Domani a Modena, all’interno del corso Con Lo Hobbit alla scoperta di Tolkien, da qui a fine febbraio prevede una lezione ogni martedì sera alle ore 21, presso la sede dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici (in via san Cataldo 97, Modena – tel: 059/821811), si volgerà un intervento dal tema: Le lingue nella Terra di Mezzo, con relatori Roberto Fontana e Gianluca Comastri, rispettivamente consigliere e presidente di Eldalie, un’associazione tolkieniana particolarmente dedita allo studio delle lingue elfiche. Sarà anche l’occasione per approfondire un aspetto poco noto delle lingue inventate dallo scrittore inglese: la creazione e lo sviluppo anche di una serie di alfabeti, anche se tecnicamente si tratta di un sistema di trascrizione dei principali Linguaggi della Terra di Mezzo! Proprio per capire meglio di cosa si tratta presentiamo un’intervista in esclusiva a uno dei relatori.
Un calligrafo per Tolkien
Roberto Fontana è dal 2002 una presenza costante nel panorama web italiano di ispirazione tolkieniana: appassionato del Quenya, la lingua definita da Tolkien una sorta di “latino elfico”. La sua passione per i sistemi di scrittura elfici, ovvero la calligrafia Tengwar, lo ha portato a una interessante produzione di lavori calligrafici, sia in Tengwar che negli stili tradizionali, con l’uso di materiali vari, anche inusuali, tenendo vari corsi sulla calligrafia rivolti ai principianti. Ha partecipato alla traduzione di La trasmissione del pensiero e la numerazione degli Elfi di J. R. R. Tolkien (Marietti editore, 19 euro), pubblicato in Italia nel 2008. Nel 2009, per i tipi di Simonelli, ha pubblicato, assieme a Mauro Ghibaudo, Essecenta: i nomi della Terra di Mezzo, un’analisi etimologica comparata dei nomi propri italiani ed elfici, con traduzioni e corrispondenze nei due linguaggi. Nel 2012 ha pubblicato per la casa editrice Sogno Le preghiere della Terra di Mezzo, opera per cui ha trasposto in questa lingua alcune preghiere della tradizione cattolica e alcune canzoni natalizie.
Hai sempre scritto a mano, o è una passione nata in età adulta?
«Quando ero alle elementari ho dovuto usare per 2 anni penne
e calamaio… erano più le macchie che le lettere che scrivevo! In realtà ho scoperto la calligrafia tramite Tolkien: le prime esperienze sono arrivate utilizzando i font Tengwar nei programmi di scrittura elettronica, seguiti dai primi tentativi di scrittura a mano. Poi questa attività mi ha “preso” sempre di più, ho iniziato a comprare strumenti di scrittura sempre più professionali oppure originali e ho affinato la mia abilità nello scrivere in Tengwar. Parallelamente agli stili fantasy, ho iniziato anche a occuparmi di stili storici (gotico, onciale, cancelleresca), frequentando corsi presso maestri calligrafi, tanto che ora sono anche chiamato a insegnare calligrafia in vari corsi civici o presso associazioni».
Che senso ha, in era digitale, fare calligrafia? Vi è un contrasto tra i due mondi?
«Molti mi chiedono che senso possa avere fare calligrafia al giorno d’oggi. A questa domanda rispondo, come molti altri miei colleghi calligrafi, che non per il successo e la presenza preponderante del computer dobbiamo smettere di scrivere, come non dobbiamo smettere di disegnare solo perché esiste la tavoletta grafica. La calligrafia è una forma di espressione connaturata in noi, è una pratica con la quale siamo più o meno familiari da quando ci hanno insegnato a leggere e scrivere. Tuttavia possiamo trasformare questa pratica in un’arte, perciò si parla di una disciplina, di un processo educativo, di una ricerca interiore che dagli esercizi più semplici ci porta a sviluppare una scrittura nostra e personale. Non c’è niente di più individuale della scrittura, persino nello scrivere certi stili formali, come quelli che ho elencato più sopra, ognuno di noi può mostrare una sua propria individualità. I motivi sono vari: pensiamo semplicemente al fatto che ognuno ha un suo ritmo di scrittura e che la velocità di esecuzione modifica l’aspetto dei segni. L’allenamento e la continua ricerca di miglioramento sono al tempo stesso propedeutici per il nostro gusto estetico e diretta conseguenza di questo: scrivendo a mano diventiamo tutti più coscienti del valore e delle qualità delle lettere che ci circondano. Posso portare come esempio paradigmatico Steve Jobs, che iniziò la propria avventura proprio con l’iscrizione a un corso di calligrafia presso il Reed College di Portland. Come ricorda Jay Elliot in Steve Jobs. L’uomo che ha inventato il futuro (Hoepli), colui che ha ideato l’iPhone e l’iPad scriveva nei suoi appunti da studente: “È la mano la parte del corpo che più di ogni altra risponde ai comandi del cervello. Se potessimo replicare la mano, avremmo realizzato un prodotto da urlo”».
La nuova attenzione per la bella scrittura e il ricorso a essa è quindi una risposta a un mondo sempre più informatizzato?
«Certo. La gente si è accorta che scrivere con il computer è sì facile e veloce, ma così facendo viene a mancare la trasmissione della propria personalità e originalità. Regalare a qualcuno una poesia scritta a mano in bella calligrafia è un bellissimo dono con il quale si trasmette il proprio pensiero e la propria manualità, è un dare completamente noi stessi all’altra persona».
A scuola non la si apprende più. Come mai?
