidis Conte ricorda che la sua fu «solo una breve corrispondenza epistolare in cui non mi fu di grande aiuto per quanto riguardava la descrizione che trovavo difficile! In compenso fu molto generoso nello spiegare come era arrivato a creare i nomi di alcuni personaggi e delle “genti” nella saga dello Hobbit e del Signore degli Anelli (un misto di scelte arbitrarie e di profonda conoscenza delle fiabe e dei miti europei, soprattutto germanici, volto a creare un linguaggio indipendente dall’inglese)».
Abbiamo la fortuna, grazie a un’asta di Christies, di avere la trascrizione e le immagini della lettera che Tolkien scrisse a Jeronimidis Conte in risposta alle sue domande. «Gentile signora Jeronimides [sic], il signor Hardie mi ha passato la sua lettera. Non conosco l’italiano abbastanza bene per poterla aiutare, ma riguardo alla sua prima domanda sulla traduzione del passaggio del capitolo 10 de Lo Hobbit, la sua traduzione mi sembra fluente e abbastanza vicina all’originale. […] Per quanto riguarda i nomi di creature mitologiche, elfi, gnomi, troll ecc., non credo sia utile cercare parole in un’altra lingua per tradurli. Penso che sarebbe meglio fare ciò che ha fatto l’inglese (ad esempio): prendere semplicemente in prestito le parole con un leggero adattamento alla lingua della traduzione. La storia vera e propria deve quindi rivelare ai lettori che tipo di creature sono. Io stesso infatti ho usato il nome “elfo” per creature che hanno ben poco in comune con la tradizione prevalente degli Elfi in inglese. “Troll” non è una parola inglese ed è stata presa in prestito in inglese solo negli ultimi tempi in storie derivate dalla tradizione scandinava. Suggerisco di seguire l’esempio inglese di prendere in prestito la parola “troll” e di trasformarla in “trolle” o “trollo”. “Gnomo” dovrebbe essere evitato perché in origine non è affatto una parola mitologica ma deriva da Paracelso che voleva nomi per creature che si suppone avessero come elementi naturali acqua, aria, terra e fuoco. Prese in prestito “ninfa” e inventò “silfide” e “gnomo”. Mi dispiace che il mio breve dizionario non sia stato molto utile. In effetti era composto in prospettiva principalmente rispetto al tedesco (dato che conosco qualcosa di quella lingua). Mi aspettavo anche che fosse il prossimo nella traduzione. L’italiano ha solo “elfo” come adattamento del tedesco “elfe”, a sua volta preso in prestito dall’inglese, che appare per la prima volta in una traduzione di Sogno di una notte di mezza estate. Lei potrebbe, naturalmente, chiarire la questione ai lettori con brevi note su parole come “trolle”, “elfo”, per chiarire cosa rappresentano. La ringrazio molto per il disturbo che si sta prendendo».
La lettera è datata 14 giugno 1973, cioè meno di tre mesi prima che Tolkien morisse, il 2 settembre di quell’anno. È molto interessante perché lo scrittore inglese aveva già espresso pensieri simili ad altri traduttori a partire dagli anni Sessanta. Quindi, Tolkien non conosceva l’italiano abbastanza bene da poter dare un giudizio sulla traduzione, era contrario all’uso di “gnomo” per gli elfi e consigliava “trollo” per i troll. Bisogna comunque ricordare che anche Elena Jeronimidis Conte non seguì il consiglio di Tolkien per troll, ma optò per “uomini neri”, conosciuti al pubblico perché ben presenti nel folclore italiano. Non dimentichiamo che Lo Hobbit è un libro destinato a un pubblico giovane e che W.H. Auden lo definì «la più bella storia per bambini degli ultimi cinquant’anni».
«La traduzione è armonica, il tono linguistico è generalmente adeguato a un racconto per bambini, con qualche spunto di aulicità e grandiosità come si conviene: in generale con una buona resa dei diversi toni e registri linguistici», è il giudizio condivisibile di Lorenzo Gammarelli (C’era una volta… Lo Hobbit, Marietti editore – 2012, p. 26) mentre Quirino Principe in una nota editoriale pur lodandola ne trova delle pecche: «Bella, elegante, vivace, la traduzione adelphiana è maculata da strani errori di gusto, isolati ma vistosi. Ne segnalo uno, terribile. La Jeronimidis rese il nome del drago Smaug con “Smog”, regolarizzando così l’onomastica secondo il suono della pronuncia inglese. Ma per un lettore italiano, tale soluzione è fuorviante e infelicissima: qualsiasi italiano, ignorando che smog (“smoke” + “fog”, fumo più nebbia) vuole la o aperta mentre la au di “Smaug” vuole la o chiusa, leggendo “Smog” pensa allo smog e la magia fiabesca va a farsi friggere. “Smaug” è efficacissimo proprio se viene letto alla maniera italiana, poiché fa pensare all’imitazione del verso del drago che spaventa i bambini: “Smaaaaaaaaauuuuughhhhhh…!”».
