A novembre la nuova traduzione dello Hobbit

Uscirà il 6 novembre 2024 in Italia l’ultima edizione in ordine di tempo dello Hobbit di J.R.R. Tolkien (Bompiani €30), quella pubblicata in Gran Bretagna nel 2023, che contiene le illustrazioni dell’autore. Si tratta di un volume molto bello, perché per la prima volta è possibile leggere il romanzo con l’accompagnamento non solo dei disegni realizzati da Tolkien per le varie edizioni, ma anche con l’aggiunta dei bozzetti e di tutte le mappe da lui stesso utilizzate per scrivere la storia, per un totale di ben cinquantatré illustrazioni. La copertina ricalcherà quella dell’edizione britannica, che a sua volta richiama vagamente quella della prima edizione del 1937, isolandone un dettaglio in un tondo al centro, nel quale sopra le vette dei Monti Brumosi spunta un sole rosso (un risarcimento a Tolkien, che all’epoca dovette rinunciare alla quadricromia) e con le rune a fare da cornice. La firma di Tolkien sostituirà il nome a stampatello dell’autore, e per quanto non immediatamente leggibile non può esserci margine per i dubbi, dato che il nome Hobbit rimanda ormai indissolubilmente a quello di colui che lo ha reso famoso. Il volume è arricchito da un corposo paratesto: una breve nota editoriale, la prefazione all’edizione del 50° anniversario scritta da Christopher Tolkien, e uno stralcio della Libreria BompianiNota sulle illustrazioni che si trova ne L’arte dello Hobbit di J.R.R. Tolkien, scritta da Wayne G. Hammond e Christina Scull.
La novità assoluta però è che per la prima volta dopo cinquant’anni Lo Hobbit avrà una nuova traduzione italiana. Non già un rimaneggiamento della traduzione “classica”, com’era stato nel 2013, ma un rifacimento integrale, realizzato dal socio AIST Wu Ming 4, al secolo Federico Guglielmi. In effetti nell’impresa di ritraduzione dell’opera omnia di Tolkien inaugurata da Bompiani nel 2017 Lo Hobbit mancava ancora all’appello. Questa nuova splendida edizione ha offerto il gancio per colmare la lacuna.

La traduzione “classica”

