Dopo il successo delle recensioni dell’Arst al film di Peter Jackson, abbiamo ricevuto un’altra recensione al film firmata da un nome prestigioso: Franco Manni, presidente dell’Associazione Endòre e direttore della rivista omonima. Ben consapevoli della condivisione di tutte le opinioni (come fatto con una recensione positiva e una recensione negativa) la pubblichiamo, quindi, per gentile concessione di Endòre.
Sociologia italiana
Ho letto su La Repubblica e Il Corriere della Sera due lunghi articoli su Tolkien e Lo Hobbit appena usciva il film nei cinema italiani, e mi sono reso conto dal bassissimo livello di qualità di come negli dieci anni dall’uscita del film La Compagnia dell’Anello e nei quaranta dall’uscita della traduzione italiana de Il Signore degli Anelli la «casta» ufficiale degli intellettuali italiani sia rimasta incompetente ed ostile verso Tolkien e le sue opere. In specifico – visto che molti buoni studi di critica tolkieniana sia italiani sia in traduzione dall’inglese sono stati pubblicati in Italia in questi dieci anni – la sordità e l’incompetenza sono più colpevoli oggi che dieci anni fa. Per me anche questa è una cartina tornasole della decadenza culturale del nostro Paese… il quale indulge nel farsi dirigere e guidare da una casta (accademica, critica, editoriale, giornalistica) che si riproduce per raccomandazioni e in cui la meritocrazia è inesistente.
Il positivo che ho trovato nel primo film su Lo Hobbit
La continuità di attori, musica e scenari visivi della Contea mi ha – nei primi minuti – riportato situazioni da me vissute dieci anni fa, al primo film de Il Signore degli Anelli, visto alla Multisala Arcadia di Melzo con la prenotazione del Club Yavin4, e al primo convegno organizzato a Brescia da Endòre… a quei sentimenti diffusi tra gli appassionati i quali sia contemplavano la “visualizzazione” e “sonorizzazione” del loro romanzo preferito, sia potevano comunicare agli “altri” (ai non-tolkieniani): «
Vedete quante e quali cose belle, molto belle, che esistono (e le ha fatte Tolkien)!». Come nei tre film de Il Signore degli Anelli trovo un punto forte anche ora la scelta degli attori, appropriata nelle facce, bravi nella recitazione… rivediamo Gandalf Ian McKellen, Bilbo Ian Holm, Galadriel Cate Blanchett, Frodo Eliah Wood, Saruman Christopher Lee, Elrond Hugo Weaving. E ora per la prima volta Sylvester McCoy in Radagast, e Richard Armitage in Thorin. Anche attori “trasformati” in mostri computerizzati come Barry Humphries nel Re dei Goblin e Manu Bennett nell’Orco Azog.
Il più bravo di tutti mi sembra Martin Freeman che interpreta il giovane Bilbo, sia per la gestualità, sia per le espressioni del volto (non posso dire della dizione perchè ho visto il film doppiato in italiano). Una scena attoriale che mi è piaciuta particolarmente è quella del Bianco Consiglio: Ian McKellen fa fare a Gandalf due tipi di faccia, quella rassegnata e dolorosa quando sa che sarà presente Saruman, e quella sorridente del «buon viso a cattivo gioco» quando deve appunto guardare negli occhi e parlare al Capo.