Le traduzioni de Lo Hobbit
La traduzione di Elena Jeronimidis Conte de Lo Hobbit pubblicata nel 1973 è giunta sostanzialmente simile fino a oggi nelle librerie italiane. Da allora il volume è stato, infatti, ristampato decine di volte, con lo stesso testo, con mappe e illustrazioni di Tolkien, concedendo la licenza temporanea di pubblicazione a Mondadori, Rusconi, Bompiani e altre case editrici. Ancora attualmente in commercio, è giunta alla 17ª ristampa a 24 euro. Il testo è stato modificato tre volte: con Lo Hobbit Annotato curato da Grazia Maria Griffini (Bompiani, 2000); nell’edizione riveduta e corretta de Lo Hobbit Annotato curato da Oronzo Cilli, con alcune note e apparati tradotti da Lorenzo Gammarelli e Raffaella Benvenuto (Bompiani, 2004); in Lo Hobbit curato da Caterina Ciuferri (Bompiani, 2012) e poi di nuovo ritoccato nella sesta ristampa, in concomitanza con l’uscita dei film di Peter Jackson.
Quest’ultima occasione è classificata come “nuova traduzione” anche se la sorpresa maggiore è nei numerosi passaggi identici (a volte più pagine) che testimoniano l’ottimo lavoro fatto all’origine da Elena Jeronimidis Conte. La traduzione è migliorata, perché è più precisa e fedele all’originale, non ci sono quasi più gli italianismi come Ferragosto, pizza o mascarpone, anche se le foccaccine sono rimaste. Le versioni delle poesie di Jeronimidis suonano però molto meglio (con l’unica eccezione di The Road goes ever on) e Ciuferri usa praticamente intere strofe e interi paragrafi della vecchia traduzione. Molti lettori di Tolkien, infatti, la considerano piuttosto una revisione della traduzione preesistente, tanto più che certi errori presenti nella prima traduzione sopravvivono in quella nuova. La nuova traduzione, inoltre, ha fatto fatica anche ad affermarsi nelle stesse opere Bompiani. Nello Hobbit Annotato, ad esempio, è stata introdotta solo con l’edizione del 2013. E solo a partire dalla quinta ristampa dello Hobbit con le illustrazioni di Alan Lee e dalla terza ristampa dello Hobbit Annotato, sono state anche sistemate tutte le rune nell’introduzione e nelle mappe, coerenti con la nuova traduzione in italiano. Certo, alcuni refusi e soprattutto alcune scelte terminologiche della vecchia traduzione erano ormai datate (“Smog” e “Uomini Neri”), ma altre si avvicinano maggiormente all’originale inglese, rimanendovi più fedeli. Considerando i destinatari a cui Tolkien voleva rivolgersi, inoltre, la “vecchia” traduzione risulta molto più scorrevole della nuova. Tutte queste considerazioni non fanno escludere del tutto la “vecchia” traduzione, anzi molti lettori la preferiscono.
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Vai alla sezione dedicata al libro dello Hobbit: Storia editoriale ed errata corrige
– Vai all’articolo: Quale edizione comprare dello Hobbit?
– Vai all’articolo: Esce una nuova edizione illustrata per Lo Hobbit
– Vai all’articolo: Lo Hobbit massacrato: uno sviluppo sulle rune
– Vai all’articolo: Pubblicata nuova traduzione dello Hobbit
– Vai all’articolo: Lo Hobbit a fumetti: ecco le nuove immagini di Wenzel
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Ottimo articolo molto interessante e poi…..
Grazie per sempre E. J. Conte per la tua traduzione fiabesca da quando ero bambino la lessi, mi porto per la prima volta del mondo di Arda creata dal professore Tolkien.
Riposa in pace.
P.s. Se Tolkien consigliava “trollo” per i troll, perchè non metterlo nella nuova traduzione ad Ottavio Fatica quando sarà aggiornata nelle nuovi edizioni.
Perché no?