La prima edizione dello Hobbit in italiano risale al 1973, pubblicata per i tipi di Adelphi con il sottotitolo (tanto libero quanto spoilerante) “o la Riconquista del tesoro”. Era una bella traduzione, nonostante fosse stata realizzata da un’ancora inesperta Elena Jeronimidis Conte (1946-2020), allora ventisettenne, che sfruttò l’occasione proprio per imparare l’inglese, dato che si era appena trasferita in Inghilterra. Ovviamente certe scelte traduttive risentivano di un’epoca in cui in Italia pochissima gente conosceva la mitologia e il folclore nordici, men che meno certi cibi o festività, e di conseguenza si decise di tradurre alcuni termini nei corrispettivi culturali della tradizione italiana. Così i troll diventarono “Uomini Neri”, i goblin “orchi”, i Warg “Lupi Mannari”, Midsummer “Ferragosto”, Yule-tide “il periodo natalizio”, la Seed-cake “Pan di Spagna” e la Mince-pie niente meno che “pizza” (e una menzione meriterebbe anche il mutton diventato “abbacchio”, con un tocco di romanità!). Inoltre, in un tempo in cui erano in pochi a conoscere l’inglese, le rune nella mappa di Thror erano state ricombinate per traslitterare l’italiano, e questo aveva reso necessario tagliare e modificare l’iniziale nota lessicale dell’autore che ne illustrava l’utilizzo.
L’edizione del 2013 targata Bompiani e a cura della Società Tolkieniana Italiana, con le illustrazioni di Alan Lee, benché presentata come ritraduzione, consisteva più che altro in un’ampia serie di emendamenti alla traduzione classica, realizzati da Caterina Ciuferri. Saltava poi agli occhi, nel frontespizio interno, l’apposizione del sottotitolo del primo film della trilogia cinematografica dello Hobbit allora nelle sale, cioè Un viaggio inaspettato. Veniva inoltre mantenuto il grosso taglio nella nota autoriale all’inizio del libro dell’edizione del 1973, la quale nota però nel gioco della pseudo-traduzione fa già parte del romanzo, quindi si trattava di una vera e propria omissione di testo. Ma soprattutto le parole scritte in runico erano in parte traslitterazioni dell’originale inglese e in parte invece riprendevano quelle corrispondenti all’italiano della traduzione classica. Ad esempio titolo e sottotitolo in rune traducevano l’originale “The Hobbit or There and Back Again”, ma poi nel testo a seguire comparivano rune che traducevano la famosa scritta sulla mappa di Thror in italiano e addirittura nel sistema metrico decimale: “La porta è alta un metro e mezzo, ecc.” e lo stesso per le rune lunari scoperte da Elrond sulla medesima mappa. Insomma un guazzabuglio. A cui si aggiungeva il fatto che se ormai nel XXI secolo venivano giustamente reintrodotti i troll, risultava incomprensibile perché invece i Warg – lupi demoniaci della mitologia germanica – dovessero ancora essere presi per Lupi Mannari, cioè licantropi, uomini-lupo, e i goblin continuassero a essere orchi; o perché i nomi dei tre troll dovessero rimanere italianizzati (Guglielmo, Berto e Maso), come nel doppiaggio di certi vecchi film in bianco e nero.Un poco meglio era andata qualche anno prima, nel 2009, all’edizione Bompiani dello Hobbit Annotato di Douglas Anderson curata da Oronzo Cilli, che riprendeva la traduzione classica ma traduceva finalmente in versione integrale la nota autoriale all’inizio del volume. Purtroppo così facendo produceva anche una contraddizione evidente. Infatti la resa “orchi” per goblin, contraddiceva proprio la nota iniziale, dove l’autore spiega che «Orc [Orco] non è una parola inglese. Essa viene usata in una o due occasioni, ma solitamente è tradotta come goblin (oppure hobgoblin per le specie di maggiori dimensioni)», e però poi nelle trecento pagine a seguire “goblin” non compariva mai (tanto meno “hobgoblin”) e al loro posto c’era invece sempre “orco”/“orchi”.

La nuova traduzione: parola a Wu Ming 4

«L’idea guida della nuova traduzione è quella di provare a rispettare quanto più possibile il testo di Tolkien, da un lato attenendosi integralmente all’edizione britannica del 2023, dall’altro cercando di restituire alcuni elementi stilistici che la traduzione precedente sembrava avere un po’ trascurato. Se ad esempio Tolkien fece la scelta di usare il termine “orc” soltanto una volta nello Hobbit (due se si include il composto Orcrist) – e la mantenne anche nelle riedizioni successive, quando aveva già deciso di usarlo invece nel Signore degli Anelli per definire le stesse creature o una sottospecie delle medesime – tale scelta è stata finalmente rispettata. Lo stesso vale per “Yule-tide”, che non ha più bisogno di essere tradotto, dato che ormai sappiamo dall’Appendice D del Signore degli Anelli che così gli Hobbit chiamavano i giorni tra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno nuovo, e soprattutto considerando che Tolkien ha derivato il termine da una festività pagana germanica. E così per i Warg, nome intraducibile proprio come Troll, essendo creature della mitologia nordica. E a proposito di troll, nel testo originale questi parlano in cockney, il vecchio dialetto delle classi basse londinesi, quindi era necessario in traduzione sgrammaticarne la parlata, fare capire a chi legge che questi tre tizi parlano una variante rozza dell’inglese di Bilbo. Ancora: i titoli dei capitoli dello Hobbit sono tutti riferimenti a modi di dire o a immagini figurate, quindi era giusto sforzarsi, per quanto possibile, di renderli come tali anche in italiano. Le canzoni poi sono state tradotte in maniera un po’ meno libera rispetto alla traduzione storica; ho anche cercato di rendere alcuni giochi di parole e allitterazioni nella prosa, nonché qualche arcaismo, memore della lezione di Ottavio Fatica, così come ho dovuto attenermi alla nomenclatura introdotta da lui, perché questa è la linea editoriale di Bompiani. Mi sono mosso secondo queste linee guida e alla fine sono soddisfatto del risultato. Non è certo uno stravolgimento del testo che conosciamo, del resto sarebbe impossibile, perché l’inglese che Tolkien utilizza nello Hobbit è davvero molto semplice e accessibile, non si concede troppi virtuosismi. I fan più nostalgici e conservatori possono dormire sonni tranquilli». Letture in anteprima della nuova traduzione dello Hobbit si terranno alla Biennale d’Illustrazione Fantastika, domenica 22 settembre, presso il Teatro di Dozza (BO), h 14:30. Saranno presenti il traduttore Wu Ming 4 insieme a Emanuele Vietina, direttore di Lucca Comics & Games e socio AIST, e Andrea Tramontana della casa editrice Bompiani. La prima presentazione del libro invece si terrà proprio a Lucca Comics & Games 2024 (seguiranno dettagli).