Un altro punto molto positivo – in cui convergono sceneggiatura, regia e recitazione – sta nell’evidenziare le tematiche morali di alto livello: in Bilbo che corre la mattina col contratto firmato in mano perché la «vita tranquilla» non gli basta… sa cioè che deve dare un senso alla sua vita e capisce che non può perdere questa occasione unica; la pietà di Bilbo che gli ferma la mano e la spada di fronte all’inerme e sconcertato Gollum, pietà che – noi sappiamo – salverà addirittura la Terra di Mezzo; la umiltà e la empatia amorosa di Gandalf per le persone della Terra di Mezzo e le loro vicende e le loro particolarità… egli ama gli Elfi per le cose elfiche e gli Hobbit per le cose hobbittesche, e i Nani per quelle naniche… al contrario di Saruman pieno di sé, egli ama, non con un amore cieco però, perchè sa vedere i difetti e ha la sincerità e la onestà nel correggere gli amici, che siano essi Hobbit come Bilbo, o Nani come Thorin, o Elfi come Elrond; in questa linea gandalfiana, molto bello è il dialogo con Galadriel sui piccoli gesti di bene quotidiani che salvano il modo dal crollare sotto il Male; e bella la scena di Radagast che, preso da amore e urgenza verso il porcospino avvelenato, non fa caso al pericolo dei ragni giganti che brulicano sulla sua casupola.
Un’altra cosa molto positiva del film è la sua “signoredellanellizzazione”, cioè sottolineare (come del resto già aveva fatto Tolkien nella sua revisione de Lo Hobbit dopo avere scritto Il Signore degli Anelli) come il Male serpeggi minaccioso già ai tempi del viaggio di Bilbo… evidenziare cioè i semi de Il Signore degli Anelli nello Hobbit! Rendendolo così più “dark” e più “adulto”… Proprio come fu la lettura interpretativa inevitabile di quella massa di persone adulte che lessero Lo Hobbit dopo Il Signore degli Anelli, a causa dello SdA… e non quale fu il racconto di Tolkien ai suoi figli bambini (racconto di cui Lo Hobbit è una registrazione scritta… un racconto non precedente alla venuta al potere di Hitler – è vero – ma precedente però alle Leggi di Norimberga, alla Notte dei Lunghi Coltelli, alla Notte dei Cristalli, al Patto di Monaco, alla Seconda Guerra Mondiale con le sue Operazioni Barbarossa e le sue Soluzioni Finali…).
In specifico anche mi è piaciuta la scena «di raccordo» tra questo film e il primo della trilogia de Il Signore degli Anelli, quando cioè Frodo saluta Bilbo e col suo libro va a leggere all’aperto, sdraiato su una grosso ramo, e qui lo sorprenderà l’arrivo di Gandalf… Qui Jackson bene imita Lucas nel raccordo tra l’ultimo film della sua nuova trilogia, Episodio Tre, e A New Hope, il primo film della sua vecchia trilogia di Starwars, anche se Jackson lo fa come flashback di un Bilbo vecchio che sta per rammemorare la sua avventura di tanti anni fa, e Lucas invece senza flashback ma
nella normale linearità narrativa del tempo…
E anche bella mi sembra la consapevole sottolineatura che Jackson ha fatto – nel prologo narrativo con cui inizia il film, e che viene messo in bocca al Bilbo vecchio (quello che sta per lasciare a Frodo l’Anello e il fardello di una nuova Avventura Esistenziale) – di come un signor nessuno quale Bilbo stesso è – un qualsiasi borghesuccio Baggins – possa misteriosamente essere inserito in una Grande Storia… in quella Cerca di Erebor, in cui campeggiano Regni Nanici e Draghi… e in cui, soprattutto, viene ritrovato e torna in gioco l’Unico Anello! Qui Jackson evidenzia un profondo messaggio tolkieniano: meditate sul Mistero della Storia!
Ciò che ho trovato di negativo
Non ho voglia di rivedere questo film (e pensate che ho visto 20 volte La Compagnia dell’Anello, tra cinema e dvd!). Perché? Perché non ci trovo qualcosa di nuovo! Jackson non si è evoluto, non ha sviluppato, non ha approfondito, non ha innovato il suo Immaginario Registico… Le invenzioni registiche della trilogia de Il Signore degli Anelli sono le stesse che vediamo qui: per esempio, allora mi piacque molto la scena di Gandalf il Grigio col suo tonacone svolazzante e con Galmdring sguainata che corre nelle cupe Aule di Moria guidando la Compagnia verso il Ponte, visualizzazione cinematografica perfetta e per me entusiasmante della creazione letteraria di Tolkien nel personaggio di Gandalf: la Saggezza non è rappresenta da un lento e cauto e timido e inerte vecchino, ma da un ardente Guerriero che sfida la Morte e guida verso la Vita i suoi amici! La Saggezza unita per fusione intrinseca alla Forza del Coraggio e all’Amore dell’Amicizia! Contro tutti i luoghi comuni che invece dovunque circolano!