«Un tempo, se volevi trovare un impiego in un ufficio o studio dovevi sapere scrivere bene a mano. Ora l’abilità necessaria è più che altro l’uso del computer. La scuola ha dovuto adattarsi alle esigenze lavorative, ma non per questo deve rinunciare a presentare la calligrafia dal punto di vista storico e artistico agli studenti. Parecchie scuole elementari e medie stanno offrendo corsi di calligrafia ai propri scolari e io
stesso sono stato invitato in varie scuole superiori a presentare le radici storiche delle calligrafie europee».
Quando si pensa a un calligrafo, lo si immagina sepolto tra antichi volumi, immerso nella scrittura tra calamai e penne d’oca. Al più, con qualche pennino o una stilografica. Come lavori davvero?
«Di notte, quando a casa regna la tranquillità e non ho distrazione che mi possono indurre a fare degli errori, su un tavolo ben illuminato, con carte e pennini di tutti i tipi (uso anche i calami di bambù, o ance musicali fissate a stecche di legno) e inchiostri di tutti i colori. Sono molto importanti i bozzetti, con i quali puoi provare le combinazioni di stili, colori e dimensioni, per poi scegliere la soluzione che più si adatta alla propria intenzione originale».
La calligrafia è una forma d’arte o semplice decorazione?
«La calligrafia diventa una forma d’arte nel momento in cui non si limita a trasmettere messaggi scritti, ma tende a voler fissare su un supporto un’idea del bello. Basti pensare alle splendide realizzazione della calligrafia araba, che è essenzialmente una delle poche forme artistiche figurative concesse in questa religione, o all’arte miniaturistica dei codici europei».
Si può trasformare la propria passione in un vero lavoro? Come si diventa calligrafi di professione?
«Ecco, a questo non so rispondere con precisione. Io non sono un calligrafo di professione, ma solo un dilettante appassionato. La strada è comunque quella di seguire dei corsi di grafica e poi frequentare le lezioni di qualche maestro calligrafo. L’Associazione Calligrafica Italiana, di cui sono socio, è uno dei centri più attivi nella formazione dei nuovi calligrafi».
Nella calligrafia è importante l’aspetto, lo stile. Ma dove sta la sostanza?
«Secondo me la sostanza è la personalità che imprimi nelle lettere che scrivi, è la parte della tua anima che trasferisci nel segno sulla carta, è l’intenzione che lasci trasparire in ogni tratto di inchiostro».
Ci spieghi meglio la calligrafia applicata alle lingue di Tolkien?
«Tolkien non ha solo inventato dei linguaggi usati dalle razze di cui ha popolato la il suo mondo secondario, ma ha anche provveduto a codificare diversi alfabeti e stili grafici. I più noti sono le Tengwar e le rune, ma esiste anche il Sarati, che vorrebbe essere la prima forma di scrittura adottata dagli elfi, forse ispirata dagli stessi Valar. Tornando alle Tengwar, che personalmente considero la forma di scrittura più artistica, esistono molteplici varianti: il modi òmatehtar Quenya e Sindarin, il modo quantasarmë del Beleriand, ognuno dei quali presenta varianti in base alla collocazione geografica e temporale. È uno studio realmente affascinante, almeno per me… E non dimentichiamoci anche la lingua e la scrittura “polare”, create da Tolkien per realizzare le splendide Lettere di Babbo Natale: una vera chicca da non perdere!»
Le Tengwar possono vivere anche slegate dalle lingue elfiche?
«Tolkien ci ha lasciato istruzione su come utilizzare le Tengwar anche per linguaggi reali; egli stesso le ha utilizzate
per scrivere in inglese. Pur non esistendo una codifica “ufficiale” per la scrittura dell’italiano, la maggior parte degli esperti nazionali di calligrafia elfica è arrivata a uno standard ormai ampiamente accettato circa la “traslitterazione” dell’italiano in Tengwar (non si può parlare di traduzione, in quanto la lingua non cambia). Ho svolto alcune “lezioni” di scrittura in Tengwar dell’italiano a degli studenti di scuole medie: ne sono stati entusiasti!»
A proposito del sistema di scrittura che hai adottato: hai lavorato da solo o con l’aiuto di un esperto?
«Va premesso che da anni collaboro con l’associazione Eldalie, di cui sono consigliere, e con la Società Tolkieniana Italiana. Ultimamente non mi sono limitato a riprodurre le forme stilistiche lasciateci da Tolkien, ma mi sono spinto a proporre uno stile Tengwar che associa le lettere tolkieniane alla cancelleresca italiana, stile che considero uno dei più belli fra quelli storici europei. Ne è risultato un Tengwar corsivo molto fluido e artistico, che ha ricevuto apprezzamenti e di cui vado particolarmente fiero».
Le tue conoscenze sono solo tecniche o anche linguistiche?
«Un appassionato come me di Tolkien non poteva ignorare la lingua elfica per eccellenza, il Quenya. Da poco è stato pubblicato il mio Le preghiere della Terra di Mezzo (Sogno ed.), dove non solo ho analizzato la traduzione in Quenya di alcune preghiere lasciateci da Tolkien, ma ho cercato di trasportarne in latino elfico molte altre, fra cui le traduzioni di “Tu scendi dalle stelle” e “Adeste fideles”” cantabili sulle rispettive musiche tradizionali. E naturalmente, poi le ho riprodotte in un manoscritto…»
– Vai al sito dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici
– Vai al sito dell’associazione culturale Eldalie
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