Per certi versi si potrebbe dire che La Caduta di Númenor, il volume curato da Brian Sibley in uscita il 15 gennaio nella traduzione italiana di Stefano Giorgianni (Bompiani € 35), rappresenta un’opera di “servizio”, senza sminuirla affatto. Anzi, il volume ha un grande merito proprio per come è stato concepito dal suo curatore. Sibley ha raccolto i vari scritti tolkieniani che riguardano la Seconda Era, prendendoli dalle Appendici del Signore degli Anelli, dal Silmarillion, dai Racconti Incompiuti e dalla Storia della Terra di Mezzo, e ha disposto gli eventi in sequenza cronologica. In questo modo, pur riproponendo testi già pubblicati, si facilita la comprensione di un pezzo di storia così cruciale per tutto ciò che verrà dopo nell’evoluzione del mondo tolkieniano. Si tratta in buona parte dell’arco temporale che viene molto liberamente riassunto nella serie Amazon Gli Anelli del Potere, e che qui invece può essere letto nella sua versione originale (con gli impietosi confronti del caso…).
Così essa cadde
La narrazione segue principalmente la storia della grande isola di Númenor, donata agli uomini dal dio creatore Ilúvatar come ricompensa per il loro aiuto contro “l’angelo caduto” Morgoth nella Prima Era. L’epopea di Númenor e dei Dúnedain, nella quale Tolkien rilegge a modo suo il mito classico della civiltà di Atlantide, simboleggerà l’apice e la caduta dell’umanità, un tema centrale nell’opera tolkieniana. Il testo affronta infatti l’ascesa della civiltà númenóreana, con la sua straordinaria perizia marittima, la sua grandezza culturale, la colonizzazione commerciale della Terra di Mezzo, la lotta contro Sauron, e la sicumera dei re di Númenor nel trarlo prigioniero sull’isola e poi perdonarlo, lasciandolo così in condizioni di irretire la società degli Uomini e di fomentarne i più illusori sogni di gloria. La tentazione è sempre la stessa: sconfiggere la morte, diventare dèi, accedere alle Terre Beate. Sogni che porteranno i re di Númenor a tentare di raggiungere Valinor, venendo distrutti e subendo l’ira divina. Il volume culmina nel cataclisma che fa sprofondare Númenor nel mare, evento ispirato appunto al mito di Atlantide e all’immagine della Grande Onda, che Tolkien stesso riconosceva come una delle sue ossessioni ricorrenti. È la famosa Akallabêth, parola che nella lingua di Númenor, l’adûnaico, significa “Così essa cadde” o più semplicemente “la Caduta”, e che invece in Quenya è Atalantë.
La distruzione di Númenor è raccontata in un tono epico e struggente, che riecheggia la caduta di grandi civiltà del mondo primario. I superstiti, salvatisi per essere rimasti fedeli ai Valar, fuggiranno nella Terra di Mezzo, dove fonderanno i regni Númenóreani in esilio di Arnor e Gondor.
Chiunque leggendo Il Signore degli Anelli o vedendo i film che ne sono stati tratti sia rimasto affascinato da personaggi come Aragorn, Boromir e Faramir, può qui scoprire la storia della loro stirpe, il lungo prequel del romanzo più famoso di Tolkien. Questo vale anche e forse soprattutto per Sauron, che, almeno stando al titolo scelto da Tolkien per il suo opus magnum, potrebbe essere considerato paradossalmente il protagonista “in absentia” di quel romanzo. Nella storia di Númenor compare e agisce in prima persona con tutta la scaltrezza di cui è capace, da degno erede del suo maestro Morgoth, fino alla forgiatura degli Anelli del Potere e soprattutto dell’Unico.
Il lavoro di Sibley
Brian Sibley (Londra, 1949) è scrittore, giornalista e autore di drammi e documentari radiofonici. Tra i suoi adattamenti c’è la versione del 1981 del Signore degli Anelli per la radio britannica. È anche noto per essere l’autore di molti libri sul “making of” dei film, tra cui quelli della serie di Harry Potter e delle trilogie del Signore degli Anelli e dello Hobbit.
Con La Caduta di Númenor fa un ottimo lavoro nel ricostruire un’unica narrazione coerente dai frammenti sparsi in diverse opere, sempre rispettando il testo originale di Tolkien. La struttura è accompagnata da una prefazione che introduce il contesto e spiega le fonti utilizzate. Soprattutto questa curatela è arricchita dalle straordinarie tavole a matita di Alan Lee, che evocano con maestria l’atmosfera prima solenne e poi crepuscolare di Númenor.
Nel paratesto, Sibley si premura anche di ringraziare a più riprese Christopher Tolkien, che definisce «diligente curatore, dotato di uno stile di scrittura agile ed elegante, personale, che si integra alla perfezione con quello del padre». Forse si può iniziare a sperare che Christopher venga finalmente inquadrato dalla critica letteraria come un co-autore di fatto del Legendarium tolkieniano, accettando che sotto lo stesso cognome e la stessa sigla vi siano non uno ma due autori con ruoli diversi.
Tuttavia la constatazione più importante rimane quella da cui si è partiti. Operazioni di assemblaggio e ricomposizione come questa possono aiutare coloro che non conoscono dettagliatamente l’opera di Tolkien a fruirla in maniera più semplice, senza doversi orientare nel mare magnum degli scritti pubblicati a varie riprese, in vari volumi e versioni. In questo senso, Sibley compie un ottimo servizio al lettore e, conseguentemente, anche all’autore.
Speriamo che questa opera aiuti a far giustizia e ad aprire gli occhi di coloro che non comprendono bene quanto una certa serie abbia fatto scempio dei testi del Professore.