Ecco questa scena ora è ripetuta pari pari nella fuga dal Regno dei Goblin! E così tante altre belle invenzioni visive e recitative dei primi tre film: la farfalla che Gandalf manda a Radagast; la compagnia dei Nani e Bilbo che cammina in paesaggi maestosi con un sottofondo musicale maestoso anch’esso e arditi voli panoramici della macchina da presa, proprio come si vedeva procedere nelle Terre Selvagge la Compagnia dell’Anello; gli Elfi di Elrond che fanno lo “arrivano i nostri” quasi miscelando i Rohirrim di Eomer vicino a Fangorn e gli Elfi di Haldir al Fosso di Helm; il Regno dei Goblin brulicante di Orchetti e di macchinari, scavi, ponti e scale, etc proprio come negli scavi fatti fare da Saruman sotto il Cerchio di Isengard; il dialogo tra il grottesco, il ripugnante e il commuovente tra le due personalità Gollum/Smeagol; gli Elfi e Rivendell di stile “preraffaellita”, algido, idealizzato, tra il blasé, il fané e il fainéant ; le corse predatorie fameliche dei ringhianti Warg; la grandiosità e cupezza alla Geiger e alla Fritz Lang nelle scolpite Aule di Pietra del Regno di Erebor proprio come il Regno di Moria del primo film; ecc. ecc.
Ecco! Ripetizioni! (anche se di scene belle). E non solo ripetizioni… rimprovero a Jackson anche di «non avere osato»!… cioè di non avere spinto abbastanza il pedale della creatività interpretativa…. Io infatti non sono un bidello di Tolkien cioè uno di quei tolkieniani tutti concentrati sulla fedeltà alla lettera dei romanzi e fare le bucce perchè manca questo e quello non è come nel capitolo, etc etc… (anzi devo dire che trovo tali bidelli dei supponenti e meschini insopportabili!)… qui infatti tra le cose positive ho messo la jacksoniana “signoredeglianellizzazione” de Lo Hobbit… esaltando i germi del Male che
cresce ecc… E, parlando di una inserzione originale jacksoniana di altro tipo – e cioè l’elemento picaresco come nel ruolo aumentato dell’orco Azog e le tante scene di battaglie ed inseguimenti che non ci sono nei romanzi – penso che male non fanno (anche se non contribuiscono allo spessore e alla memorabilità del film)…
Comunque io ritengo che il cinema sia una arte diversa dalla letteratura, che Jackson vive tanti decenni dopo Tolkien, e che lui è lui e Tolkien è Tolkien, e che un’opera vada giudicata per sé stessa, cioè con criteri soprattutto interni e che sarebbe assurdo, per esempio, fare le bucce al film Shining di Stanley Kubrick perché omette o cambia varie e tante cose rispetto all’omonimo romanzo di Stephen King dal quale è tratto.
