Sarà il caldo, sarà l’imminente arrivo del primo dei due film dedicati da Peter Jackson allo Hobbit, ma dopo anni di calma piatta ecco che la Bompiani, la casa editrice che detiene i diritti di pubblicazione delle opere di J.R.R. Tolkien, edita una nuova traduzione dello Hobbit. Messa in soffitta la ormai storica traduzione di Elena Jeronimidis Conte (di quasi 40 anni fa!), che la casa editrice aveva ricevuta in eredità dalla Rusconi, a sua volta su concessione della Adelphi, ecco un nuovo testo italiano ad opera di Caterina Ciuferri, con la supervisione di Paolo Paron per la Società Tolkieniana Italiana. Era proprio ora che, dopo anni di silenzio, si mettesse mano alle traduzioni di Tolkien, che avrebbero bisogno di essere aggiornate. Uscita il 20 giugno, per ora la nuova traduzione è presente solo nella versione economica, all’interno dei Grandi Tascabili Bompiani. Il volumetto presenta le belle mappe dell’autore e le illustrazioni di Alan Lee (prezzo di copertina di 11 euro, ma su internet già si trova a 9,35). Questa nuova traduzione sostituirà anche quella presente nella edizione de Lo Hobbit Annotato da Douglas A. Anderson, la cui edizione del 2003 è stata curata da Oronzo Cilli, ma con note e apparati di Raffaella Benvenuto e Lorenzo Gammarelli. Il nuovo volume sarà in libreria in concomitanza con l’uscita del film nelle sale. Ultima curiosità: insieme a Lo Hobbit è stata pubblicata una ristampa economica del Signore degli Anelli diviso in tre volumetti, che è identica alle precedenti, ma che ha il pregio di avere in copertina i disegni originali dell’autore.
Storia della vecchia edizione
Lo Hobbit vide la luce in Italia oltre 35 anni dopo la sua pubblicazione in inglese (1937), sulla scia del successo editoriale de Il Signore degli Anelli, apparso tre anni prima per Rusconi (escludendo la non fortunata edizione Astrolabio). Era il 1973 ma si trattava di un altro editore, Adelphi anziché per Rusconi. L’Adelphi aveva chiesto i diritti anche per Il Signore degli Anelli , ma la domanda arrivò troppo tardi. «Avevamo chiesto i diritti de Il Signore degli Anelli, ma la nostra proposta arrivò tardi a Londra: allora non c’era l’e-mail, si faceva tutto con le poste», ha rivelato il direttore editoriale Roberto Calasso in una intervista (Il fatto quotidiano, 26 novembre 2010). In compenso, Adelphi ottenne i diritti per Lo Hobbit e la traduzione fu affidata a Elena Jeronimidis Conte, una giovane italiana da poco emigrata a Londra, come riportato da Lorenzo Gammarelli nel volume C’era una volta… Lo Hobbit (Marietti, 2012). Jeronimidis Conte, che era lettrice nel Dipartimento di Italiano all’Università di Reading, si era proposta lei stessa come traduttrice nel dicembre 1971 prima a Unwin & Allen, poi ad Adelphi, inviando la bozza del primo capitolo in italiano. Durante il lavoro di traduzione, Jeronimidis Conte ebbe una breve corrispondenza epistolare con Tolkien, che fu molto generoso nello spiegare come era arrivato a creare i nomi di alcuni personaggi e delle “genti” nella saga dello Hobbit e del Signore degli Anelli (un misto di scelte arbitrarie e di profonda conoscenza delle fiabe e dei miti europei, soprattutto germanici, volto a creare un linguaggio indipendente dall’inglese).
La prima edizione italiana dello Hobbit fu pubblicata nell’ottobre 1973 da Adelphi, nella collana “Biblioteca Adelphi”. Nel testo dei risvolti di copertina si fa esplicito riferimento al Signore degli Anelli: «In questo fatto è il germe della grande saga che Tolkien proseguirà nei tre libri del Signore degli Anelli, dove sarà riproposto e illuminato nel suo durissimo senso un tema segreto dello Hobbit, un tema inesauribile per qualsiasi lettore: che cosa fare dell’Anello del Potere?». Da queste parole è quindi ipotizzabile che il successo dell’edizione italiana del Signore degli Anelli abbia avuto almeno qualcosa a che fare con la decisione di pubblicare il testo. Questa edizione è giunta fino a noi, subendo però delle modifiche nel 2004 con l’edizione de Lo Hobbit Annotato da parte di Bompiani.