Redazione

 

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LINK ESTERNI
– Vai al sito della Bompiani editore

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12 Comments to “A novembre la nuova traduzione dello Hobbit

  1. Alfred Brandy ha detto:

    “Non è certo uno stravolgimento del testo che conosciamo, del resto sarebbe impossibile, perché l’inglese che Tolkien utilizza nello Hobbit è davvero molto semplice e accessibile, non si concede troppi virtuosismi. I fan più nostalgici e conservatori possono dormire sonni tranquilli.”

    Forse… Vedremmo

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Grazie del barlume di fiducia 😉

      • Alfred Brandy ha detto:

        Ho una domanda Wu Ming.
        “ho dovuto attenermi alla nomenclatura introdotta da lui, perché questa è la linea editoriale di Bompiani.”
        Come avresti tradotto tu nomenclatura tolkienana? solo per curiosità

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Ho dovuto rendere “Bag End” con “Casa Baggins”, perché ritraducendo il SdA è stato deciso di mantenere la resa di Alliata. Oggi come oggi, benché si perderebbe la parola “Bag” che ritorna nel cognome della famiglia, forse avrei preferito la vecchia resa nello Hobbit con “Vicolo Cieco”, che restituisce il senso dell’espressione inglese, anche se non il gioco di parole. Oppure “Viottolo Cieco”, dato che è campagna e non in città.
          “Boscuro” mi piace anche, ma non è inquietante come l’originale “Mirkwood”. “Boscotetro”, come aveva tradotto Ciuferri nel 2013 forse sarebbe stato più idoneo.
          Però devo dire che nello Hobbit la nomenclatura ha un impatto molto minore rispetto al SdA, quindi non mi aspetto chissà quali polemiche.

          • Alfred Brandy ha detto:

            Okay.
            P.S. Come avresti tradotto tu nomenclatura tolkieniana della SdA? solo per curiosità

          • Mr. Atlas Rubber Nerd77 ha detto:

            Il nome Mirkwood, composto dai sostantivi wood (bosco, foresta) e mirk (variante arcaica e poetica di oscurità, tenebre), con il suo significato di ampio bosco associato all’idea di un luogo oscuro. Il termine è infatti derivato dalla foresta Myrkviðr della mitologia norrena e fu anglicizzato da Sir Walter Scott (in Waverley) e William Morris (in The House of the Wolfings) e successivamente reso popolare da JRR Tolkien. Secondo me Era meglio Selva Oscura creando cosi l’effetto equivalente letterario in italiano.