Fatta questa premessa, espongo ora un esempio di ciò che intendo con il mio rimprovero a Jackson di «non avere osato»: appena prima che il primo dei nani bussi alla porta dello smial di Bilbo e cominci dunque il party inaspettato (e il viaggio…), Bilbo viene fatto vedere tutto contento seduto da solo di fronte alla sua tavola imbandita che sta per gustarsi una ottima cenetta e… Ecco lo stridìo, ma non piccolo, bensì forte e direi esiziale per la artisticità del film, almeno secondo me! Questo hobbit 35-40enne che da solo, celibe e soprattutto solo, abitualmente mangia nella sua casetta non può in nessun modo avere la faccia – e dunque poi la linea morale interiore – del tipo che viene fatto vedere nella scena: «L’unico scopo della vita è mangiare e non sento malinconia a mangiare da solo e non penso ad altro e anzi addirittura gongolo e vado in solluchero». Tolkien poteva farlo vedere così (ma peraltro non così platealmente) a dei bambini degli Anni Trenta. 1) “Bambini”: cioè ipotetiche persone che immerse nella comunità amorosa famigliare non percepiscono il problema della solitudine e esaltano il problema del “mio” successo nei possessi e nelle imprese individuali. 2) “Degli Anni Trenta”: infatti, anche per i bambini, da allora a oggi c’è stata (per fortuna) una evoluzione! E i messaggi educativi della famiglia, della scuola, e anche della letteratura per ragazzi sono molto cambiati… nelle fiabe o fumetti per bambini oggi prevale di gran lunga il modello più realistico della condivisione! Non sarebbero mancati gli accorgimenti artistici a Jackson per segnalare la assurdità della scena… tipo avrebbe potuto far vedere prima una espressione perplessa e poi una triste sul volto di Bilbo mentre sta per mangiare da solo … e poi una specie di sforzo di volontà e la decisione di costruirsi una faccia allegra, oppure addirittura non fare vedere la faccia e basta! e far vedere solo poniamo i piedi sotto la tavola in movimento nervoso, e metter sullo sfondo per qualche secondo un musica triste, o togliere l’audio come durante le scene di trauma oggi si fa nei film… o togliere via via la vivacità ai colori… in sospensione…
E poi, ecco! Il primo toc toc alla porta, quello del primo nano… e subito i colori tornano e l’audio riprende e comincia l’avventura di Bilbo e per Bilbo ora! prima coi Nani e poi con Frodo a Bag End e poi a Rivendell e poi a Valinor… La vita di Bilbo finalmente prende un senso.. “inaspettatamente”, come succede proprio nella realtà delle nostre vite! Jackson è stato incoerente perché, se presenta agli spettatori adulti il dialogo tra Gandalf e Galadriel e Saruman nel Bianco Consiglio, per esempio, non può a loro presentare poi quella scena di Bilbo a tavola così come l’ha presentata! C’è da dire, a scusante di Jackson, che lui aveva intuito/capito questa parte di sé stesso e aveva voluto un altro regista per questi film,
Guillermo Del Toro… Lui, Jackson, aveva poi detto al mondo che voleva fare degli altri film “suoi”, che sviluppassero vecchi suoi sogni o fisse sue, del tipo di King Kong e di Amabili Resti… dedicare cioè le sue energie a fare film così, che comunicassero attraverso il cinema altre parti della sua personalità, altre cioè rispetto a quelle (già magistralmente espresse) tolkieniane… Ma affidare Lo Hobbit a Guillermo Del Toro non è stato possibile per varie vicende della produzione che non sono state rimediabili, e il regista ha dovuto essere lui stesso di nuovo!
Qui ho avuto spunto per una riflessione: George Lucas ha fatto una seconda trilogia di Guerre Stellari venti anni dopo la prima, ma quando la ha fatta (e direttamente come regista) aveva qualcosa di nuovo da dire!… sto dicendo «come regista»… e intendo «qualcosa di nuovo da dire» nel senso di immaginario cinematografico… non la trama, che ovviamente era nuova (ma era nuova anche in questo attuale film di Jackson perchè è tratta da un libro diverso…).
