Gli Anelli del Potere:
il settimo episodio

Il settimo episodio dello show targato Amazon ci ha finalmente mostrato un po’ d’azione, offrendo scene di battaglia e duelli che, pur non esaltanti, appaiono quantomeno godibili. La narrazione si svolge quasi per intero in una stretta unità di tempo, di luogo e di azione e forse per questo motivo appare più coesa che nelle precedenti puntate. E tuttavia, i difetti tecnici e i problemi di consistenza non mancano nemmeno adesso.

Elfi e topi

Nell’Eregion, Celebrimbor porta finalmente a termine il suo lavoro dopo tante fatiche e sofferenze, e celebra il lieto evento citando la Poesia dell’Anello («Nove per gli Uomini mortali»), cosa che crea uno strano cortocircuito narrativo (1). Naturalmente, gli showrunner avvertono il bisogno di sottolineare ancora (e ancora e ancora e ancora…) quanto la forgiatura degli Anelli del Potere abbia provato mentalmente il fabbro elfico: così, hanno la geniale idea di introdurre un topolino che diventa il suo nuovo amichetto («Salve, Signor Topo», manco fosse Mr. Jingles). Ci si mette pure Annatar, ça va sans dire, che di fronte ai suoi deliri gli sussurra in pieno stile OSA: «Sai quanto puoi essere sbadato». Ma ormai ci avviciniamo al finale di stagione e occorre inventarsi qualcosa per far mangiare la foglia a Celebrimbror. Senonchè, l’espediente narrativo messo in scena a questo scopo appare a dir poco maldestro: egli, infatti, nota che il suo amico roditore si muove secondo un pattern ricorsivo e che braci e candele della forgia non si consumano mai. Insomma, avete presente la classica roba da film di rapine in cui i ladri fanno girare in loop un filmato nel circuito chiuso delle telecamere? Ecco, la grande illusione di Sauron è una cosa del genere. Ci si potrebbe chiedere come faccia un possente Maia, signore di inganni, ad uscirsene con un trucchetto così raffazzonato o perché mai un topo conferirebbe realismo all’illusione, ma va bene così…

In ogni caso, questa soluzione ci conduce al tanto atteso confronto tra Celebrimbor e Annatar: il Signore dei Doni svela infine la propria identità e mostra al suo ormai ex-socio che il mithril utilizzato per i Nove altro non era che il proprio sangue (ma allora tutta la lore creata ad hoc sul prezioso metallo nanico tanto necessario per gli altri Anelli che senso aveva? Perchè Sauron non ha adoperato sin da subito questo espediente che – se interpreto bene il pensiero degli showrunner – gli avrebbe assicurato il pieno controllo su tutti gli Anelli?). Crollata l’illusione di Annatar, Celebrimbor scopre alla buon’ora che la battaglia infuria nell’Eregion e corre dai suoi sudditi per rivelare la verità; naturalmente, nessuno di loro gli crede e i suoi goffi tentativi di convincere Mirdania (ormai follemente innamorata del bel biondino) si concludono con una specie di trucchetto jedi di Sauron, tale da far sembrare che sia proprio il fabbro elfico a gettarla giù dalle mura. Degna fine di un personaggio che muore come è vissuto: inutilmente. Rinchiuso nuovamente nella forgia, il povero signore dell’Eregion riacquista risolutezza e tenta di distruggere i Nove solo per accorgersi che essi non possono essere fusi (occorrerà informare gli showrunner che questa è una prerogativa esclusiva dell’Unico Anello e che gli altri Anelli possono effettivamente essere distrutti – come lo sono stati quattro di quelli in mano ai Nani). La soluzione, allora, è portarli al sicuro il più lontano possibile, così Celebrimbor è costretto a mutilarsi una mano per liberarsi delle catene che lo avvinghiano. Nelle intenzioni degli autori, questa scena degna di Saw dovrebbe mostrare tutta la determinazione del fabbro elfico («Chi ha la volontà più ferrea?») ma sortisce l’effetto involontariamente comico di mostrarlo – lui che è secondo solo a Fëanor – del tutto incapace di forzare una semplice manetta. A questo punto, il fatto che Galadriel lo liberi dai suoi stessi soldati – i quali ora inneggiano ad Annatar “signore dell’Eregion” – affermando che «si tratta di Lord Celebrimbor, il più grande dei fabbri elfici» suona di presa per i fondelli. Segue un patetico momento di autoaiuto (proprio l’ideale nel furore della battaglia) in cui entrambi si confessano di aver sempre saputo in cuor loro la verità su Annatar e Galadriel ammette che è tutta colpa sua: è già qualcosa, tutto sommato. E non c’è che dire: Celebrimbor la prende davvero bene, come se la distruzione del suo meraviglioso reame causata dall’elfica Karen fosse poca roba, ed anzi la scongiura di portar via i Nove ed evacuare i superstiti, mentre lui condividerà il destino della città ormai in fiamme. Ovviamente, gli stessi soldati che prima lo volevano agguantare ora sono pronti al sacrificio con lui. Bene ma non benissimo.