          • Wu Ming 4 ha detto:

            A parte due o tre rese poco felici, a me la nomenclatura di Fatica non dispiace. Nella maggior parte dei casi mi pare che colga il significato dei nomi inglesi originali più della traduzione storica. Poi ovviamente è anche una questione di gusti, lo si è detto qui mille volte, certi nomi possono suonare bene oppure no. Personalmente però da anni ho fatto una scelta relativamente radicale, e cioè usare i nomi originali, appunto, eventualmente mettendo tra parentesi la resa italiana. Tolkien credeva molto nell’eufonia dei nomi e a me pare evidente che, ad esempio, né Granburrone, né Forraspaccata, né Valforra (le tre traduzioni esistenti) rendano la musicalità di “Rivendell”.
            E ogni tanto penso che se re Arthur fosse andato a morire sull’Isola Avallona, anziché ad Avalon, un po’ di aura l’avrebbe persa… Però è chiaro che per quanto riguarda Tolkien una sfida è anche proprio questa: tradurre quanti più nomi possibile.
            Per fortuna, come dicevo sopra, io nello Hobbit non ho dovuto tradurre tanti nomi, però sicuramente ho cercato nel mio piccolo delle rese più convincenti di quelle adottate dalle traduttrici precedenti, che in certi casi non mi convincevano proprio. Magari se ne parlerà a novembre, quando uscirà il libro.

          • Mr. Atlas Rubber Nerd77 ha detto:

            “Tolkien credeva molto nell’eufonia dei nomi e a me pare evidente che, ad esempio, né Granburrone, né Forraspaccata, né Valforra (le tre traduzioni esistenti) rendano la musicalità di “Rivendell”.”
            Per conservare anche una certa assonanza con l’originale, che ne dite di Valravina?
            *Ravina: Scoscendimento di terreno, burrone, prodotto dalle acque
            Ammetto che potrebbe non essere immediatamente comprensibile, ma qui sta il bello, no?
            Seno Valfenduta, Valfonda, Valfratta o Vallefratta, Ripafratta.

  2. Lock ha detto:

    Lo Hobbit aveva davvero bisogno di una nuova traduzione. Stimo molto alcuni tuoi scritti per cui sono molto curioso di leggere la nuova traduzione (ma è un libro che amo, per cui non avrò pietà). 🙂 Peccato non si sia stata scelta la copertina della prima edizione inglese, sarebbe stata perfetta (da noi non è mai arrivata). Questa è oggettivamente brutta (capisco che ricalchi quella inglese, ma è brutta pure quella).
    Non ho problemi con Fatica ma alcuni termini della nomenclatura continuo a non digerirli (Valforra, per esempio). Però, amen, ormai così è deciso. Ci sono altri cambiamenti in tal senso?
    Per finire mi raccomando la mappa! Quella dell’edizione precedente DeLuxe era di così bassa qualità che non si leggevano le scritte (in particolare quella delle Terre Selvagge). Vi prego: i nomi scriveteli a mano e non con un bruttissimo font come è avvenuto con quella del Signore degli Anelli. :\

  3. Sandro Sacchetti ha detto:

    “E a proposito di troll, nel testo originale questi parlano in cockney, il vecchio dialetto delle classi basse londinesi, quindi era necessario in traduzione sgrammaticarne la parlata, fare capire a chi legge che questi tre tizi parlano una variante rozza dell’inglese di Bilbo.”
    Secondo me Wu Ming, sarebbe stato meglio usare il dialetto della capitale d’Italia ovvero Roma come equivalente del dialetto di Londra ovvero cockney per arrivare alla lingua d’arrivo.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Eh, sinceramente ci ho pensato, sai?, e anche più di cinque minuti. Ho fatto anche delle prove, ma l’effetto che ottenevo – almeno alle mie orecchie – era troppo ridicolmente italiano. Ok cercare le equivalenze, ma il rischio era quello che la scena dei troll rievocasse i film di Verdone. Nun se poteva senti’.

  4. Ettore Saviano ha detto:

    Questa è una bella notizia, forse.. Chi vivrà, vedrà.

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