La seconda trilogia di Guerre Stellari ha avuto invenzioni registiche nuove e personaggi nuovi e un magistrale nuovo sviluppo ed approfondimento di personaggi vecchi, per esempio Obi Wan Kenobi, Yoda e soprattutto Anakin alias Darth Vader! Io di tutti e sei i film lucasiani preferisco l’ultimo che ha fatto, e cioè Episodio Tre! E allora ho pensato che Lucas è un regista più grande di Jackson! Infatti «grande» è sopratutto e per eccellenza – secondo me – Stanley Kubrick (e subito dopo di lui Steven Spielberg) … perché? Perché Kubrick in ogni suo film riusciva ad avere visualizzazioni e direzioni dei personaggi nuove, diverse! E così ho pensato di vedere in questo Hobbit di Jackson un film lungo, troppo lungo (cosa che non avevo certo pensato nei film della prima trilogia di Jackson, soprattutto il primo film).
Cosa ha voluto fare Peter Jackson ?
Dare a nuova generazione di persone/ragazzi i messaggi forti di morale? Forse sì… tanti infatti non hanno visto la trilogia di Signore degli Anelli e da questo film possono ricevere ottimi messaggi morali! Non sprecare la opportunità del copyright già acquisito dalla New Line col Signore degli Anelli (venduto al mercato cinematografico tanti anni fa da Tolkien stesso, che non era così snob e diffidente, diversamente da suo figlio Christopher che è l’attuale capo della Tolkien Estate). Infatti il Signore degli Anelli comprende delle Appendici piene di fatti delle Ere passate della Terra di Mezzo (una outline del Silmarillion, in pratica) che può fornire legittimo diritto per tante scene, storie etc da narrare col cinema. Esplicitare come Lo Hobbit (anche se ovviamente Tolkien non ne poteva essere consapevole quando lo scrisse) conteneva oggettivamente in sé i germi tematici del SdA. E questo scopo – almeno in parte – spiegherebbe questo spiacevole effetto di pura ripetizione (come nella scena della farfalla messaggera per le Aquile) che vediamo in questo film di ora. Quasi che Jackson così faccia vedere come Lo Hobbit avrebbe molta meno importanza oggi, sarebbe letto molto molto di meno etc, se – dopo – non fosse
stato scritto il Signore degli Anelli. Riservarsi – forse – una evoluzione negli altri due film che seguiranno a questo, o che, almeno, sono stati annunciati. Come almeno in parte ha fatto George Lucas stesso nella seconda trilogia di Guerre Stellari: in effetti Episodio Uno, Episodio Due e Episodio Tre sono concepiti e realizzati in un crescendo di novità, sviluppo, approfondimento, «adultità», bellezza! Speriamo che anche questo abbia in mente Jackson , se mai questo fosse nelle sue possibilità professionali ed umane…
Cosa voglio fare io
Non lo rivedrò, credo… o magari sì, almeno una seconda volta, ma solamente per una minore e non importante mia curiosità da «tolkienoide» più che da tolkieniano … per vedere cioè particolari dettagli su personaggi, battute di dialogo, tempistiche, etc che mi sono sfuggiti alla prima visione…. Ma non per la sete di pathos che ebbi dieci anni fa quando vidi 20 volte The Fellowship of the Ring!
Però lo propaganderò, ne parlerò bene ed esorterò i «non addetti» a vederlo… Perché tante persone non conoscono né il libro né i primi tre film… o li conoscono poco e di sfuggita e superficialmente … e allora io penso sia un bene che vedano questo film di adesso perchè ci sono tanti buoni messaggi morali e tante belle invenzioni poetiche…!
Altre recensioni potete leggerle qui:
– Recensione positiva dell’ARST.
– Recensione negativa dell’ARST
– Il film di Jackson, secondo Tom Shippey
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Sarà che mi ritrovo abbastanza bene nella definizione di “bidello della Terra di Mezzo”, ma per me la “signoredeglianellizzazione” è un errore, non una miglioria.
E mi sembra che potresti essere d’accordo anche tu, visto che tra le cose che tipiacciono meno, hai messo proprio la troppa simiglianza alla prima trilogia.
PS
Da oggi la tua aula te le lavi da solo
😀