Finalmente un po’ di azione?

In questo episodio assistiamo alle tanto attese scene di combattimento che giustificano almeno in parte i faraonici costi di produzione della serie. I numeri in campo appaiono finalmente considerevoli – specie al confronto di quelli visti nella precedente stagione – eppure siamo ancora assai distanti dal respiro epico delle battaglie dipinte dalle trilogie jacksoniane o da altri prodotti seriali ad alto budget come Game of Thrones o House of the Dragons, i quali costituiscono il più chiaro termine di paragone per la serie targata Amazon. Le inquadrature, non si sa perché, appaiono sempre troppo strette – campi lunghissimi e lunghi paiono aboliti nella grammatica delle immagini di questo episodio – e stentano ad offrire le grandiose visioni d’insieme che scene campali di quel tipo richiederebbero, col risultato che persino ciò che dovrebbe avere proporzioni epiche appare piccolo e insignificante. Non si tratta certamente di un limite tecnico, dal momento che Amazon MGM Studios è tutt’altro che a corto di mezzi, né parrebbe essere una precisa scelta narrativa della quale, in ogni caso, non si intuirebbero le ragioni; sembra piuttosto che si tratti di semplice incapacità registica. Del resto, gli showrunner mostrano una certa insipienza in fatto di dinamiche militari quando mostrano una carica di cavalleria che si arresta nell’arco di pochi passi (un’azione, nonché impossibile, praticamente suicida). Non si pretende, per carità, che mettessero in scena un trattato di arte della guerra (del resto, Hollywood abbonda di scene di battaglia del tutto inaccurate) ma che almeno gestissero in maniera appena sensata un momento potenzialmente esaltante. Come se non bastasse, gli autori si cavano d’impaccio dai vicoli ciechi in cui si cacciano da soli semplicemente cambiando scena. Un attimo prima, la cavalleria è lì, immobile a pochi passi dagli orchi, ai quali basterebbe pochissimo per farne strage. Un attimo dopo, Elrond si trova già nell’accampamento di Adar a parlamentare. Cos’è successo nel frattempo? Migliaia di cavalieri si sono semplicemente ritirati in buon ordine dando le spalle al nemico? Gli orchi hanno generosamente concesso quartiere agli avversari rinunciando a una vittoria che più facile non si poteva? Elrond è smontato da cavallo e ha chiamato time-out? È suonata la campanella della ricreazione? Non è dato saperlo.

E veniamo alla tragicomica scena nell’accampamento di Adar. Il Signore-Padre continua a invocare le proprie ragioni: vuole la pace per il suo popolo vessato, non è in lotta con gli Elfi e intende solo distruggere Sauron, vero padrone di un Eregion ormai contaminato. Elrond e Galadriel tentano di controbattere ma questi minaccia di far tagliare la lingua all’intrepida elfa in catene (e sotto sotto speriamo che porti a compimento un così encomiabile proposito). Infine, l’araldo di Gil-galad gli dà convegno sul campo di battaglia e questi, cavallerescamente, gli concede persino un ultimo saluto all’amica. Così, arriva il bacio tra i due che tutti attendevamo con ansia (nel senso che provavamo ansia al solo pensiero che potesse verificarsi). Ora, è pure encomiabile che questa serie combatta ogni stereotipo ma presentare un rapporto suocera-genero così affettuoso mi pare un tantino eccessivo! In ogni caso, la calorosa effusione offre ad Elrond la chance di allungare a Galadriel la fedele spilla-grimaldello che egli porta sempre con sé – roba che manco 007; magari nell’equipaggiamento dell’elfo ci fosse anche una spada capace di tagliare una miserrima corda di catapulta…

Così Galadriel riesce a fuggire, si aggira per un po’ nel campo nemico travestita da orco (mi ricorda qualcosa…), trova un impiego temporaneo nelle pompe funebri adariane ed infine è messa alle strette da tre tipacci e salvata da un Arondir che pare arrivato lì per caso. Con un agile balzo la dama è già fuori dalle trincee, lasciando lo spettatore a chiedersi perché non l’abbia fatto prima.