Un lavoro professionale
Ora, la nuova traduzione di Caterina Ciuferri ci riserva delle sorprese rispetto alle scelte precedenti, tra l’altro offrendoci un linguaggio più moderno ma anche una parziale semplificazione della sintassi. Questa edizione vede la dicitura “in collaborazione con Paolo Paron per la Società Tolkieniana Italiana” e le splendide illustrazioni di Alan Lee». Abbiamo avuto l’occasione di sentire la traduttrice, che è stata ben lieta di rispondere alle nostre domande.
Caterina Ciuferri, la sua traduzione è più fedele al testo originale?
«Posto che il primo dovere del traduttore è quello della massima fedeltà al testo, ed anche se talvolta si suole dire che “traduttore” è sinonimo di “traditore”, ho cercato, per quanto mi è stato possibile di rispettare non solo il testo originale, ma anche il ritmo e lo stile anglosassone di uno degli autori che meglio conosco, JRR Tolkien, prolifico scrittore, creatore di cosmogonie e, last but not least, insigne professore di “Old English” a Oxford. Ciò per quanto del resto consentitomi dalle diversità sintattiche esistenti tra la lingua inglese e italiana (soprattutto in termini di numero di vocaboli), e per la conoscenza, quasi mnemonica, della vecchia versione italiana da parte del nutrito popolo tolkieniano che non si poteva di certo deludere».
Conosceva già lo scrittore inglese?
«Lo Hobbit, oltre ad essere stato oggetto della mia tesi di laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne, è stato da me precedentemente tradotto per conto della casa Rusconi/Bompiani nella forma di comic book, egregiamente illustrato da David Wenzel. Dello stesso autore ho tradotto per Bompiani I Figli di Húrin nel 2007».
Secondo lei, quale può essere il fascino del libro?
«Sembra una storia per ragazzi, ma in realtà ha radici profonde. Per rimanere in tema di Old English e letteratura anglosassone, ho tradotto Beowulf e il frammento di Finnsburg per la casa editrice Il Cerchio. E proprio Tolkien era un profondo conoscitore di Beowulf, al punto che i temi del poema epico anglosassone ricorrono spesso in tutta la sua opera, incluso ne Lo Hobbit».
Alcune cose cambiano, nella nuova versione de Lo Hobbit, a cominciare dal sottotitolo Un viaggio inaspettato, ritenuto più vicino alla prossima trilogia cinematografica di Peter Jackson rispetto all’originale Andata e ritorno. Gli appassionati di Tolkien troveranno lievi ma significative differenze: niente più «orchetti», ma «orchi»; non più i tre «Uomini Neri» che si pietrificano alla luce del primo sole, ma i veri e antichi «Troll»; non più la «Valle» ma la «Conca»; fra i nomi degli animali compariranno differenze perdute nella versione precedente, come i «corvi imperiali» distinti dai semplici «corvi», dove ogni razza contribuisce a caratterizzare la complessa cosmogonia di Tolkien. Del resto era stato l’autore stesso a lasciare l’indicazione precisa ai suoi traduttori di rispettare certi arcaismi presenti nello Hobbit. Così le traduzioni di alcuni nomi notevoli sono state cambiate: Mirkwood, che era “Bosco Atro” (come nel Signore degli Anelli) è diventato “Boscotetro”; Esgaroth (Laketown), che era “Pontelagolungo” è diventata “Città del Lago”; Rivendell, che era “Forraspaccata”, è diventato “Gran Burrone” (è “Granburrone” nel Signore degli Anelli); purtroppo gli stessi nomi non sono stati corretti sulle due mappe che corredano il libro. Ciò che cambia, e in meglio, nella nuova traduzione di Caterina Ciuferri, sono in parte il ritmo e lo stile, più vicini al modello anglosassone.
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Ma la versione in tre volumi “identica alle precedenti” le ha le 20 righe mancanti dalla fine del capitolo I del secondo libro?