Il saggio di Verlyn Flieger che vi proponiamo è la conferenza tenuta durante il Tolkien Seminar svoltosi a Modena il 25 novembre 2011 curato dall’Istituto filosofico di studi Tomistici e dall’Associazione romana studi Tolkieniani. In “Mito e verità nel Legendarium tolkieniano” si mostra come i miti esprimano credenze o visioni del mondo profondamente radicate in un popoloo, che danno significato alla cultura di cui sono parte. Se questo è vero per la realtà, lo è ancor di più nelle opere di J.R.R. Tolkien. E, come lui stesso scrive in una lettera, «è necessario ricordare che miticamente questi racconti sono elfocentrici, non antropocentrici». Le storie degli Elfi sono raccontate dal punto di vista degli Elfi. Ma lo scrittore teneva moltissimo al fatto che ogni storia avesse un suo punto di vista, e più volte evidenziò come l’origine delle storie si colloca nella tradizione orale. Conseguneza di questo, c’è anche l’evidente circostanza che nessuna di esse gode di un’autorità preminente sulle altre. Una verità talmente banale da essere trascurata da molti studiosi. Lo stesso figlio di Tolkien, Christopher, in un primo momento non comprese queste azioni e, con Il Silmarillion edito nel 1977, fu infedele al progetto di Tolkien smantellando la cornice narrativa costruita con così tanta cura dal padre attorno alle sue storie e rimuovendo così il punto di vista. Christopher, poi, se ne accorse e si scusò. Il risultato fu la History of the Middle-earth.
Una rivoluzione negli studi
Le osservazioni della Flieger, fatte riprendendo un capitolo del libro “Interrupted music: the making of Tolkien’s mythology” (2005), rappresentano una piccola rivoluzione copernicana negli studi tolkieniani. Il mito di Arda sarebbe in divenire, cioè mito storico, mito per qualcuno (sia esso elfo, uomo, nano, hobbit… e magari anche orco), quindi un mito relativo. Un mito che può certo contenere sfaccettature di verità, perché racconta qualcosa sulla condizione e sulla natura umana, ma non già di una verità rivelata o trascendente. Quella di Tolkien sarebbe quindi la narrazione della narrazione di un mondo; la ricostruzione del percorso storico-narrativo che ha portato una mitologia a diventare letteratura. «In quei dodici volumi della History of the Middle-earth», scrive Flieger, «possiamo vedere Tolkien non già mentre crea una mitologia per l’Inghilterra, ma mentre sperimenta una varietà di cornici, di voci narranti, e di congegni narrativi per compiere il passaggio dal racconto orale al libro stampato, per mostrare attraverso quali mediazioni e quali espedienti esso arriva nelle nostre mani». La Storia ha il sopravvento tanto sulla Tradizione quanto sul Verbo. Ciò che trionfa è appunto il racconto stesso, che trascina dentro i lettori e si fa prendere sul serio, pur rimanendo sempre il racconto di qualcuno a qualcun altro. Non è affatto da escludere che
proprio in questa relatività, in questa magmatica continua riscrittura, risieda parte del suo effetto “realistico”.
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