Frattanto, gli orchi scoprono una profonda verità: la guerra è una gran brutta cosa. Di fronte a tanta morte, uno di loro (evidentemente un pacifista) protesta con Adar: «Avevi detto che ci amavi». E lui, mellifluo: «Troppo, per rendervi schiavi di Sauron». Cos’è questa roba? Una specie di amore tossico? Vi amo e quindi vi lancio al massacro? Come avevo già scritto in precedenza, questa serie vorrebbe mostrare il “lato umano” degli orchi prendendo una posizione “moderna” sulla questione della loro malvagità che tanto aveva occupato i pensieri dello stesso Tolkien. Proposito persino encomiabile la cui soluzione, però, si rivela infine del tutto maldestra: finché si tratta di combattere, di mettere a repentaglio i “buoni” o di usare un linguaggio da taverna, gli orchi si comportano… be’… da orchi; poi, però, davanti al Signore-Padre, diventano delle mammolette piagnucolose che vorrebbero solo pace e serenità. Va da sé che un simile tentativo di umanizzazione sortisce un effetto praticamente opposto rispetto alle intenzioni, rendendo gli orchi più meccanici e drammaticamente vuoti di quanto non siano nelle fonti originali. Se, insomma, in Tolkien – ed in parte anche in Jackson – essi sono presentati come creature che, pur non pienamente libere di scegliere, hanno comunque optato per il male, qui non si capisce quale sia la loro volontà, posto che ve ne sia una. Lo stesso Adar appare quanto meno bipolare: lancia al massacro i suoi amati “figli” come un Cadorna ma poi piange quando ne vede uno morto. Occorre dare atto a Sam Hazeldine di fare tutto quel che può per conferire spessore al personaggio (ma resta il rimpianto di aver perduto l’ottimo Joseph Mawle); l’attore riesce a creare persino dei momenti convincenti ma contro una scrittura così approssimativa non c’è battaglia.

Del resto, a proposito di amori tossici, è impossibile tacere il rapporto che è stato costruito tra Sauron e Celebrimbor: «Visto che mi hai costretto a tormentarti per portarli in vita [gli Anelli]», dice il Signore dei Doni, «io sono solo una vittima della tua ostinazione e tu il vero autore del tuo tormento». Come dire: se ti faccio del male è esclusivamente colpa tua. Ma davvero? Oltretutto, Annatar afferma di essere crudele con Celebrimbor come Melkor lo è stato con lui («Devi sapere che mi addolora trattarti […] come Morgoth ha trattato me. Sai com’è essere torturati dalle mani di un dio?»). Tralasciando che l’Oscuro Signore sembra aver ascoltato troppo Marco Ferradini, “dosa bene amore e crudeltà”, l’idea che egli sia stato torturato da Melkor (per diventarne il servitore?) non trova alcun fondamento in Tolkien (2). Si potrebbe obiettare che si tratta di un inganno per piegare la volontà di Celebrimbor, ed avrebbe pure senso, ma già nell’ultimo episodio della scorsa stagione un Sauron in lacrime aveva confidato a Galadriel: «Quando Morgoth fu sconfitto fu come se un grosso, serrato pugno avesse allentato la presa dal mio collo e nel silenzio della prima aurora finalmente ho avvertito la luce dell’Uno [When Morgoth was defeated, it was as if a great, clenched fist had released its grasp from my neck. And in the stillness of that first sunrise, at last, I felt the light of The One again]». Inganno pure quello? O gli showrunner suggeriscono che fra tante menzogne vi sia un fondo di verità? Tutto questo a me suona fin troppo di backstory (Hollywood ne è ormai ossessionata) buttata lì per spiegare – ergo: giustificare – la malvagità del personaggio. Quanto questo risponda, se non alla lettera, allo spirito tolkieniano lo giudichino gli spettatori.

