Che Tolkien fosse un amante della natura non è un mistero per nessuno; anche a chi si accosta alla sua opera solo superficialmente non può sfuggire la cura e il dettaglio con cui il Professore di Oxford descrive gli ambienti in cui i suoi personaggi si muovono, fin quasi a renderli co-protagonisti della storia. Una delle sue creazioni più originali, non basate cioè su figure fantastico-mitologiche preesistenti (come possono essere gli Elfi o i Nani o gli Orchi), sono proprio gli Ent, ossia i “Pastori degli Alberi”: figure gigantesche dall’aspetto arboreo, ma capaci di parlare e di muoversi autonomamente, il cui compito è di custodire le foreste. Perché per Tolkien, che amava appassionatamente gli alberi e le piante in generale, la foresta è un’entità dotata di una vita propria, indipendente da quella degli Uomini (e degli Elfi, e dei Nani…), ma non per questo meno “viva” e intensa, una vita di cui i personaggi si rendono conto solo quando essa si dimostra ostile, come nel caso della Vecchia Foresta ai confini della Contea, i cui alberi sembrano congiurare per ostacolare e sviare i viaggiatori, o del Vecchio Uomo Salice, che li attira e li incanta per poi intrappolarli all’interno del proprio tronco o annegarli nel fiume sulle cui rive cresce. Naturalmente tutto questo è solo frutto di immaginazione. Oppure no?
“Alberi Madre” e reti di funghi: come gli alberi comunicano tra loro nel sottosuolo
La dottoressa Suzanne Simard, ecologa forestale all’Università della British Columbia, già da molto tempo ha ipotizzato che tra gli alberi di una foresta avvenga una sorta di “comunicazione” tramite il fitto reticolo di ife dei funghi che vivono in simbiosi sulle loro radici, detti “micorrize” (dal greco mykos = fungo e riza = radice). In questa simbiosi, i funghi avvolgono e compenetrano le radici degli alberi a cui si associano con un fitto reticolo di ife (i sottili filamenti che costituiscono il vero fungo, di cui il familiare “frutto” a ombrello costituisce solo un mezzo per la propagazione delle spore): in questo modo essi sono in grado di sfruttare il carbonio prodotto dalla pianta tramite la fotosintesi per il proprio nutrimento (i funghi non effettuano la fotosintesi, quindi non sono in grado di autoprodursi il proprio nutrimento come le piante), mentre a sua volta la pianta sfrutta le capacità del fungo di rendere più “assimilabili” per la pianta i minerali del suolo o dell’aria (ad es. l’azoto), o di difenderla dai parassiti tramite la produzione di tossine. Generalmente si formano associazioni “preferenziali” tra certe specie di piante e certe specie di funghi, tra cui ben note agli appassionati italiani sono quelle tra querce e tartufi e tra porcini e castagni. Esistono poche specie vegetali non “micorrizate”, e si stima che almeno l’80% delle piante esistenti al mondo presenti questo tipo di simbiosi.
Ma la dottoressa Simard ha dimostrato che il reticolo di ife fungine non si limita ad avvolgere le radici di un solo albero per volta, bensì si espande nel terreno a grande distanza, connettendosi ad altri
reticoli micorrizici provenienti dagli alberi circostanti, al punto che si può considerare l’intero suolo di una foresta come percorso da un vero e proprio “wood wide web”. Attraverso questa “rete” avviene un costante scambio di nutrienti (acqua, sali minerali, sostanze organiche) che permette di ridistribuire almeno in parte le risorse del suolo forestale, che altrimenti verrebbero accaparrate solo dagli alberi più grandi e vecchi, ossia quelli con i reticoli micorrizici più estesi. In questo modo viene anche agevolata la crescita dei giovani alberelli, che altrimenti, all’ombra delle grandi chiome degli alberi più anziani e in un suolo impoverito dalla loro azione di “pompaggio” dei nutrienti, avrebbero grosse difficoltà a sopravvivere e crescere. È questa azione protettiva nei confronti delle nuove generazioni di alberi che hanno portato la dottoressa Simard a parlare di “alberi madre”, un concetto che (insieme a quello della “rete” di comunicazione a livello radicale), benché non indicato in modo specifico nell’opera di Tolkien, è alla base di un’altra recente saga fantastica di grande successo, ossia il film “Avatar” di James Cameron.
Il Canto degli Alberi: come gli alberi comunicano attraverso l’aria
C’è un altro recente film fantastico che mette in scena l’idea di una comunicazione tra gli alberi, ed è E venne il giorno di M. Night Shyamalan: qui si ipotizza che un bel giorno, senza alcun preavviso, gli alberi di tutto il mondo, prima in episodi isolati che si allargano poi man mano a macchia d’olio, comincino ad emettere nell’aria delle sostanze chimiche che inducono gli esseri umani alla disperazione e alla violenza, provocando ondate di suicidi e di omicidi. Ora, una simile premessa non è del tutto fantascientifica: è infatti stato ripetutamente dimostrato che le piante sottoposte a stress (attacchi di erbivori o di insetti, o infestazioni di parassiti, o danni meccanici) emettono nell’aria, attraverso le foglie danneggiate, delle sostanze volatili che stimolano le altre foglie a produrre delle tossine che le proteggano dall’attacco. Ma ciò che più colpisce è che anche altre piante vicine, pur non avendo subito danni, rispondono al segnale e producono le stesse tossine, come se tra di esse avvenisse una vera e propria comunicazione “olfattiva”, simile a quella tra gli animali. Ovviamente una simile comunicazione è del tutto passiva e non intenzionale, e si distingue quindi da quanto Tolkien descrive a proposito non solo degli Ent (che comunque, checché se ne dica, NON sono veri alberi, nonostante ne abbiano l’aspetto), ma anche degli alberi della Vecchia Foresta o della Foresta di Fangorn. E tuttavia permane una sottile suggestione nel leggere del sussurro melodioso con cui il Vecchio Uomo Salice incanta Frodo, Sam, Merry e Pipino, cantando “parole fresche, che parlavano d’acqua e di sonno”, così come del sibilo rabbioso che emettono le sue foglie quando Frodo e Sam cercano di dargli fuoco, scatenando “fremiti di collera che si ripercuotevano in tutta la Foresta”, e sapere che nella realtà avverrebbe probabilmente qualcosa di molto simile, anche se non altrettanto drammatico. Una suggestione che potrebbe permetterci di guardare il mondo vegetale con occhi diversi, magari riuscendo, come capita ai quattro Hobbit ascoltando i racconti di Tom Bombadil, “a capire la vita della Foresta,
una vita distaccata da loro, indipendente e armoniosa”.
Per approfondire:
– http://www.canadiangeographic.ca/magazine/jf11/fungal_systems.asp
– http://www.nature.com/nature/journal/v388/n6642/full/388579a0.html
– http://www.sciencemag.org/content/221/4607/277.short
– http://nativeplantwildlifegarden.com/mycorrhizae-and-the-web-of-life/
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Molto interessante il parallelo. Tolkien, come ogni “saggio” amante della natura, certamente intuiva il profondo collegamento che esiste fra tutte le cose viventi.