Ad ogni modo, questo episodio sottolinea in maniera particolarmente chiara come Gli Anelli del Potere sottoponga gli Elfi a quel che in campo (cine)fumettistico e videoludico è definito nerfing, cioè un programmatico depotenziamento per ragioni di convenienza narrativa. Col risultato che, fatti salvi alcuni Elfi fastidiosamente overpowered come Galadriel e Arondir – quest’ultimo, in particolare, nell’episodio in analisi compie prodezze tali da far sembrare statico ed imbranato il tanto discusso Legolas dello Hobbit cinematografico – gli altri stentano a competere con dei “semplici” orchi persino in un combattimento uno contro uno. Sappiamo bene che non ci troviamo più nella Prima Era e che gli Elfi  stanno (lentamente) perdendo quell’antica possanza che aveva permesso loro di trionfare nella Dagor-nuin-Giliath e nella Dagor Aglareb, di duellare con i Balrog (vedi Glorfindel o Fëanor) o di tener testa a Morgoth in persona (Fingolfin); ma questo gioco al ribasso pare davvero eccessivo. Mi sembra che si tratti, peraltro, di un più ampio problema che concerne la loro raffigurazione in una serie nella quale risultano appena distinguibili dagli Umani.

Durin tra l’incudine e il martello

A Khazad-dûm, frattanto, soffiano venti di rivolta. Re Durin, in preda al potere dell’Anello, ormai ha in mente solo di scavare e scavare, incurante dei pericoli che potrebbe risvegliare (del Balrog giungono da tempo sentori). Anche i sudditi più fedeli si rendono conto che qualcosa non va, così chiedono a Durin figlio di intervenire per detronizzare il sovrano, che frattanto si è rinchiuso nella sala del trono, con un’ascia in mano e le peggiori intenzioni nel cuore. Il povero principe, che frattanto ha ricevuto la richiesta d’aiuto da parte di Elrond, si trova – ed è il colmo per un Nano, a ben pensarci – tra l’incudine e il martello: soccorrere l’amico o salvare il suo popolo? Il suo discorso davanti ai guerrieri è davvero suggestivo e commovente: peccato che dopo tanti bei discorsi sulla lealtà dei Nani «più poderosa di qualsiasi stregoneria, più potente di qualsiasi armata, più profonda delle ossa della terra» tutto finisca in un nulla. Così, durante la battaglia dell’Eregion, Elrond attende l’arrivo dei rinforzi in una scena che fa tanto fosso di Helm – ma qualcuno, vi prego, spieghi a Elrond che il sole sorge a est e non a nord – ma l’esercito nanico non arriva, decretando la sconfitta degli assediati. Costernato, l’araldo di Gil-galad affronta Adar sul campo, finendo sconfitto e ricevendo una lezioncina («Mai fare guerra con rabbia») che fa un po’ zen e un po’ Paulo Coelho. Del resto, pare uscita dal Manuale del guerriero della luce anche la melensa tiritera di Celebrimbor: «Non è la forza che prevale sull’oscurità ma la luce. Le armate possono sorgere, i cuori possono cedere, tuttavia la luce resiste ed è più maestosa della forza perché alla sua presenza ogni oscurità deve svanire [It is not strenght that overcome darkness, but light. Armies may rise, hearts may fail, yet still light endures and is mightier than strenght. For in its presence darkness must flee]». Boh, spiegatemela voi.

I veri momenti clou dell’episodio

Questo episodio, in ogni caso, offre diversi momenti involontariamente (spero) comici. Anzitutto, ci mostra alcuni usi creativi degli orchi: uno diventa un proiettile da catapulta in una scena telefonatissima che pare uscire fuori da quell’insuperabile capolavoro che è L’Armata delle Tenebre; altri diventano un utile scudo per il troll Damrod, personaggio presentato come il grande asso nella manica di Adar ma spacciato nel giro di poche scene. E non dimentichiamo le gufate epiche: durante la battaglia, Elrond si avvicina all’arciera Rían e le dice: «Una tua singola freccia potrebbe invertire la marea»; neanche il tempo di concludere e la poverina viene crivellata di dardi. Che il nobile araldo di Gil-galad porti sfiga? Passiamo al bello e tenebroso Arondir: il suo unico proposito è uccidere Adar, che gli ha strappato – parole sue – ogni cosa; ma c’è sempre tempo per migliorare e il Signore-Padre gli strappa anche la vita (ma non è escluso il ritorno). Vedete un po’ voi…

Menzione speciale per la canzone dei titoli di coda, The Last Ballad of Damrod, cantata dal frontman dei Meshuggah Jens Kidman. Non sono un fan della band svedese ma questo, a mio avviso, rimane il momento migliore dell’episodio, forse perché lo chiude.

1) Tolkien non specifica chi sia l’autore della Poesia dell’Anello, si limita ad affermare attraverso Gandalf che è «da lungo tempo nota nella tradizione elfica [in Elven-lore]» (SdA, I, ii). Ciò non implica che sia stata composta dagli Elfi; è possibile che i versi conclusivi, incisi sull’Anello in Linguaggio Nero, siano stati proferiti da Sauron e che quelli che li precedono siano stati composti dai maestri di sapienza tra gli Eldar. In ogni caso, pare evidente che la Poesia dell’Anello sia cronologicamente più tarda della forgiatura degli Anelli del Potere.

2) Nel Silmarillion è detto che, dopo la sconfitta di Morgoth, Sauron si pentì e si sottomise ai Valar ma poco dopo «ricadde nel male, poiché i lacci che Morgoth gli aveva gettato sopra erano assai forti [he fell back into evil, for the bonds that Morgoth had laid upon him were very strong]» (Degli Anelli del Potere e della Terza Era). Intendere questo passaggio come l’indizio di una schiavitù o di una costrizione di colui il quale era «il massimo e il più fido dei servi dell’Avversario, nonché il più pericoloso» (ivi) appare come un’interpretazione decisamente forzata.

SPECIALE SERIE TV

Recensioni delle puntate della Seconda Stagione:
– Gli Anelli del Potere: il sesto episodio
– Gli Anelli del Potere: il quinto episodio
– Serie tv: la recensione del quarto episodio
– Serie tv, la recensione dei primi tre episodi

Notizie:
– Gli Anelli del Potere, gli showrunner: «Abbiamo improvvisato»
– Gli Anelli del Potere: Tom Bombadil nella serie tv Amazon
– Gli Anelli del Potere: l’analisi del trailer
– Gli Anelli del Potere: tutte le novità

Recensioni delle puntate della Prima Stagione:
– Episodio 8) Gli Anelli del Potere: finale di stagione
– Episodio 7) Gli Anelli del Potere: note su ”L’Occhio”
– Episodio 6) Gli Anelli del Potere: note sul sesto episodio
– Episodi 4-5) Gli Anelli del Potere: note dopo 5 episodi
– Episodio 3) Episodio 3: arrivano Númenor e Adar
– Episodi 1-2) Gli Anelli del Potere: i primi due episodi

 

LINK ESTERNI:
– Vai alla pagina facebook Lords for the Ring on Prime
– Leggi il comunicato di Amazon

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4 Comments to “Gli Anelli del Potere:
il settimo episodio”

  1. Alfred Brandy ha detto:

    Episodio non good.

  2. Lillio ha detto:

    Bella recensione, ma c’è un errore. I grandi anelli possono essere distrutti solo dal fuoco di drago e non in una fornace.l’unico anello può essere distrutto solo nel monte fato. Gandalf lo afferma nel consiglio di Elrond, specificando che neanche il fuoco del drago Ancalagon può danneggiare l’unico.

  3. Paolo Pizzimento ha detto:

    Concordo con quanto dici sull’Unico. Ma nel capitolo L’ombra del passato si legge: «Hanno detto che il fuoco di drago può fondere e consumare gli Anelli del Potere, ma ormai sulla terra non c’è drago dall’antico fuoco abbastanza caldo [It has been said that dragon-fire could melt and consume the Rings of Power, but there is not now any dragon left on earth in which the old fire is hot enough]». Gandalf qui sta parlando de relato, basandosi appunto su quanto narrato degli Anelli nanici, e oltretutto non afferma che solo il fuoco di drago possa distruggere gli Anelli. Mi stupirebbe, in realtà, se il loro artefice fosse stato incapace di disfarli (salvo, ovviamente, l’Unico che non è stato prodotto da Celebrimbor).

  4. Lillio ha detto:

    Ciao Paolo, grazie per la risposta. Sono andato a cercare il passo, personalmente l’ho interpretato come riferito a tutti i grandi anelli (anelli del potere), ma ovviamente l’esperienza diretta la si è avuta solo con riferimento ai sette, effettivamente distrutti dai draghi.
    Su Wikipedia si fa riferimento al fatto che Sauron stesso non potrebbe distruggere l’unico, pur essendone l’artefice. Non potendo controllare le lettere di Tolkien come fonte, dando per buono questo assunto, personalmente mi convinco che una volta creati i grandi anelli, lo stesso Celebrimbor non possa più distruggerli, perché dotati di poteri superiori a suoi. Una sorta di processo alchemico che ne amplifica i poteri (per i sette e i nove anche lo zampino di Sauron).
    In ogni caso, lo ripeto, penso sia solo una divergenza di interpretazioni su un punto non chiarissimo.
    Concludo con una considerazione, se anche Celebrimbor avesse potuto distruggere i nove, nella serie sembra che si limiti a buttarli in un fuocherello.

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